A proposito del senso della vita

«Essere semplici, di quella semplicità naturale che sorge dal nostro interno, e che è il segreto della vera bellezza».

Garzanti editore

Sappiamo alla perfezione cosa vogliamo avere – ricchezza, piacere, potere – ma non sappiamo più chi vogliamo essere. Nella grave crisi in cui siamo immersi, necessitiamo continuamente di avversari per definire le nostre identità, e spesso ci scopriamo nemici addirittura di noi stessi, in una sorta di permanente guerra interiore. La filosofia di Vito Mancuso è un’àncora preziosa in questi tempi difficili: rinnovando in noi il desiderio di antiche riflessioni, ci indica la strada per risalire alle radici profonde della nostra coscienza, e ci insegna come il senso e la direzione della nostra vita su questa Terra vadano ricostruiti a piccoli passi, giorno dopo giorno, nella consapevolezza di trovarci al cospetto di qualcosa di più importante di noi stessi. Solo così sapremo entrare in armonia con la logica che determina il nostro cammino e amare quella semplicità naturale dentro di noi che è il vero segreto per una vita degna, una vita che vale la pena vivere, una vita autentica.

Titolo: «A proposito del senso della vita»; ISBN 9788811000778; Autore Vito Mancuso; Casa Editrice Garzanti;  Aree tematiche Saggi; Dettagli: 112 pagine, Cartonato. In libreria dal 5 maggio 2021.

 


Recensione di Giulia Della Michelina, 17 Maggio 2021 – UltimaVoce.it

APSV recensione Giulia della Michelina [PDF]Ultimavoce.it [Link]

Ha ancora senso interrogarsi sul significato della vita? Dopo millenni in cui la filosofia non è riuscita a dare una risposta unanime e l’unica certezza a cui possiamo appellarci sembra la fredda oggettività della scienza? Vito Mancuso in A proposito del senso della vita (Garzanti 2021) ci spiega perché ne vale ancora la pena. Con un linguaggio di straordinaria chiarezza e argomentazioni altrettanto rigorose, Mancuso ci accompagna passo per passo alla riscoperta della cura di sé e degli altri, perché non esiste senso al di fuori della relazione.

Le domande esistenziali appaiono così anacronistiche e fuori posto in un mondo ormai dominato dalla logica dell’apparenza e del consumo. Ma la pandemia ha fatto riemergere l’antico malessere che affligge gli esseri umani e che Mancuso identifica con la mancanza di identità. Viviamo in una condizione “dissociata”, sia da noi stessi che dagli altri. E questa vaghezza porta spesso alla costruzione fittizia di un’identità oppositiva, creando conflitti e nemici. Secondo il filosofo, abbiamo perso un’idea e una direzione collettiva, disperdendoci e isolandoci sempre di più. Se il senso della comunità è venuto meno, le grandi ideologie si sono sbriciolate e perfino “Dio è morto”, non dobbiamo tuttavia abbandonarci al regno dell’assurdo e del non-senso. C’è ancora qualcosa che può fare luce attorno a noi.
È la natura a costruire il punto di appoggio aggrappandoci al quale possiamo sviluppare un’identità basata sull’armonia e non sulla contrapposizione e sull’odio.


Rettificare le parole: i sensi della vita
Riportando un aneddoto riguardante Confucio, Mancuso pone l’attenzione sull’operazione di rettificazione del linguaggio. È importante comprendere il senso profondo delle parole, perché è con le parole che pensiamo e attraverso il pensiero concepiamo le nostre azioni nel mondo. Nella proposta di Mancuso, il senso della vita va dunque “rettificato” e articolato in tre dimensioni intrecciate tra loro. Queste rimandano alle tre diverse accezioni semantiche della parola senso, come significato, sensazione e direzione. Come nota il filosofo, ci sono persone che negano il senso della vita in base alla prima accezione. Ritengono cioè che la vita non abbia alcun significato, che non vi sia alcun mistero da svelare, né alcuna dimensione sovrasensibile a cui accedere. Difficilmente però, queste stesse persone negherebbero la sensazione (che Mancuso chiama il “gusto”) della vita mentre la si vive. E nemmeno la terza dimensione, quella della direzione e del viaggio, della vita che scorre in avanti. Attraverso questa tripartizione Mancuso neutralizza l’obiezione nichilista, ma anche la visione biologica per cui la vita serve solo a riprodurre se stessa.


