I Quattro Maestri

Garzanti 2020

IquattroMaestri«I quattro maestri nel loro insieme prefigurano un itinerario. La meta è il maestro più importante: il maestro interiore, il quinto maestro». Socrate, l’educatore. Buddha, il medico. Confucio, il politico. Gesù, il profeta.

Risalendo alle antiche tradizioni spirituali e filosofiche dell’umanità, Vito Mancuso individua nel pensiero di queste quattro figure gli insegnamenti ancora validi e preziosi per noi, uomini e donne di oggi. La loro parola diventa così una guida decisiva per percorrere con maggiore consapevolezza gli impervi sentieri della nostra esistenza, convivere con il caos che ogni giorno sperimentiamo, e tracciare una strada nuova verso l’autentica pace interiore. Perché interrogando questi quattro grandi con sapienza e curiosità, e avvicinando a noi il loro profondo messaggio, saremo in grado di risvegliare il maestro da cui non possiamo prescindere: la nostra coscienza, il quinto maestro. Per diventare così consapevoli che la forza per definire le nostre vite è dentro di noi, e che possiamo essere noi stessi i creatori della nostra felicità.

Editore: Garzanti Collana: Saggi Pagine: 496. Anno edizione: 2020. In libreria da giovedì 05 novembre 2020 – EAN: 2000000043401


ABBIAMO BISOGNO DI MAESTRI PER RICOSTRUIRE LA NOSTRA ANIMA

a cura di Sara Ricotta Voza, per la Stampa tuttolibri
I Quattro Maestri – Intervista [PDF]

Lo incontriamo in una bella libreria del centro di Bologna dove, forse perché città dotta e grassa da secoli, sembra ancora più normale trovare libri e cibo nello stesso posto. Lui guarda i cestini dei clienti riempiti di romanzi, fumetti, saggi, pane e vino e commenta che in fondo è tutto nutrimento, per il corpo e per la mente. Vito Mancuso è teologo e docente, molto amato e abbastanza contestato, tanto che nel suo sito personale, dopo biografia e pensiero, ha una sezione critiche. Lo accusano di creare confusione, di finire nel razionalismo e nello gnosticismo. Ha fatto parte del mondo cattolico, è stato sacerdote, poi dispensato e ora – in questo libro – si definisce «post cristiano».
Di tutto dibatte nei suoi tanti libri – alcuni sono bestsellers da 100.000 copie – dalla tesi di dottorato (summa cum laude) Hegel teologo, all'Anima e il suo destino in cui dichiara di non accettare alcuni dogmi della dottrina cattolica; da Il dolore innocente sull’handicap e Dio, a Il bisogno di pensare sulla filosofia. Ora con questo nuovo testo di oltre 500 pagine invita a conoscere i quattro maestri SoBuCoGe, ovvero Socrate, Buddha, Confucio e Gesù: l’educatore, il medico, il politico, il profeta. Di questi non propone sequela né imitatio, ma una conoscenza che possa rendere il lettore autonomo e risvegliare in lui il quinto maestro, cioè la coscienza.
C'è poi un altro maestro, senza un capitolo a sé ma presentissimo, ed è Vasilij Grossman, l'autore russo di Vita e destino a cui dedica il libro e di cui sembra andare a cercare negli altri maestri tracce della sua intuizione, ovvero la ricerca dell’«umano nell’uomo».
La scommessa finale – del libro e del nostro tempo – è che i giorni di Nietzsche (secondo Mancuso il cattivo maestro più influente oggi) diventino i giorni di SoBuCoGe. Doveva essere il titolo del libro, meno male che ha cambiato idea.

Cominciamo con la confessione o “non-confessio fidei” in cui si definisce non più Cristiano da anni ma “postcristiano”…

«Io non ho mai perso la fede in Dio, ho modificato la mia fede nella trascendenza ritenendo che la visione cristiana avesse incongruenze che ho fatto emergere nei miei libri, e adesso per onestà intellettuale non mi definisco più cristiano ma post cristiano; il cristianesimo è parte di me ma non è più la meta, è una strada verso il Dio ignoto, la trascendenza».

Perché sarebbe un tempo che ha bisogno di maestri? La vulgata è che abbia più bisogno di testimoni.

