Garzanti 2018
Vito Mancuso – La via della bellezza
Perché ci viene spontaneo raccogliere sulla spiaggia del mare le conchiglie e i sassolini più belli? Perché rimaniamo incantati davanti a un volto umano o a un dipinto, o avvertiamo un’inesprimibile dolcezza interiore ascoltando musica, o ci soffermiamo con gli occhi spalancati a contemplare un tramonto? Perché, in altre parole, ricerchiamo quella rivelazione, quell’epifania che definiamo bellezza? Vito Mancuso affronta in questo nuovo affascinante libro un mistero che è tipico dell’uomo, e ne interpreta le profondità per farne la bussola capace di orientare il cammino verso la verità. Superando l’aspetto esteriore dei nostri corpi per approfondire il senso dell’interiorità della nostra anima fatta di armonia e fascino, eleganza e grazia, questa riflessione diventa un’avventura alla ricerca delle sorgenti della bellezza in grado di indicarci quali pratiche concrete possiamo mettere in atto per rendere quotidiano il nostro rapporto con essa: solo in questo modo infatti potremo superare ogni indifferenza e tornare, o addirittura iniziare, a gioire al cospetto di quelle opere e di quegli eventi capaci di stringerci il cuore. Perché ricercare e custodire la bellezza è la via privilegiata per onorare il compito che attende la nostra vita.
Vito Mancuso e la via della bellezza come via della salvezza,
una sfida per il pensiero che si interroga sul destino dell'uomo contemporaneo, di Rossana Rolando.
Nella presentazione del suo ultimo libro “La via della bellezza, presso il Centro Balducci, Vito Mancuso riprende un racconto di Kafka. In esso si narra la storia di un vecchio imperatore, ormai prossimo alla morte, che intende mandare un messaggio ai suoi sudditi, a tutti e a ciascuno: al più lontano, al più anonimo, al più misero. Chiama un suo servitore e gli affida questo compito, facendosi ripetere le parole appena sussurrate, tanto è importante quello che vuole comunicare. Il messaggero si mette in viaggio, ma incontra mille ostacoli all’interno dello stesso palazzo imperiale, senza poterne uscire e senza quindi mai arrivare ai destinatari. Questi ultimi però attendono alla loro finestra sognando e pensando che infine qualcuno dovrà giungere.
È questo un bellissimo racconto messianico che riporta alla mente tutta la poetica dell’attesa nella letteratura novecentesca (da Buzzati a Montale, da Rebora a Pavese, da Beckett a Eliot …) e che, in campo filosofico, trova una sua sintesi magistrale nel passo di Walter Benjamin riferito allo spirito ebraico: “ogni secondo era la piccola porta da cui poteva entrare il messia”.
Eppure è anche un racconto che sembra aver perduto la sua presa metaforica sulla vita: chi, nel mondo occidentale, attende ancora il “messia”? L’annuncio nietzschiano della “morte di Dio”, infatti, si è largamente realizzato e, insieme a Dio, è morto anche il desiderio di Dio. Vito Mancuso lo sa bene e lo dice in modo chiaro, quando definisce il postmoderno come tempo senza “centro ideale” verso cui tendere.
Che cosa può salvare? L’interrogativo di fondo è dunque duplice:
1. C’è ancora un messaggio capace di “risanare e liberare” la vita, conferendo ad essa pienezza di senso e valore?
2. Se sì, c’è il modo di risvegliarne il bisogno?
Mi pare questa la grande sfida che Vito Mancuso affronta nel suo ultimo libro, proponendo, come via della salvezza, la via della bellezza. Infatti, se molte grandi parole si sono logorate e hanno perso valore per l’uomo contemporaneo, vi è una parola che resiste ancora e suscita un segreto richiamo.
Per Vito Mancuso questa parola è rappresentata appunto dalla bellezza. Citando Agostino afferma:
«Io penso che quel che Agostino dice della bellezza come simbolo di Dio valga allo stesso modo per la bellezza in senso stretto: essa è sempre con noi, ma, se noi non siamo con lei, non la percepiamo ed è come se non ci fosse».