Perché la sofferenza?
La pandemia, e la conseguente abbondanza di tempo libero, ha spinto molti e molte ad un’attività introspettiva e riflessiva più profonda del solito. Il male, il dolore e la perdita sono entrati di prepotenza nello spazio del quotidiano, da cui più o meno consciamente tentiamo sempre di scacciarli. A quel punto però non potevamo più ignorarli e ci siamo chiesti il senso del loro esistere. Mancuso prova a considerare il male e la sofferenza non come qualcosa da eliminare, ma come una prospettiva ineludibile all’interno della vita stessa. E citando il teologo Pierre Teilhard de Chardin, scrive che il dolore è il motore (indesiderato) del progresso. Il male e il conseguente non-senso sono l’inevitabile prezzo da pagare per la costruzione del senso. Costruzione che si rivela in tutta la sua praticità nell’ingiunzione di “aggiustare”, e non giustificare, la vita. Se il male è sotto i nostri occhi non dobbiamo fuggirne, né passivamente accettarlo, ma agire concretamente per rendere la vita sempre meno ingiusta e dolorosa.


“Siamo nati per la sinergia”
Le tesi proposte da Mancuso sono essenzialmente due. La prima, incentrata sul valore della libertà, è che non c’è senso senza consenso. Questo significa che ognuno di noi è l’artefice o l’interprete ultimo del senso che decide di dare alla propria vita. Siamo noi i responsabili del senso della nostra singolare esistenza qui e ora. Il senso quindi può esistere oppure no. Dipende. Da noi.
Questa tesi riconosce la libertà e la singolarità dell’individuo, che (nietzschanamente) ha sempre la possibilità di acconsentire alla vita. La seconda tesi porta invece al centro la relazione e si esprime così: il senso della vita è la sinergia. Il termine sinergia è ripreso dal filosofo Marco Aurelio, ed è interpretato da Mancuso come il legame costitutivo di qualsiasi forma di vita e tra le diverse entità. Tutto è relazione, aggregazione, interazione, contrariamente a quanto affermato dalla supremazia della sostanza aristotelica. E in quest’ottica le due tesi si ricongiungono poiché “il sentire è sempre consentire, sentire-con, nel senso che si sente quello con cui siamo collegati”.


Qualcosa di più grande
Con queste due tesi Mancuso cerca di raggiungere un bilanciamento armonioso tra le prerogative individuali e la prospettiva relazionale. Il peso eccessivo che l’Occidente ha sempre attribuito alla soggettività monadica deve essere temperato ripensando il sé non solo in relazione, ma come relazione. È da qui che diventa possibile e necessaria la ricerca del senso come costruzione personale e relazionale. L’onnipotenza egoica deve ritirarsi e lasciare spazio alla percezione di un vuoto interiore che tutti e tutte noi esperiamo. Questo vuoto può generare paura, sconforto e la tendenza a colmarlo con oggetti e idee vane e superflue. Ciò di cui invece abbiamo bisogno è riscoprire e preservare questo vuoto, comprendendo che esiste qualcosa di più grande dell’io. Qualcosa a cui ognuno di noi potrà dare un nome diverso.