«Il testimone è importante per rompere il ghiaccio del cuore e della mente, poi però se non c'è il capomastro, il maestro, l'edificio della nostra anima non si costruisce. L'educazione senza il maestro è solo istruzione e io nel libro insisto nella grande differenza tra le due».

Lei parla – citando Jaspers – di un'epoca assiale del passato e nell'ultimo capitolo dell'opportunità di questo presente di diventare “alba di una nuova epoca assiale”. Che intende?

«L'epoca assiale è una visione che si rifà nuovamente all'edilizia, l'asse portante di un edificio. Jaspers individuò nel VI e V secolo a.C. l'asse su cui tutti i secoli posteriori si poggiarono edificando le grandi civiltà. Il nostro tempo – il genere umano non biologicamente ma spiritualmente inteso – o perisce o rinasce all’insegna di una nuova epoca assiale. Le condizioni ci sono perché mai l'umanità è stata così unita, in grado di dialogare, e i testi sacri delle altre civiltà possono diventare i nostri. Questa fusione di orizzonti come la chiama Gadamer può generare una nuova epoca assiale. Non si tratta di inventare nuove cose ma di rifondare la grande intuizione dell'epoca assiale, il primato della giustizia sulla forza, della verità sul potere, della bontà sull’interesse».

I quattro maestri: domanda banale ma lecita, perché questi?

«Me lo chiedo anch'io sulla scia di Jaspers, che ne I grandi filosofi pone queste quattro personalità decisive; e io concordo con la scelta, sono quelle che più hanno influito sulla formazione spirituale dell’umanità».

A proposito di scelta, lei dice che non è nemmeno necessario scegliere un maestro, ma si può attingere un po’ all’uno un pò all’altro secondo le proprie esigenze spirituali. E non lo definisce sincretismo ma dinamismo esistenziale …

«Sì, è un punto delicato perché il rischio è di andare in giro in libreria con il carrello del supermercato e prendere un pezzo di questo e dell'altro a mio piacere, però questo stesso rischio può diventare la via; la spiritualità è una medicina e io credo in quella ad personam. Così nella vicenda umana ci sono momenti nei quali è necessario il farmaco cristiano, e altri in cui lo sono altre cose; magari in quel momento la meditazione buddista può essere più utile per affrontare la durezza della vita, perché il punto è quello, non soccombere e non diventare cattivi, nel senso di captivi, “prigionieri” e quindi aggressivi».

In realtà c'è un altro maestro, Vasilij Grossman. È così?

«Lui è testimone del 900 e la sua forza è di aver visto il male sia sotto la forma del comunismo sia del nazismo; aveva ragioni per perdere fiducia nel bene, nell'uomo, nella giustizia e non l’ha persa. Io riporto la pagina dei scarabocchi di Ikonnikov, che forse è il suo testamento spirituale, la fiducia nella bontà umana che lui definisce “l'umano nell’uomo", che è la dedizione al bene e alla giustizia al di là dell’interesse».

Socrate primo maestro, ma oggi le materie umanistiche sono sminuite, proposte come infarinatura in alcuni licei scientifici in cui hanno tolto pure il latino. I test di accesso all'università premiano altri percorsi e i futuri professionisti potrebbero non avere più un terreno umanistico comune. La ricerca dell'umano nell'uomo forse si fa più difficile, così come avvicinare i testi antichi in lingua originale. Che ne pensa?

«La formazione dei ragazzi è sempre meno educazione e sempre più istruzione, istruire viene da in-struere, preparare per, e noi prepariamo i nostri ragazzi per essere strumenti in una struttura – ospedaliera, bancaria, aziendale – si concepisce l'essere umano come ingranaggio di un meccanismo più grande; il che non è sbagliato ma non sufficiente perché l'essere umano è la sua interiorità, la sua capacità critica e creativa, quindi non solo a servizio della struttura ma anche capace di ribellarsi alla struttura. Se le materie umanistiche sono ripresentate nella capacità di scoprire l'umano nell'uomo e riattivarlo, questo è educare, e-ducere, tirare fuori. Tirare fuori cosa? La libertà. All'istruzione non interessa la libertà ma l'esecuzione. Questo appiattimento sull'istruzione è un tradimento della nostra tradizione, della paideia classica e dello specifico umano».

