Pars destruens
Nel libro L’anima e il suo destino Vito Mancuso dichiara di non accettare quattro dogmi della dottrina cattolica:
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l’origine dell’anima come creata direttamente da Dio al momento del concepimento umano senza nessun concorso dei genitori;
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il peccato originale come stato di inimicizia con Dio nel quale nasce ogni bambino a causa del peccato di Adamo;
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la risurrezione dei corpi di carne nel giorno del giudizio universale e la loro sussistenza eterna;
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la dannazione eterna dell’Inferno come insuperabile stato in cui arderanno per sempre, irrimediabilmente separate da Dio, prima le anime, poi anche i corpi, dei malvagi.
Vi sono però anche altri asserti dottrinali che vengono messi in crisi dal suo pensiero, in particolare il legame morte-peccato (che viene negato riconducendo la morte non al peccato ma alla natura stessa dell’essere creato) e la salvezza come redenzione mediante la morte e risurrezione di Cristo (che viene negata legando la salvezza eterna non a un singolo evento storico ma alla vita giusta e buona così da poter includere i giusti di tutti i tempi e di tutti i luoghi, compresi gli atei e gli agnostici, in perfetta coerenza con l’insegnamento fondamentale di Gesù quale emerge dai vangeli).
In ambito etico Mancuso si è più volte dichiarato a favore di: contraccezione, fecondazione assistita, principio di autodeterminazione per il fine vita, donazione alla ricerca delle cellule staminali embrionali derivate da fecondazione assistita e ora crioconservate (stimate in circa trentamila).
Pars construens
Individuando nella logica relazionale il principio che muove l’essere-energia e quindi la prospettiva a partire dalla quale guardare il mondo, la proposta teologica di Vito Mancuso è definibile come teologia della relazione. Si tratta di una teologia cristiana della relazione, perché in essa il Cristo è il paradigma della perfetta relazionalità, pienamente verticale (amore per Dio in quanto origine e meta dell’essere) e pienamente orizzontale (amore per il prossimo e per ogni frammento di essere). Il Cristo è il simbolo concreto che manifesta come la relazione più alta sia l’amore, nonché la promessa e la speranza che il compimento della logica relazionale che informa l’essere-energia sarà l’amore.
A partire da questo centro derivano i tratti fondamentali del pensiero teologico di Vito Mancuso, presentati qui in forma necessariamente sintetica.
1) Primato della spiritualità
Il destinatario privilegiato della teologia deve diventare la vita concreta degli uomini, la loro fiducia, la loro speranza, la loro capacità di continuare ad amare. La teologia compie se stessa quando contribuisce a condurre gli uomini all’unione con Dio, alla santità, e il suo senso consiste nel porsi al servizio all’esperienza spirituale. Ne viene che la dogmatica va interpretata in funzione della vita spirituale, quando è necessario ripensandola e rivedendola.
2) Dio
Il senso della dottrina cristiana su Dio in quanto Trinità consiste nel primato della relazione rispetto alla sostanza. Non ci sono prima le tre persone e poi l’unica divinità, ma c’è prima l’unica divinità che, essendo in se stessa relazione, fa sorgere le persone dal suo intrinseco e originario movimento relazionale. Non ci sono prima le persone del Padre, del Figlio e dello Spirito come tre persone autonome che solo in seguito si relazionano: pensare così sarebbe triteismo, e non avrebbero torto gli ebrei e i musulmani a rimproverare i cristiani di politeismo. Al contrario il Padre si costituisce come padre solo nella relazione col Figlio, e se non ci fosse il Figlio non potrebbe essere padre; viceversa il Figlio si costituisce come figlio solo nella relazione col Padre, e dalla loro relazione procede lo Spirito. Quindi prima c’è la reciproca relazione all’interno dell’unica divinità la cui logica interiore è la relazione, e poi, come risultanza delle relazioni, sorgono le persone, le quali, insegna san Tommaso d’Aquino, vanno intese come “relazioni sussistenti”. È in questo senso che si comprende anche che “Dio è amore”, essendo l’amore l’espressione più intensa della relazionalità.