 Ha ancora importanza interrogarsi sul significato della vita? Vito Mancuso in cento pagine elenca i motivi per cui a quella domanda non è possibile sottrarsi. E nel corpo c’è la risposta, nel corpo e nella sinergia con il mondo.
recensione/intervista di Daniela Monti per 7 Corriere della Sera

Alla ricerca del senso perduto [PDF]Corriere della Sera [PDF]


No, non siamo diventati migliori, perché trovare un senso e una direzione nella vita richiede il coraggio di agire e di rischiare, la fatica di fare domande esistenziali (per definizione prive di risposta immediata), non basta stare chiusi in casa e applaudire dei balconi. Diventare migliori significa mettersi in viaggio, navigare in mare aperto esponendosi al dubbio e anche al naufragio, dice Vito Mancuso nel suo "A proposito del senso della vita", un piccolo libro che sta avendo molto successo. «Il senso della vita è una costruzione» scrive «una nostra costruzione, non è ancora finita e che non lo sarà mai». È fatica, assunzione di responsabilità. Il senso della vita è sinergia: tutto è aggregazione, interazione, fin dai tempi de L'anima e il suo destino Mancuso è il filosofo/teologo della relazione intesa come principio costitutivo dell'essere (contro la supremazia della sostanza aristotelica, che sta alla base della cultura occidentale). «Siamo sempre in relazione, anche quando siamo soli. Hannah Arendt diceva che la vera ragione che la spingeva a non fare del male agli altri era che poi avrebbe dovuto convivere con una delinquente dentro di sé, quindi esiste proprio una dimensione intrinsecamente relazionale a partire da quella fra noi e noi».