Di Socrate colpisce – specie oggi – la sua avversione al populismo e la non scissione fra politica e morale.

«Oggi quando si parla di etica e di politica si parla di orizzonti diversi, però la grande lezione di Socrate è questa, se non c'è rettitudine morale non ci può essere azione politica meritevole tale da avere successo, questo soprattutto in democrazia dove il materiale di costruzione è la libertà dei singoli. La libertà è attratta dalla forza, se il potente di turno è retto, genererà una mimesis all'insegna della rettitudine. L’altra grande dote del politico secondo Socrate è la competenza, quindi no a ogni forma di populismo. Io riporto da Senofonte la sua frase secondo cui “il mascalzone di gran lunga più grande è chi pur non valendo niente, riuscisse nell'imbroglio di persuadere  che è in grado di governare lo Stato”. Il contrario di uno vale uno».

Buddha: secondo lei il grande dono che consegna all'umanità è la meditazione. Dono adatto ai nostri tempi?

«Quello di cui ha bisogno la mente contemporanea è la calma, il silenzio, tornare in sé stessi, e la via del Buddha, della meditazione, del respiro è la migliore; abbiamo bisogno di pace, non di verità nel senso di dogmi e precetti, abbiamo bisogno di dolcezza, di mitezza».

La Cina comunista e capitalista sembra si stia riconvertendo a Confucio: sceglie il maestro antico rispetto al più recente Mao? Ho un po' e un po’?

«Nel libro racconto la vicenda della statua di Confucio in piazza Tienanmen, messa e tolta dopo un mese; così come c'è una rinascita confuciana c'è una resistenza della vecchia guardia comunista. Ma è significativo che abbiano intitolato a Confucio gli istituti per la diffusione della lingua cinese. La mia speranza è che dopo aver abbandonato il comunismo a livello economico la Cina lo abbandoni anche a livello ideologico e torni ad abbracciare quella che è stata per duemila anni la sua ideologia, il confucianesimo. Se lo farà davvero potrà diventare potenza guida».

Gesù: egli dice che la grande differenza con gli altri maestri è che si prefigge una rivoluzione, la “metànoia”…

«Io mi chiedo cosa è stato e dico un profeta, un portavoce, e la voce era quella di Dio e di ciò che Dio stava per fare, instaurazione e venuta imminente del regno di Dio. Su questo sono tutti d'accordo, poi le interpretazioni sono diverse. La mia, che non è originale se non perché se ne parla poco, è che è un profeta – per Albert Schweitzer il “profeta apocalittico” – che riteneva fossimo alla vigilia di una totale trasformazione della storia, prendeva sul serio quello che dicevano i profeti, così come gli Esseni di Cumran, Giovanni il Battista….».

Ancora su Gesù: secondo lei la buona Novella in realtà tanto buona non è. Perché quello che più caratterizza il suo messaggio non è la misericordia ma la giustizia.

«Oggi questo aspetto è attenuato ma per secoli non lo è stato, invito i lettori a leggere le parabole del Vangelo e vedere come la parola ultima non è la misericordia ma la giustizia. Il suo era un messaggio lieto ma in un senso particolare: c'era una catastrofe imminente, l'avvento del Regno di Dio era il giudizio, lui diceva che se ci si converte non sarà più “pianto e stridore di denti”. Ma se non c'è questa conversione, ci sarà. L'insegnamento ecclesiastico tradizionale della dannazione eterna non è in contraddizione con il messaggio di Gesù, è coerente: io prendo talmente sul serio la tua libertà che alla fine ti giudico secondo quello che la tua libertà ha prodotto».

Il quinto maestro è il maestro interiore. Anche Agostino ne parla, ma era lo Spirito santo.

«È la coscienza morale. Non penso che sia completamente autonoma, è una autonomia ispirata; funziona come la coscienza estetica, ogni vero autore che ha fatto qualcosa di grande sa che l’ha fatto perché un'ispirazione più grande di lui è arrivata. La coscienza morale è tale quando è personale e aderisce a qualcosa di più grande del proprio particulare. Agostino faceva riferimento allo Spirito, ma questo è tale da tornare su di me e rendermi soggetto da poter dire no, innovare essere creativo».