La bellezza viene a noi in molti modi. Mancuso, nella prima parte del suo testo, descrive, con toni anche lirici, le tre principali sorgenti del bello: la natura (privilegiata origine di meraviglia, che trova nel mare il suo apice sublime); l’essere umano, nella dimensione spirituale del volto (che può dirsi bello anche quando non rispecchia determinati canoni esteriori, ma risplende di una luce interiore); l’arte (cui viene dedicato nel libro uno spazio speciale, con rilevanti approfondimenti critici sull’arte contemporanea e sulla musica).
È la bellezza a rappresentare quella fonte di sapienza che, nel corso del tempo, è stata ed è custodita dalle grandi tradizioni spirituali e religiose, ma anche dalla filosofia, dalla poesia, dall’arte. Non una sola via, infatti, conduce alla verità della vita.
Come si comprende si tratta di un libro ricchissimo di riferimenti teologici, filosofici, fisici, letterari, in cui però il discorso non è mai gioco erudito, fine a se stesso, ma percorso necessario per arrivare al cuore della cosa, quella per cui sentiamo che lì ne va di noi.
Il testo risuona di tutta la complessità filosofica del tema estetico, facendo emergere i grandi interrogativi posti dalla tradizione del pensiero: il bello è una scoperta o una convenzione? E’ soggettivo (è bello ciò che piace) o, invece, oggettivo (il bello esiste e va riconosciuto da una mente educata)? Quale rapporto intercorre tra bellezza e arte? Può esistere arte senza bellezza? In cosa consiste l’esperienza estetica? Quale rapporto esiste tra la natura, l’origine della vita e la comparsa della bellezza?
Bellezza, verità, bene. Già Platone considerava l’idea del bello come la via regia verso il vero e il bene perché tra le idee è l’unica visibile agli occhi sensibili e non solo alla mente. Si comprende dunque che il bello – di cui Mancuso intende ultimamente parlare – non è il semplice risultato di un giudizio di gusto o l’ondivaga attrazione del piacere, ma è la fonte di un’esperienza estetica profonda, intesa come evento, epifania, accadimento, pensiero “performativo” che induce a muoversi, a cambiare, a trasformare la propria vita. Essa implica perciò un soggetto a cui la bellezza si riveli, muovendo in lui risonanze vivissime fino a farsi appello e obbligo morale ad essere belli, compiendo in se stessi e nel mondo l’armonia da cui si proviene:
«Il mondo è salvato già ora in ogni istante dalla bellezza in quanto armonia, è salvato dal precipitare nel caos degli inizi dal medesimo principio di armonia e di organizzazione che l’ha fatto evolvere…».
Ma la vita è davvero bella? Non è forse continuamente insidiata dalla bruttezza e dalla mostruosità, dal dolore e dal male? Vito Mancuso attraversa la grande letteratura del pensiero tragico, da Teognide a Dostoevskij, e mostra come le ragioni della bellezza e dell’armonia convivano con le dimensioni oscure della disarmonia e del caos, facendo esprimere a Pavel Florenskij la sua posizione:
«Si tratta di una visione della vita dell’antichità greca, di un ottimismo tragico. La vita non è affatto una festa e un divertimento continuo; nella vita ci sono molte cose mostruose, malvagie, tristi e sporche. Tuttavia, rendendosi conto di tutto questo, bisogna avere dinnanzi allo sguardo interiore l’armonia e cercare di realizzarla».
Concluderei scegliendo, tra le parole che specificano l’area semantica della bellezza, enumerate e spiegate in appendice al libro, proprio un passo dedicato all’estetica:
«La vera bellezza si manifesta sempre in modo da provocare anche un certo dolore. L’attrazione che essa suscita infatti sconvolge l’io, che avverte non senza disagio di non poter più bastare a se stesso e di aver bisogno di altro, e quindi di dover uscire da sé».