3) Una nuova visione del rapporto Dio-mondo
Dopo la dissoluzione novecentesca delle tradizionali teologie della natura e della storia, oggi il compito più urgente della teologia consiste nel rendere di nuovo concepibile il rapporto Dio-mondo, più in particolare l’azione di Dio nel mondo. A questo riguardo l’azione divina va concepita come una e unica, identica da sempre a se stessa, perché in Dio non ci sono mutazioni. L’impassibilità divina sostenuta dalla teologia classica è da intendere come azione permanente, continua, senza variazioni. Se qualcosa muta nella relazione Dio-mondo, non è perché Dio intervenga operando qualcosa di particolare, magari dopo aver cambiato opinione. È piuttosto il mondo a mutare e ad evolversi, e la sua evoluzione fa mutare il rapporto con Dio. L’evoluzione del polo mondo muta il rapporto bipolare Dio-mondo. Non c’è Dio che prima crea l’uomo, poi assiste sorpreso e amareggiato al peccato di Adamo ed Eva, poi elegge un popolo preferendolo a tutti gli altri, poi si incarna in un uomo, poi… È piuttosto il mondo che, creato continuamente dall’unica e incessante azione divina in quanto natura naturans, va prendendo consapevolezza nella mente umana della sua unione con Dio. La logica che guida l’organizzazione progressiva del mondo è il Logos divino, il Verbo come attività continuamente creatrice, sempre all’opera, sempre al lavoro.
4) Cristologia
I titoli di Logos e di Verbo si applicano a Gesù di Nazaret in senso pieno, in quanto in lui l’eterna relazione di Dio col mondo ha avuto la sua massima consapevolezza soggettiva (“io e il Padre siamo una cosa sola”) e la sua massima manifestazione ontologica (nel porre l’amore quale essenza di Dio). La qualifica di Logos e di Verbo, e anche di Cristo, non appartengono però in modo esclusivo a Gesù: vi sono stati altri fenomeni storici nei quali la continua comunicazione di Dio è giunta a prendere coscienza di sé come Logos o Verbo o Cristo. Cristo è maggiore di Gesù, benché la pienezza del Cristo coincida con la vita umana di Gesù.
5) Soteriologia
La salvezza è presente da sempre nella creazione e nella sua logica che si dice come relazione. Seguendo la logica relazionale immessa continuamente dall’incessante azione divina, praticandola concretamente qui e ora, gli uomini divengono giusti, cioè partecipi di una dimensione più ordinata dell’essere. Tale dimensione apre a una vita al di là di questa vita terrena, denominata dalla tradizione come vita eterna. Si tratta di rifondare la soteriologia pensando la salvezza non più come redenzione legata a un singolo evento storico ma come risultato del lavoro secondo giustizia, tornando all’annunzio originario di Gesù (“cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia”) e destituendo l’impostazione tradizionale basata sul sacrificio del sangue. Dio non ha bisogno del sangue per salvare gli uomini, il Padre si prende da sempre cura dei suoi figli dando loro da sempre la possibilità di essere con lui. La salvezza è presente da sempre nella creazione grazie al fatto che la creazione viene da Dio mediante il Logos, e in questo senso il Cristo (per quem omnia facta sunt, come dice il Credo) è il salvatore di tutto il genere umano. Questa unione inestirpabile tra Dio e gli uomini esclude ogni concetto di colpa e di peccato originale. Non c’è alcuna colpa che grava sugli uomini a prescindere dalla loro libertà, una colpa imputata loro da Dio Padre come peccato a causa del peccato del primo uomo e per la quale occorre il perdono mediante il sacrificio del Figlio sulla croce. C’è piuttosto l’energia caotica della libertà che ha bisogno di essere ordinata e disciplinata per diventare volontà di bene e di giustizia. Quando la libertà viene disciplinata grazie al fascino che l’idea del bene esercita su di lei (fascino in cui consiste l’azione della grazia intesa come azione dello Spirito), essa si esprime come giustizia e ottiene la vita, perché “chi pratica la giustizia si procura la vita” (Proverbi 11,19).
6) Antropologia spirituale
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