Poi ci sono i maestri che ciascuno incontra nella vita. Per lei il cardinal Martini?

«Se non avessi avuto lui in un momento decisivo della mia vita chissà dove sarei; Martini era un filologo e applicava alle persone la stessa acribìa che aveva applicato a papiri e pergamene del nuovo testamento. Lui ti leggeva, con coi suoi occhi limpidi e lo sguardo attento e buono di quella bontà severa di chi voleva il bene ma con rigore, con un senso di disciplina; aveva una capacità particolare di posare lo sguardo sulle persone. Di fronte a lui gli altri sentivano di essere al cospetto di un saggio e giusto. Non l'ho mai visto cercare l'applauso, il facile sorriso, la posa. Socrate sarebbe stato contento di lui».

Implicitamente parla di “cattivi maestri”. Dice che oggi sono i giorni di Nietzsche.

«Nietzsche penso sia il filosofo più influente oggi, il suo messaggio si unisce a una certa visione darwinista e produce quella mancanza di pìetas che governa l'economia, la politica le nostre menti, per cui chi agisce per la giustizia è bollato come buonista, uno che non capisce la realtà; io non penso che il bene non capisca la realtà».

I prof di filosofia che i ragazzi incontrano al liceo sono i più temuti dei genitori come possibili cattivi maestri. Timori fondati?

«Insegnano la materia che più può entrare in profondità; così come si può temere, si può sperare di avere un buon professore di filosofia, perché è una disciplina che parla all'umano nell'uomo, tocca le corde più sensibili dell’anima».

C'è anche qualche concessione al pop… cita De Andrè e Lennon maestri anche loro?

«Per me ragazzo le canzoni di Guccini avevano una grandissima carica di insegnamento, sapevo i testi memoria che poi citavo nei temi, “E pensavo dondolanto dal vagone: cara amica il tempo prende il tempo dà/noi corriamo sempre in una direzione/ma qual sia e che senso abbia chi lo sa/siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno…” Che la poesia legata alla musica possa “insegnare” nel senso radicale di segnare dentro è un dato di fatto. Quanti messaggi passano nelle canzoni. I genitori oltre che stare attente ai professori di filosofia dovrebbero stare attenti a cosa ascoltano i figli».


Intervista al prof. Vito Mancuso di Luca Kocci, Il Manifesto 01.12.2020

«Durante questa pandemia viviamo una quotidianità fatta certamente di paura, ma controllata e letta alla luce della saggezza». Parla il teologo e filosofo che ha riunito le figure di Socrate, Buddha, Confucio e Gesù in «I quattro maestri» (Garzanti) e che durante il lockdown dell'inizio di quest'anno aveva scritto «Il coraggio e la paura», pubblicato dallo stesso autore. Distinguere l’umano dal disumano. E scegliere di essere pienamente e profondamente umani. È il filo rosso che lega i due libri più recenti del teologo e filosofo Vito Mancuso: I quattro maestri (pp. 528, euro 19), appena pubblicato, e Il coraggio e la paura (pp. 140, euro 12), uscito da qualche mese, entrambi per Garzanti. Il tema è la spiritualità, intesa non in senso confessionale ma laico: la ricerca dell’energia interiore che consente di rintracciare «l’umano nell’uomo» e viverlo.

Mancuso, chi sono i «quattro maestri»?

Sono Socrate, Buddha, Confucio e Gesù, le stesse quattro «personalità decisive» individuate a suo tempo dal filosofo tedesco Karl Jaspers, coloro che hanno avuto più influsso in quella che Gadamer chiama «storia degli effetti». Tre di questi maestri hanno a che fare con le religioni: come mai? In realtà tutti e quattro sono figure religiose, perché se da Socrate si elimina il daimònion, si taglia la connessione con la dimensione spirituale, e non è più Socrate. Infatti viene condannato a morte per empietà, anzi per eresia: Socrate è uno dei grandi eretici della storia dell’occidente, perché introduceva nuove divinità, diverse dalle divinità esteriori …

Per le istituzioni religiose questo sarebbe sincretismo, relativismo…

Se il fine è l’appartenenza a una religione, allora bisogna sceglierne una. Se invece lo scopo della vita è raggiungere la felicità, non nel senso superficiale del termine ma come salute fisica, psichica e interiore, come energia positiva, se è restare umani e le religioni non sono il fine ma uno strumento, allora non bisogna scegliere, bensì scandagliare il proprio «interno» e cercare volta per volta i nutrimenti giusti. Non è il relativismo, ma la relatività delle religioni.