È importante oggi ritornare a interrogarsi sul senso dell'esistenza? Senza la convinzione che un senso esista, dice Mancuso, nessuno coltiva il desiderio e lo sforzo di dare un senso organico alle proprie giornate, così «da dove vengo?» diventa «quanto guadagno?», «dove vado?» diventa «cosa mi compro?» e l'interrogazione sul senso della vita si riduce a una raccolta di informazioni sul prezzo delle cose.
La pandemia sembra aver riacceso quelle antiche domande. Ma è davvero improntata alla ricerca la situazione spirituale del nostro tempo? Per Mancuso il panorama umano oggi è contraddittorio: coloro che maggiormente cercano sono quelli che hanno le idee meno chiare, mentre coloro che hanno le idee chiare sono quelli che custodiscono, difendono. Penso per esempio ad una certa maniera di vivere la fede, ma anche la non-fede, in difesa della propria fortezza del proprio fortino. Chi ha deposto l'arroccamento e ha cominciato il viaggio è disposto invece a farsi carico in profondità delle domande di senso. I “cercatori” «ci sono li incontro, certo non è un concerto rock, creano una corrente piccola ma continua. Non sono un sociologo, ma forse queste richieste di senso sono sempre legate ai piccoli greggi, per riprendere un'immagine evangelica. Le masse sono strutturalmente pecore senza pastore. È un discorso che vale anche aldilà dell'aspetto religioso, penso a Pitagora che diceva: non andate per la via principale».
La complessità ha da sempre uno strano ascendente. Il fisico Niels Bohr, uno dei padri della fisica dei quanti, raccontava la storia del rabbino che giunge in una città per parlare. La gente di un villaggio vicino manda un ragazzo ad ascoltare. «Il rabbino ha parlato tre volte», riferisce il ragazzo «il primo discorso è stato brillante e ho capito ogni parola. Il secondo è stato anche migliore ma non ho capito molto. Il terzo è stato il migliore in assoluto: non ho capito nulla e pure il rabbino non ha capito granché di quello che ha detto. Cos'è allora la semplicità di cui parla Mancuso, la semplicità che fa rima con verità? «Il semplicismo dei populismi è non voler avere a che fare con la complessità del reale e offrire soluzioni che invece di sciogliere i nodi con delicatezza e fatica li tagliano, dove a volte i nodi sono persone, vive concrete», risponde. La semplicità, per il teologo, è un percorso che passa attraverso la consapevolezza della complessità, supera le contraddizioni e i dubbi di chi guarda quei nodi, li riconosce, ma si perde nell'aggrovigliarsi dei fili. La semplicità di cui parlo è quando i pensieri si chiarificano e divengono il nostro pensiero. È eleganza, che non a caso è un criterio di verità che si applica nella valutazione delle teorie scientifiche e aggiungo io anche delle teorie esistenziali. La semplicità è mettere ordine nella propria vita, per riprendere il sottotitolo degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di lo Loyola. Bisogna lavorare per diventare semplici: «non è semplice essere semplici».
Mancuso scrive che viviamo in una condizione dissociata, sia dagli altri che da noi stessi, e questo spaesamento ha travolto qualunque certezza sull'idea di identità. Come rispondere all'altra domanda centrale sul senso della vita: chi siamo? «Le identità del passato» dice Mancuso «appaiono sempre più fragili e quando vengono difese diventano identitarie perché si chiudono, generando aggressività. Dovremmo davvero chiederci qual è lo specifico umano. Io penso consista in una certa struttura fisica, un certo codice genetico, la statura eretta. E potremmo dire che l'identità umana si dà nella capacità di riprodurre visioni del mondo. Qualcuno potrebbe parlare dei sentimenti. Io penso che lo specifico umano sia tutto questo e insieme la capacità di negare tutto questo. Ossia libertà. Ed è per questo che il nostro tempo è così incerto perché oggi ne sperimentiamo la grandezza e insieme la miseria: la libertà ci fa sentire miseri, paurosi, in mare aperto, senza più le sicurezze di un tempo. Forse davvero, per la prima volta nella storia dell'umanità, la parte più consistente del pianeta si trova alle prese con il voto.
Ma la fisica ci insegna che l'universo è scaturito dal vuoto e Mancuso è convinto sostenitore dell'analogia fra microcosmo e macrocosmo. Così quel vuoto non è una voragine che inghiotte, ma è un'occasione: noi fioriamo partendo da un vuoto interiore che è lo scarto tra l'essenza primigenia, la coscienza genuina, il segreto, la cripta che c'è in ognuno di noi, e tutte le esplicite azioni mediante le quali l’io si presenta al mondo. A volte questo scarto è paura, abisso, ma quel caos è all'origine del mondo, principio costitutivo di ciascuno di noi, e più sappiamo coltivare quel vuoto, più sappiamo avere affetti veri, creare opere vere. Se non scendiamo in quel vuoto ogni creazione è solo ripetizione. E poi c'è il corpo e qui la distanza di Mancuso della teologia più tradizionale cresce ancora: «A chi rivolgersi? Dove cercare? La mia risposta è: il nostro corpo. È il primo, vero libro sacro, che si riscrive continuamente, è un concerto di sinergie». Dimostrazione tangibile, sempre sotto gli occhi, che siamo nati dalla sinergia e per questo siamo nati per la sinergia. È decisivo. Poi ciascuno potrà scegliere se andare in chiesa, in sinagoga o in una foresta per rendere culto al mistero. Ma se non capisce che il vero culto è quello interiore sarà solo un omaggio alla tradizione».


Esercizi per ritrovare il senso della vita
di Paolo Rodari, Repubblica 4 giugno 2021

L’esistenza, in quanto tale, è relazione. Il suo significato è sinergia. La strada giusta sarà fatta di piccoli gesti in cui riscoprirsi insieme.