UN’INDAGINE SULLA BELLEZZA DALLA NOTTE DEI TEMPI AI GIORNI NOSTRI
Bello, bellezza, un sostantivo ed un aggettivo che oggi appaiono quasi inflazionati, ma la riflessione intorno ad essi è da sempre al centro della speculazione dell’uomo. Cosa è bello e quali sono i canoni della bellezza? Vito Mancuso, in un libro che consigliamo tra le strenne di Natale, ci offre un excursus sul tema puntuale e gustoso, approfondito e sintetico al tempo stesso. Nonostante le differenze di epoche, culture, religioni, la bellezza resta un mistero che non ci esime dall’indagarlo. Subito dopo Dio, essa rimane l’oggetto d’indagine più affascinante ed imprescindibile, collegandosi al Creatore stesso come sua impronta indelebile. Mancuso ci presenta una riflessione che diventa un’avventura alla ricerca delle sorgenti della bellezza, per poter riconoscere la bellezza stessa in tutte le sue più svariate epifanie, per gustarla appieno, per farne un nutrimento dell’anima e del pensiero. Convince molto anche la tripartizione che Mancuso fa dei tre grandi campi di indagine sulla bellezza: la natura, l’essere umano, l’arte. Di grande sintesi appaiono i capitoli di approfondimento sull’arte contemporanea e sulla musica. L’indice è già indicativo di un approccio al libro che incanterà il lettore, tenendolo attaccato al libro dalla prima all’ultima pagina, come se si trattasse di un romanzo. In realtà è come se lo fosse, perché Mancuso ci offre una sorta di biografia della bellezza per spunti tematici. La bellezza e il dolore: il sublime e la bellezza interiore: temi che trovano spazio esauriente e compendioso nel volume. In appendice il filosofo declina in maniera comprensibile la terminologia sottesa al campo di indagine della bellezza stessa: armonia, arte, bellezza, caos, cosmo-natura, eleganza, estetica, fascino, forma, gloria, grazia, gusto, meraviglia, proporzione, splendore, stile, sublime. Sulla via della bellezza, Mancuso traccia un percorso che va oltre la pura dissertazione estetica per diventare una sorta di storia poetica del sentimento del bello. Dopo aver letto questo libro si guarderà il mondo con occhi diversi, pronti a cogliere ogni impercettibile espressione estetica.
Recensione pubblicata in www.12mesi.it, venerdì 14 dicembre 2018 12mesi.it [Link]
Recensione di Carlo Molari a «La Via della Bellezza»
Recensione di Carlo Molari [PDF]
Nel mese di ottobre dell’anno appena terminato Vito Mancuso ha pubblicato un nuovo, prezioso libro La via della bellezza (Garzanti, Milano). Settantaquattro riflessioni sulla bellezza sono distribuite in dodici capitoli. Segue una appendice con l’analisi linguistica di diciasette termini relativi alla bellezza, disposti in ordine alfabetico e una ricca bibliografia.
Il libro è dedicato “al mio paese, l’Italia, sede di tanta bellezza, perché ne ritrovi la via”. Ha quindi un intento non solo speculativo ma anche pratico, non solo estetico, ma anche etico e formativo. Termina infatti con un elenco di Pratiche per camminare sulla via della bellezza e con il monito a “ricordarsi sempre che via della bellezza è la via della salvezza” (p. 173). Un invito che suppone almeno tre convinzioni: la prima che l’Italia (o il mondo del nostro tempo) abbia smarrito la via della salvezza, la seconda che sia possibile ritrovarla per riprendere il cammino e, infine, che la cultura possa dare un notevole contributo al raggiungimento di questo traguardo.
Il dato presupposto e illustrato in varie maniere è “l’avversione contemporanea nei confronti dell’armonia” (p. 97). Avversione che appare a tutti i livelli del sapere umano: a livello astronomico e biologico, a livello storico ed etico e, di riflesso, anche a livello estetico.