Ogni «maestro» ha una caratteristica essenziale. Socrate?

È l’educatore alla virtù, cioè a essere una persona giusta. Il suo discepolo ideale vuole studiare se stesso in profondità, per diventare capace di ragionare, di pensare, di agire.

Buddha?

È il medico, ha lo sguardo di chi vede e sente il dolore che emerge da ogni vivente e ne prova compassione. La diagnosi è la sofferenza, la risposta sono le quattro nobili verità, in particolare «l’ottuplice sentiero» come via per la guarigione. Il pensiero buddhista è terapeutico, un sistema per guarire e lenire le sofferenze.

Confucio è il politico.

È il politico che ha a cuore l’essere umano in quanto animale sociale, per lui ciascuno si compie non individualmente ma socialmente. Il contrario del Buddha: il Buddha ragiona sul singolo nella sua solitudine, Confucio riconduce il singolo alla dimensione sociale, alla ritualità, alla conformità con le grandi tradizioni del passato. Non a caso il suo pensiero è stato per più di duemila anni un formidabile instrumentum regni da parte del «Celeste impero» cinese, e anche per la Cina di oggi.

Infine Gesù, il profeta.

Il messaggio di Gesù è diverso da quello del cristianesimo. L’annuncio del cristianesimo è la morte, la risurrezione e la nuova venuta di Gesù. Il messaggio di Gesù è fondato su un verbo all’indicativo, il Regno di Dio «è» imminente, da cui consegue un imperativo: convertitevi, cambiate vita. Il suo messaggio è la profezia, l’utopia, il mondo come dovrebbe essere, ovvero caratterizzato dalla giustizia. Per Gesù la giustizia è il valore più alto, ancora più dell’amore. E la costruzione della giustizia è l’impegno di tutti.

Questo significa trovare «l’umano nell’uomo», come scriveva Vasilij Grossman, a cui è dedicato il libro, e «restiamo umani, come ripeteva Vittorio Arrigoni, che citi nel primo capitolo?

La libertà che si compie come bontà: questo è l’umano nell’uomo, questo significa restare umani. Trasformare la libertà in giustizia. Nel precedente volume, scritto durante il lockdown, si afferma che non è il coraggio a vincere la paura, bensì la saggezza, che è la «luce dell’intelligenza unita al calore del cuore». Oggi, nella cosiddetta «fase 2», prevale la saggezza o ancora la paura?
Se ci si ferma a quello che passa sui media è facile scoraggiarsi. Eppure io credo che sotto questa schiuma ci sia una quotidianità fatta certamente di paura, perché problemi e difficoltà esistono, ma una paura controllata e letta alla luce della saggezza. Se non vincesse la dimensione della saggezza, lo stesso tessuto umano non esisterebbe, sarebbe la lotta di tutti contro tutti, la guerra fratricida.

In politica molti agitano la paura, non per superarla, ma per trasformarla in consenso.

Concordo totalmente. «Impaurite le persone e faranno tutto quello che volete», diceva Göring. Il bisogno primordiale degli esseri umani è la sicurezza, quindi intimorire le persone e poi presentarsi come uomo della sicurezza è una strategia precisa. Non solo nella nostra piccola Italia.

Il coraggio è la «forza morale». Il cerchio si chiude, si torna ai maestri

Tutti, credenti e non, dovrebbero chiedere a se stessi qual è la fonte da cui attingere quella forza morale per non diventare cattivi, nel senso latino di «imprigionati», per non perdere fiducia nell’umano, per credere nella giustizia, nella dimensione politica dello stare insieme e del lottare per un mondo più giusto. E la ricerca della risposta si chiama spiritualità.