Secondo il teologo, la donna triestina di 49 anni, tetraplegica, ha ragione. Ha denunciato l'azienda sanitaria dopo i no al suicidio medicalmente assistito.
Intervista di Valeria Pace a Vito Mancuso
Capisco Martina Il corpo tortura [PDF]
Rispettare la sacralità della vita, compito che ogni persona di retta coscienza deve sentire come proprio, significa rispettare la sacralità della libertà, che è il luogo dove il vivere si manifesta nel modo più intenso. Il filosofo e teologo Vito Mancuso non ha dubbi, è d'accordo con Martina Oppelli, l'architetta triestina di 49 anni resa tetraplegica dalla sclerosi multipla che chiede di poter accedere al suicidio medicalmente assistito, e dopo i ripetuti dinieghi ha scelto di denunciare l'azienda sanitaria (Asugi) per tortura …
«Anche se non la conosco e non sapevo nulla della sua situazione prima, quello che sta sperimentando lei ha un aspetto della tortura, l'ho scritto anche nei miei libri e nei miei saggi: si può giungere a sentire il proprio corpo come una tortura».
In che senso è una tortura?
«La vita umana si dice in diversi modi, esiste una vita fisica, una psichica e una spirituale. Rispettare la sua sacralità è rispettare i tre livelli sotto i quali la vita si manifesta. Solitamente c'è perfetta identificazione tra il corpo e il sé, ma la malattia è il momento in cui questa identificazione viene meno. Quando la malattia diventa qualcosa che separa in modo definitivo e doloroso questi aspetti, quando si sente che la dimensione fisica della propria esistenza è nemica della dimensione più alta, quella libera che si esprime nella decisione, è umano ancor prima che giusto che una persona arrivi a difendersi dal proprio corpo. Siamo la nostra libertà».
Asugi sottolinea il fatto che manca una definizione normativa chiara degli accertamenti richiesti. È giusto che si chieda ai medici di operare in un quadro che ritengono incerto?
«Penso che i medici abbiano il compito di curare le persone. Non è giusto chiedere loro di supplire a carenze della politica, occorre che venga data ai medici e ai pazienti una legge chiara, che faccia capire che questa è una forma di cura ulteriore. Come non lo so, non sono un giurista. Ma il medico cessando la cura del corpo alimenta la cura della libertà. Uno Stato degno di questo nome non può che permettere ai cittadini di esercitare l'autodeterminazione».
I medici propongono a Martina di assumere più farmaci per il dolore e di valutare una cannula per l'alimentazione. Lei si rifiuta perché non vuole perdere la lucidità o essere violata da tubi…
«Quando una persona decide di voler rimanere desta, vigile per giungere all'ora della morte concederglielo è il massimo della cura. Sarebbe incuria imbottirla di farmaci e psicofarmaci per non far sentire il dolore e toglierle la libera coscienza. Una buona morte è poterla vivere, poter dire addio o arrivederci o quello che la propria spiritualità consente di dire al mondo e ai cari. Non è una buona morte quella di chi è lasciato a vegetare come un pacco con tubi che gli entrano nel corpo. Certo che Martina deve poter rifiutare i farmaci, se la vogliamo curare. Se la vogliamo sfruttare rendendola una bandiera ideologica allora si continui a non ascoltarla, ma così si fa tutt'altro che curarla».
Martina ci tiene ad apparire in ordine nonostante la malattia. Questo, dice, spiazza, tanto che dopo il secondo diniego ha pensato di postare video dei suoi momenti meno dignitosi per far capire meglio le sue condizioni, poi ci ha ripensato…
«Penso sia bellissimo che un essere umano mantenga la propria dignità anche dal punto di vista estetico. Ognuno di noi sceglie la modalità con cui presentarsi agli altri, siamo anche esteriorità. Le persone che pensano che per mostrare di soffrire si debba essere brutti, maldisposti e sconci dimostrano miopia spirituale, non sanno capire la profondità della cura della bellezza per il benessere».
La difficoltà che si prova ad accettare che una persona come Martina voglia andarsene che cosa dice di noi?
«Parla dell'ignoranza strutturale con cui abbiamo a che fare, soprattutto in questo tempo, dove l'essere umano è oggetto di una cultura falsa, che lo fa sentire eternamente giovane, bello, capace di viaggiare. A Bologna dove vivo – e penso sia cosi in tutte le grandi città – non si vede più un annuncio funebre, non si vede un funerale, non ci sono più case che mostrano il lutto. Fino a tempo fa si pregava la Madonna "adesso e nell'ora della nostra morte", era una cosa naturale. Diceva Platone che tutta la filosofia è imparare a morire. E non è solo imparare a morire noi stessi ma accettare la morte altrui, che siamo finiti, provvisori. Se ha un senso la ricerca spirituale è proprio quello di ragionare su questi limiti. Il compito della spiritualità è destare alla verità delle cose: si muore e ciascuno deve avere la sua morte».