All’Occidente serve una nuova utopia

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Holodomor. Penso che potremmo cominciare da qui a fronteggiare il senso di impotenza che serpeggia in tutti noi al cospetto del più grande dispiegamento di volontà di potenza in Europa dal 1939 a oggi. Holodomor in ucraino significa “sterminio per fame” e rimanda alla carestia che tra il 1932 e il 1933 causò la morte di un numero imprecisato di contadini ucraini, con stime che vanno da un milione e mezzo a cinque milioni. Si trattava dei cosiddetti “kulaki”, i contadini che, possedendo un terreno di proprietà, si opponevano alla collettivizzazione comunista e che vennero liquidati da Stalin sottraendo loro ogni alimento. Puntualmente ieri Mattia Feltri ricordava il grande scrittore Vasilij Grossman (di famiglia ebraica, madrelingua russo, nato in Ucraina) che ne narra lo sterminio nel romanzo “Tutto scorre…”, opera a cui affiancare il saggio dello storico inglese Robert Conquest “Raccolto di dolore” e il romanzo dell’ucraino Vasyl’ Barka “Il principe giallo”. Il 23 ottobre 2008 il Parlamento europeo ha votato una risoluzione che dichiara Holodomor “crimine contro l’umanità”, come già riconosciuto da Usa e Canada, ma da allora la gran parte dei paesi occidentali, tra cui Germania, Francia e Italia, non hanno formalizzato il riconoscimento. Il motivo non è difficile intuirlo, penso si chiami gas. Perché mettere a rischio i nostri interessi economici per un fatto accaduto quasi un secolo fa? …

Ed eccoci alla nostra principale arma, le sanzioni economiche. Ieri Massimo Giannini sosteneva che esse sono “una spada senza impugnatura” che mentre ferisce chi viene colpito ferisce al contempo chi l’impugna. È vero, ma il punto è che dobbiamo essere pronti, mi si passi l’arcaismo, a “fare sacrifici”. Amiamo davvero la giustizia, la libertà, la democrazia? Se sì, dobbiamo essere disposti a pagare per difenderle, nulla è gratis nella Storia. Onorare la giustizia riconoscendo il genocidio dei kulaki nonostante l’opposizione della Russia, così come il genocidio degli armeni nonostante l’opposizione della Turchia, significa mettere in atto una politica che pone al primo posto la giustizia, e non l’interesse economico. Avremo meno gas e staremo al freddo? Vorrà dire che staremo in casa con due maglioni e i mutandoni di lana, come le generazioni delle nostre madri e dei nostri padri abituati alla durezza della vita.
Edith Bruck si domandava su questo giornale: “È mai possibile che l’uomo non impari?”. In realtà, sembra che Putin abbia imparato molto bene la lezione della Storia, quella sintetizzata dallo storico greco Tucidide nel discorso degli ambasciatori ateniesi agli abitanti dell’isola di Melo, alleati di Sparta nella guerra del Peloponneso e appellatisi al senso di giustizia: “I concetti della giustizia affiorano e assumono corpo nel linguaggio degli uomini quando la bilancia della necessità sta sospesa in equilibrio tra due forze pari. Se no, a seconda: i più potenti agiscono, i deboli si piegano” (La guerra del Peloponneso, V, 89). Gli ateniesi, più forti, agirono, e i meli, più deboli, si piegarono. Oggi i russi, più forti, agiscono, e gli ucraini, più deboli, si piegano. Non è cambiato nulla da allora. Torna allora a maggior ragione e sotto nuova luce la domanda di Edith Bruck: “È mai possibile che l’uomo non impari?”. Che cosa dovrebbe imparare? Che la giustizia non è un mero compromesso tra due forze di pari intensità, ma è la logica più vera del mondo, grazie alla quale la vita fiorisce e senza la quale la vita deperisce, sanguina, muore. Questo dovrebbe imparare, ma, a ben vedere, anche questo l’uomo lo sa da tempo, come mostra lo stesso Tucidide riportando le parole di Pericle a lode della democrazia, quando lo statista ateniese disse che l’ordine politico di Atene si chiamava così, democrazia, in quanto “governo non di pochi, ma della cerchia più ampia di cittadini”, nel quale “vige per tutti di fronte alle leggi l’assoluta equità di diritti” (La guerra del Peloponneso, II, 37).
Eccoci quindi alla vera alternativa di fronte a cui la coscienza di ognuno di noi è chiamata a decidersi: la forza o la giustizia. Per affermare la seconda, come ogni democrazia veramente tale è chiamata a fare, talora occorre pagare, rimetterci, ma, se l’economia è al di sopra di ogni cosa, ciò non sarà mai possibile, a cominciare dal riconoscimento di Holodomor. È questo l’insegnamento della guerra in Ucraina: la conversione dell’Occidente al primato della giustizia rispetto all’economia. Utopia? Sì, ma la debolezza occidentale segnalata da moltissimi commentatori sta, a mio avviso, proprio qui: nella mancanza di un’utopia, di una motivazione ideale più importante delle tasche. Senza questa utopia avrà inevitabilmente ragione il cinismo degli ambasciatori ateniesi e di tutti coloro che ne ribadiscono la logica, tra cui Hegel con la sua “astuzia della ragione”, Nietzsche con la sua “volontà di potenza”, Carl Schmitt, giurista del Terzo Reich, con la sua “teologia politica”.
A proposito di teologia, si legge nel profeta Isaia: “Sentinella, quanto resta nella notte? Sentinella, quanto resta nella notte? La sentinella risponde: Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!” (21,11-12). Questo è il compito della coscienza morale: come una sentinella chiamare alla conversione al primato della giustizia.
Giannini illustrava “l’alternativa del diavolo” cui si trova di fronte l’Occidente, tra l’accondiscendente “spirito di Monaco” che darebbe a Putin lo stesso spazio concesso a suo tempo a Hitler e il bellicoso “spirito di Marte” che farebbe del nostro continente una nuova immensa Stalingrado. Ma se provassimo a concepire un’alternativa diversa, non del diavolo ma dell’angelo? Intendo uno spirito di Marte che faccia guerra anzitutto alla nostra ipocrisia, al nostro mettere sopra ogni cosa i nostri interessi economici, al non essere pronti a non fare più sacrifici per nulla, a cominciare dal riconoscere Holodomor, domani stesso in Parlamento, quale crimine contro l’umanità.

Vito Mancuso, La Stampa 26 febbraio 2022