"Il villaggio di cartone" di Ermanno Olmi. Saggio introduttivo di Vito Mancuso
In una vecchia chiesa ormai in disuso un anziano prete assiste impotente allo smantellamento di tutti i simboli religiosi fino alla sparizione del grande crocifisso e alla trasformazione della casa del Signore in un centro di accoglienza per gli immigrati, «i veri ornamenti del tempio di Dio». Il vecchio prete, senza più un luogo in cui officiare i suoi servizi, si troverà a prendersi cura dei disperati che, inseguiti dalla polizia, hanno cercato un rifugio nella chiesa dismessa, e grazie a loro ritroverà una fede ormai vacillante. Il messaggio di Ermanno Olmi non lascia spazio a dubbi: via i simulacri, dentro gli uomini. La sceneggiatura del film del grande regista lombardo, presentato fuori concorso all'ultima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia e accolto dal giudizio unanime dei critici come un piccolo capolavoro, è stata scritta con la collaborazione di Claudio Magris e Gianfranco Ravasi ed è qui accompagnata dall'introduzione di Vito Mancuso.
Prefazione a «Il villaggio di cartone» [PDF]
Eccoci in una chiesa senza più simboli religiosi, ma che proprio per questo riscopre il suo senso e rivive la vera finalità per la quale è stata costruita, essere cioè ecclesía (termine greco formato dal verbo káleo, “chiamare”, e dalla preposizione ek, “da”), vale a dire tempo e luogo di raduno e di accoglienza in seguito a una chiamata. Se infatti vi fossero state ancora le panche allineate, non vi sarebbe stato posto per il villaggio di cartone, provvisorio rifugio dei clandestini e simbolo finalmente reale (grazie alla nascita di un neonato) della nascita clandestina del Figlio dell’uomo e che per questo fa riscoprire al vecchio prete la poesia di cantare piano in ginocchio Adeste fideles; se l’acquasantiera fosse stata ancora in funzione, non avrebbe potuto essere utilizzata per raccogliere l’acqua piovana che cola dal tetto e fornire da bere agli assetati secondo il comando evangelico; se ancora vi fosse stato una via vai di fedeli, molti di essi non avrebbero tollerato quell’accampamento nomade simile alle tende degli ebrei lungo il cammino nel deserto (“Quella è tutta gente diversa, non è come noi”, dice il sacrestano, personaggio simbolo della frattura spesso così dolorosa tra umanità e religione, tra essere cristiani ed essere cattolici, tra Vangelo e Catechismo) …