Filosofia dell’ascolto

Occorre imparare ad ascoltare per evolvere, mentre siamo sempre più egoriferiti e sordi agli stimoli. Noi siamo come suoni ma possiamo diventare musica, e per farlo dobbiamo accordarci con gli altri 

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Filosofia dell'ascolto [PDF]

Tutte le cose più importanti della vita avvengono al passivo. Dicendo “passivo” qui non intendo inerzia o inattività bensì “passione”, termine che ha un duplice senso: irresistibile trasporto (“non resisto, è la mia passione”) e insopportabile sofferenza (“la passione di Cristo”, o anche “la passione di Gaza”). Tale concetto veicola le due esperienze decisive dell’esistenza, la bellezza e la sofferenza. Le quali vengono esperite entrambe al passivo. Per questo sostengo che tutte le cose più importanti della vita avvengono al passivo …

Con ciò non intendo negare l’apporto della libertà cadendo nel fatalismo, ma piuttosto privilegiare l’ascolto. L’ascolto in tutte le sue dimensioni è quanto ci consente di essere consapevoli e vigili al cospetto di forze più grandi di noi che ci fanno patire e insieme gioire. Sto dicendo, in altri termini, che la vita nella sua pienezza si origina dall’unione simbiotica di due movimenti, il primo dei quali ci desta dal torpore della superficialità in cui si vive solo da spettatori per farci agire attivamente in prima persona, mentre il secondo ci fa comprendere che questo nostro agire non si deve conformare su di noi e a vantaggio di noi ma aprirsi a una dimensione più grande. Il primo movimento ci rende attivi, il secondo passivi. Di quella passività però che è apertura e che orienta verso qualcosa più importante di noi. Il primo movimento genera autostima, il secondo genera stima. 

Definisco la stima “devozione dell’intelligenza”. Un essere umano si compie quando, essendo giunto a stimarsi, trova qualcosa più importante di sé cui conferire la propria stima. Sotto questo profilo la vera stima nasce quando si sciolgono le catene mentali e si comincia a guardare in modo libero dalla prigione del sé, da quella ristretta angolatura della mente e del cuore che porta a considerare la realtà come un sistema geocentrico in cui al centro di ogni cosa ci sono io e tutto deve ruotare intorno a me. Vivendo secondo questa ristretta prospettiva si può avere un atteggiamento predatorio guardando agli altri come prede, o al contrario vivere nella paura sentendosi preda degli altri, ma in entrambi i casi si passa l’esistenza all’interno di un sistema egocentrico simile all’antiquato sistema astronomico geocentrico che deriva dall’ignoranza e che genera una relazione distorta con la realtà.

Crescendo invece si inizia a vedere il mondo secondo l'eliocentrismo copernicano e così si comprende la reale proporzione delle cose capendo che la realtà è più importante di noi. Questo primato della realtà genera l’atteggiamento fondamentale della passività in quanto ascolto, o attenzione, e costituisce la decisiva conversione della mente. Gesù ne parlava dicendo “metànoia”, Platone “periagoghé”, Plotino “epistrophé”, la sapienza ebraica “teshuvà”, e il Buddha “bodhi”, termine che significa risveglio e che genera appunto la parola Buddha ossia risvegliato. È la conversione alla verità della realtà. È il passaggio dall'egocentrismo al teocentrismo. 