Non sappiamo più veramente chi siamo e chi vogliamo essere. Mentre conosciamo alla perfezione ciò che desideriamo avere: ricchezza, potere, piacere. Nasce da questa constatazione, brutale quanto aderente al vero, e che la pandemia del Covid19 ha reso più manifesta, l'ultimo lavoro del filosofo Vito Mancuso, A proposito del senso della vita (Garzanti), pagine che provano a riannodare i fili di ciò che sembra perso per sempre: il senso di ciò che ognuno vuole e può essere, la sua pasta in quanto essere umano, i suoi ideali, i suoi valori. Troppe volte, anche nostri illustri predecessori, hanno identificato sé stessi trovandosi dei nemici, contrapponendosi ad essi. Socrate determinò la sua identità contro i sofisti e i filosofi della natura. Gesù contro le autorità religiose e politiche del suo tempo. È così ancora oggi: la stragrande maggioranza delle persone si definisce in base a ciò e a chi non è e non vuole essere. O meglio ancora, in base a chi è il suo nemico. Per questo viviamo sempre più dissociati, incapaci di collettività, individui singoli e senza possibilità, spiega Mancuso, di «formare una società».                                
Dio è morto da un pezzo. E continua a mancare un'idea madre che armonizzi tra loro le nostre libertà e doni armonia alla vita interiore di ognuno. La soluzione, spiega tuttavia Mancuso, non va cercata fuori di sé, bensì nel proprio interno. Questa una delle grandi rivoluzioni del suo pensiero così profondo e insieme limpido, questo il motore di A proposito del senso della vita: è dentro di noi che vive la possibilità di essere e di generare vita autentica.
Il senso della vita è in noi e non fuori di noi. Adesso possiamo scegliere se essere solo e soltanto contro qualcuno, oppure se abbracciare l'armonia fra di noi, quell'armonia basata su ciò che siamo e cioè sulla nostra stessa natura umana.
Il senso della vita non è qualcosa calato dall'alto, una verità da far propria per partito preso. È una costruzione che ognuno può decidere di fare propria oppure no: è come una strada da prendere, la si può imboccare se lo si desidera, nessuno ci costringe a farlo. E che la costruzione sia la via lo testimoniano tanti pensieri, fra questi quello del gesuita Teilhard de Chardin per il quale «il mondo rappresenta un'opera di conquista attualmente in corso. Il mondo, e dunque anche la nostra vita, è un immenso andare a tentoni, un'immensa ricerca: i suoi progressi possono compiersi «solo a prezzo di molti fallimenti e molte ferite».
Per questo la vita, con il suo male inevitabile, va aggiustata, resa migliore e non «giustificata». Darle senso, provare a darle senso, è scelta personale. Non c'è senso senza consenso, insiste Mancuso. Per questo ognuno di noi è l'artefice o l'interprete ultimo del senso che decide di dare alla sua esistenza.
Ma non è tutto qui. La vita, in quanto tale, è relazione. Il senso della vita è sinergia, spiega Mancuso. Il termine è ripreso da Marco Aurelio. Per Mancuso significa che c'è un legame fra le diverse forme di vita: tutto è relazione. E qui risiede il legame fra le due tesi di fondo del suo libro:
«Il sentire è sempre con-sentire, sentire con, si sente quello con cui siamo collegati». Se è vero che il senso ognuno deve decidere di darselo, è altrettanto vero che esso risiede nella relazione, nel bilanciamento armonioso fra le prerogative individuali e la prospettiva relazionale. L’onnipotenza egotica, quindi, non può essere la strada. La via, semmai, sono piccoli gesti quotidiani in cui riscoprirsi in relazione e insieme bisognosi di senso. Mancuso ne elenca diversi. Fra questi, custodire la bellezza del mondo, pulire, ripulire, ordinare, riordinare. Ricordarsi che anche solo una carta buttata per terra diminuisce la bellezza del mondo e sporca la propria interiorità.
Curare la bellezza fisica, non per lo sguardo altrui, ma per celebrare il proprio esserci. Amare la natura, ricercarla instancabilmente. Amare lo Spirito, invocarlo instancabilmente. Lo Spirito, «che è Signore e dà la vita», vivifica anche la bellezza. E infine ringraziare. Ringraziare la Vita, Ringraziare il Dio, la Dea, o il Divino. Ringraziare il Mistero.