Per chiarire l’incongruenza di tale avversione Mancuso parte dal dato proposto dalla fisica che “ogni essere materiale è risultato di una aggregazione di elementi” (p. 83) e che “ricondotto ai suoi fondamenti, l’essere non si manifesta più come materia solida ma come energia vibrante, una grade onda che produce aggregazioni sempre più complesse, e ogni cosa esistente si rivela come un pacchetto o anche come un accordo di onde” (p. 83). Egli perciò considera l’esperienza estetica come “il risultato della sintonia tra la vibrazione costitutiva dell’oggetto e la vibrazione costitutiva del soggetto. La vibrazione dell’oggetto si lega alla vibrazione del soggetto, il suonare del primo produce il risuonare del secondo: e tale risonanza è esattamente ciò che si chiama esperienza estetica. E poi, nella misura in cui il soggetto possiede il talento di riprodurre la risonanza percepita e di fatto la riproduce, questa sua operazione si chiama arte ” (p. 83).
L’interrogativo centrale perciò al quale in modi vari il libro risponde per suggerire rimedi è formulato così: “perché lo spirito contemporaneo produce questa arte e questa musica così scomposte, irriverenti, estranianti, che invece di comunicare proporzione e forma comunicano il loro contrario? Perché tanta non curanza, per non dire inimicizia, verso l’armonia?” (p. 95).
Per chiarire questo interrogativo Mancuso premette una riflessione relativa alla struttura della realtà in divenire: “nella natura non c’è solo un movimento aggregativo dell’armonia, perché se così fosse, il mondo sarebbe molto diverso; c’è anche il movimento opposto della disarmonia, che provoca la rottura dei sistemi e che nel mondo dei viventi si manifesta come violenza, malattia, morte. Di tutto questo il nostro tempo è tragicamente consapevole e di tale consapevolezza sono la mente e il sentimento degli artisti a rappresentare la più delicata e insieme la più forte espressione” (p. 97). Riguardo alla attuale situazione egli si interroga: “Quale reale espressione dell’armonia è infatti ancora possibile oggi guardando con lucida consapevolezza alla natura e alla storia?” (p. 97). E conclude: “io penso che molta arte contemporanea sia il sintomo del nostro esserci perduti, del nostro essere privi di una meta ideale, della nostra odissea senza Itaca. Penso altresì che l’unica via verso la salvezza consista in una attenta riconsiderazione dell’armonia.” (p. 98).
La convinzione centrale del libro è espressa nel titolo e riassunta in formule esplicite, molto chiare: “La tesi di questo libro è quindi che la bellezza è la via verso la verità della vita. O, detto in altri termini, che la vita è un viaggio la cui meta è la verità e la cui via maestra è la bellezza” (p. 147).
Di fronte alla possibilità di salvezza si ergono però due difficoltà che Mancuso esamina in modo dettagliato perché esigono un esame attento e risposte sincere soprattutto per alcuni aspetti che appaiono momentanei. La storia, infatti, non è la semplice ripetizione di eventi, sempre identici, ma l’irruzione di novità continua in un reale processo di crescita.
Risposta a due obiezioni
La prima difficoltà è di tipo fisico e risulta dalla considerazione degli eventi ristretti alla terra e al sistema solare e quindi facilmente superabile, dato che l’universo come oggi è conosciuto è molto più esteso di quanto si pensava ancora agli inizi del secolo scorso. Secondo i dati della attuale scienza astronomica la nostra piccola terra fra circa cinque miliardi di anni sarà inglobata dal sole in fase finale di espansione e tutto il processo riprenderà da capo per raggiungere un’altra forma di armonia immanente al cosmo che si rinnova continuamente. Ma è anche pensabile una forma di armonia spirituale superiore una volta raggiunta la meta da parte dell’umanità o di altre forme di vita esistenti nell’universo.
Per la nostra attuale condizione, tuttavia, la difficoltà resta valida e conduce alla conclusione che ogni armonia realizzata sulla terra è destinata al fallimento, “a finire nel nulla” così che “il senso ultimo del mondo non è l’armonia ma il suo contrario, la disarmonia detta caos” (p. 98).