Elogiando il teocentrismo non intendo affermare che la maturità di una persona consiste necessariamente nel credere in Dio. Intendo piuttosto ciò che ha scritto Thich Nhat Hanh, monaco buddhista vietnamita, tra i più grandi maestri spirituali del nostro tempo: “Per esperire pienamente la vita come esseri umani tutti noi abbiamo bisogno di entrare in comunione con il nostro desiderio e realizzare qualcosa di più ampio del nostro sé individuale”. Questo qualcosa di più ampio è sempre stato avvertito dalle grandi tradizioni spirituali e dai grandi filosofi e nominato per lo più mediante la categoria di divino, ma è chiaro che se ne può parlare anche in altro modo. L’essenziale è entrare in contatto con ciò che è più importante di noi. Ma, ancora più essenziale, è percepire che ciò che è più importante di noi esiste “dentro” di noi. I vertici spirituali dell’umanità hanno da sempre fatto esperienza di questa dimensione scoprendo dentro di sé una dimensione più importante di sé, lo attestano tutte le grandi tradizioni per le quali aderire alla legge che si scopre nel profondo di sé equivale ad aderire alla legge che forma e mantiene il mondo e alla quale in Occidente ci si riferisce normalmente dicendo Dio (e altrove in altri modi tra cui Logos, Nous, Dharma, Brahman, Tao). Nella nostra epoca Etty Hillesum ha descritto così questa medesima esperienza: “Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio”.

Quando si entra in contatto con questa dimensione sentita ed esperita dentro di sé si diventa passivi, nel senso che si sviluppa la passione dell’ascolto. Da tale pathos del tutto peculiare non discende inerzia, ma al contrario quell'attività suprema che è simbiosi di passività e di attività e che, con una parola sola, si chiama “arte”. Nell’arte, infatti, il passo essenziale avviene al passivo e consiste nella ricezione del talento e dell’ispirazione, mentre solo dopo entra in gioco il lavoro personale. Il che vale a maggior ragione quando l’arte viene fruita, quando pressoché tutto si gioca nell'ascolto. 

Noi non ascoltiamo solo con l’udito, lo facciamo anche con lo sguardo, il palato, il tatto, il naso: tutti i sensi sono in gioco in quell'atteggiamento che denomino ascolto o attenzione. L'ascolto per eccellenza però avviene mediante l'udito. E tra i diversi tipi di ascolto uditivo, quello per eccellenza è riservato alla grande musica. Perché la musica detiene tale primato? Perché riproduce la musica che è il mondo. 

Nella sua essenza ontologica, infatti, il mondo consiste in una vibrazione energetica, ovvero nella medesima struttura della musica. L’aveva già intuito Pitagora, ma noi oggi sappiamo dalla fisica che a essere originaria non è la materia ma è l’energia. Max Planck, il padre della teoria dei quanti, dichiarò un giorno: “In quanto fisico che ha dedicato tutta la sua vita alla scienza più sobria, allo studio della materia, sono sicuramente libero dal sospetto di essere un sognatore. E così a seguito delle mie ricerche sull’atomo vi dico: la materia in sé non esiste. Ogni materia nasce e consiste solo mediante una forza, quella che porta le particelle atomiche a vibrare e che le tiene insieme come il più minuscolo sistema solare”.

Prima della materia quindi c’è la forza, precisamente la forza che fa vibrare l’energia allo stato caotico portandola a configurarsi come materia. Planck parla di vibrazione, e cos’è la musica se non vibrazione? Per questo la musica appare come la più efficace modalità di esperire e rappresentare il principio costitutivo del mondo. 

In questa prospettiva fare musica non riguarda solo i musicisti: tutti noi siamo chiamati a essere musica. Siamo suoni, dobbiamo diventare musica. Il senso del nostro essere qui è accordare i nostri suoni elementari ponendoli in successione tale da produrre una melodia dentro di noi, e poi cercare di armonizzare la melodia ottenuta con quella degli altri viventi. Questa armonizzazione tra la nostra musica interiore e quella degli altri si chiama “religio”. La religio (uso il termine latino perché quello italiano corrispondente è ormai consumato) è una successione ordinata dei suoni prodotti da quello strumento del tutto peculiare che è la libertà. Se c’è religio, la libertà si accorda con la musica originaria del mondo e con quella degli altri viventi diventando una nota consapevole e lieta della Grande Armonia. E il primo passo decisivo di questo processo virtuoso consiste nell’imparare ad ascoltare.

Vito Mancuso, La Stampa 27 dicembre 2023