Il dolore innocente

(Mondadori, 2002)

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità circa il 5% dei bambini che nascono ogni giorno vengono al mondo con un disordine congenito, il che dà una cifra complessiva annua di 3 milioni, più di 8000 al giorno. L’intento di questo saggio è quello di comprendere il significato teologico di questo dato: se Dio, come sostengono le religioni, è la sorgente della vita umana, perché vengono al mondo esseri umani gravati dall’handicap? Come spiegare quei corpi deformi e quelle menti destinate a rimanere per sempre bambine, se all’origine della loro vita vi sono “le mani di Dio”?

È una domanda che da sempre gli uomini si sono posti, e alla quale le religioni e le filosofie hanno risposto in molteplici e contrastanti modi. A partire dall’epoca moderna però, la rivoluzione scientifica ha reso insostenibili le risposte del passato, così che la questione in sede teoretica è stata come rimossa: inutilmente si consultano le opere teologiche e filosofiche contemporanee per trovare anche solo l’abbozzo di una risposta.

In questo orizzonte il presente saggio costituisce la prima monografia che affronta sistematicamente l’handicap come problema teologico. Lo fa – senza trascurare il dialogo con la scienza, le filosofie, le religioni – dal punto di vista della teologia cristiana, giungendo a sostenere che l’unica spiegazione accettabile dell’handicap ha le sue radici nel centro stesso del cristianesimo.

Ma non si tratta della semplice soluzione di un enigma, quasi come se si fosse individuato il colpevole di un delitto. Pensare teologicamente l’handicap comporta per il cristianesimo una profonda revisione del suo tradizionale modo di pensare Dio e la sua azione sulla natura, nonché una radicale ritrascrizione di che cosa si intende con “senso della vita”.

(dal testo della sovraccoperta del volume)


Il libro con prefazione di Edoardo Boncinelli è un analisi lucida che affronta il problema dell’handicap in modo nuovo andando al di là di tutte le giustificazioni che sono state date nel passato. Si rivolge alla filosofia e alla teologia  per trovare il senso umano dell’handicap, il messaggio di cui è portatore, analizzando le risposte date dalle grandi religioni mondiali. L’autore non ha alcuna preoccupazione di difendere Dio né di accusarlo, cerca solo di capire “quanto è teologicamente in gioco di fronte al caso dei bambini che nascono con il peso, umanamente insostenibile ma drammaticamente reale, di un handicap posto all'origine sulle loro spalle innocenti”. L’handicap, dice Mancuso, è un errore della natura, che alla ricerca della relazione ordinata per realizzarsi e procedere può sbagliare, fa parte dunque della logica insita nella natura stessa non imputabile a ciò che noi chiamiamo Dio. 

"Di fronte all’handicap, però, non c’è alcuna risposta dal punto di vista umano. Di fronte all’handicap l’uomo tace. Non ha risposte. Nessuno ha risposte. Sul piano semplicemente umano c’è solo il silenzio, dietro cui si nasconde la compassione oppure più spesso la paura, a volte persino l’orrore. Gli uomini hanno paura degli handicappati. Se la società li ha per millenni emarginati, annullati, cancellati, è perché ne ha paura. E solo la fede in qualcosa di più alto dell’uomo che consente di superare questa paura, come Francesco d’Assisi che bacia il lebbroso. "

L’analisi è condotta con metodo scientifico e passione sentita. Parte dalla distinzione tra il soggetto e il male, il primo ha un valore ontologico in sé ed è bene ed ha diritti innati sacri ed inviolabili; del secondo si conosce la causa, un’alterazione del patrimonio genetico, con l’augurio che conoscerlo e affrontare il problema, possa aiutare ad eliminare la paura che ne deriva. La conclusione e che quello dell’handicap, è uno dei problemi più ardui per il cristianesimo che afferma l'idea che Dio è Amore e con l’uomo ha un rapporto privilegiato. 


Hanno detto

  • Giuseppe Pontiggia (Il Sole 24 Ore, 6 ottobre 2002)
    “Basta che il lettore segua l’autore nella grandiosità del suo disegno e nella ricchezza dei suoi percorsi. Ne trarrà una luce durevole”.
  • Gianni Baget Bozzo (Il Giornale, 1 settembre 2002)
    “Vito Mancuso è un teologo eccezionale e non fa parte dell’accademia teologica. Per questo egli è in grado di porre i problemi in modo radicale. Questo di Mancuso sembra un libro sull’handicap, ma è molto più di questo”.
  • Bruno Forte (Il Sole 24 Ore, 22 settembre 2002)
    “Un libro che fa pensare e ancor più un libro che lancia in maniera profonda la sfida più alta”.
  • Gianfranco Ravasi (Il Sole 24 Ore, 19 giugno 2005)
    “Un’intensa e indimenticabile meditazione filosofico-teologica”.
  • Sandro Magister (sito de l’Espresso, 16 ottobre 2002)
    “Un teologo fuori le mura… la sua scrittura ha il pregio di accompagnare amichevolmente il lettore non specialista sulle vette della metafisica e della teologia pure”.
  • Rodolfo Doni (L’Osservatore Romano, 30 ottobre 2002)
    “Un libro che indaga in uno dei misteri del vivere – cioè il male fisico, la malformazione, l’handicap – con una freschezza che rarissimamente ci è dato trovare”.