Mancuso a questa prima obiezione vede “solo una plausibile risposta: esiste un’armonia superiore rispetto a quella terrestre. Tale armonia superiore può essere pensata nel cosmo, e in questo caso si parla di un’armonia immanente; oppure fuori dal cosmo, e in questo caso si parla di armonia trascendente” (p. 99). Egli conclude: “vista la crescente complessità realizzatasi nel tempo con il passaggio dai gas primordiali alla intelligenza della mente è più plausibile ipotizzare l’esistenza di un’armonia cosmica superiore, piuttosto che il suo contrario. È vero comunque che il concetto di armonia superiore è una proiezione ideale, un’elaborazione della speranza, forse un’intuizione, e che vive dell’utopia della riconciliazione di tutte le cose” (p.100 sottolineature. mie).
La seconda difficoltà nella prospettiva di fede è più difficile da superare, anzi impone una revisione dell’attuale catechismo della Chiesa cattolica. Egli confessa: “Per quanto concerne invece la seconda obiezione devo ammettere che non conosco risposte plausibili, perché essa, a mio avviso è assolutamente fondata: c’è una carico di dolore che rimane inspiegabile e inaccettabile. Per quanto possa essere reale nella sua dimensione cosmica, l’armonia resta una realtà irrealizzabile per i singoli viventi perché uomini e animali soffrono e continueranno a soffrire, ed è proprio tale loro immane e incancellabile sofferenza a impedire strutturalmente la realizzazione di una superiore e giusta armonia” (pp. 100 s.).
È uno dei problemi che in varia maniera ritorna in tutti i libri di Mancuso ed è il tema del male e del peccato. Per la sua presenza “tale armonia costa troppo e quindi è inaccettabile” (p. 98). Di fronte all’esistenza del “dolore, delle immani sofferenze che il processo cosmico richiede ai viventi, sofferenze di esseri umani e non umani, perché tutto ciò che vive, soffre” (p 99).
Alla fine però “c’è una risposta: per permettere la libertà. Ma se è così, questa libertà non costa troppo e non sarebbe il caso, come fece Ivan Karamazov, di «restituire il biglietto»?” (p. 102).
La risposta di Mancuso, anche quando è dubbiosa, resta positiva nei confronti della bellezza e della positività della vita. Convinzione questa più volte ripetuta: “io continuo a essere grato alla vita che mi ha fatto esistere e non intendo restituire, ma piuttosto onorare, il prezioso biglietto d’ingresso. La nostra vita costa, ma io penso sia bello lavorare al servizio dell’armonia, del bene e della giustizia, di una bellezza che genera passione, vitalità, direi anche sensualità perché è qualcosa che si sente e a cui partecipa anche il corpo” (p. 103). Questa convinzione si sviluppa anche con il dubbio razionale ma consiste in una profonda intuizione vitale, meta-razionale (come egli preferisce chiamarla). Essa è “di carattere entusiasta dato che non può essere il prodotto della conoscenza dell’universo, ma nasce dall’esperienza della volontà di vivere” (Albert Schweitzer citato a p. 103). Con altre parole essa ha il carattere di ottimismo tragico come scriveva Pavel Florenskij: “nella vita ci sono molte cose mostruose, malvagie, tristi e sporche. Tuttavia rendendosi conto di tutto questo, bisogna avere dinnanzi allo sguardo interiore l’armonia e cercare di realizzarla” (citato a p. 105).
Può quindi concludere: “Io non so se la bellezza salverà il mondo. Sono però sicuro che può salvare quel piccolo pezzo di mondo che è ognuno di noi. Nutrendosi di bellezza, il nostro io a poco a poco si libera dalle sue ristrettezze e dalla volontà appropriativa, nonché dalle sue paure e dalle sue ansie, si libera insomma da tutto quel magma incandescente e a volte marcescente il cui insieme denominiamo ego, spesso all’origine del cosiddetto male di vivere e di tanta sofferenza” (p. 168).