Quell’addio disperato al volto di Gesù

Sono stato al teatro Parenti di Milano a vedere l’opera Il concetto di Volto nel Figlio di Dio del regista Castellucci. Quello che mi ha colpito arrivando è stata anzitutto la polizia, tantissima, quale nessuno si aspetta davanti a un teatro. La minaccia da cui doveva difendere direttrice, regista, attori e forse anche noi spettatori era una miscela di fanatismo religioso e di violenza fascista. …..

Una miscela spesso manifestatasi nella nostra storia e nella cui trappola la gerarchia vaticana ancora una volta è caduta avendo preso sul serio, con una lettera della Segreteria di Stato del 16 gennaio, l’appello alla guerra santa lanciato da alcuni di questi fanatici. Quanto si legge nella lettera del Vaticano (“Sua Santità auspica che ogni mancanza di rispetto verso Dio, i Santi e i simboli religiosi incontri la reazione ferma e composta della comunità cristiana”) ha condotto alcune decine di parlamentari e cittadini ad adoperarsi per impedire la messa in scena dello spettacolo.Di fronte a tutto ciò il compito del pensiero è distinguere i diversi livelli della questione, sedando le passioni e favorendo la riflessione, e a questo riguardo ritengo che l’opera di Castellucci sollevi tre ordini di problemi: giuridici, artistici e religiosi. 

Il livello giuridico è il più semplice perché, nel nome della libertà di espressione, occorre tutelare la libertà dell’artista così come quella degli spettatori. Penso debba essere fuori discussione la messa in scena dell’opera e la sua permanenza fino a quando il pubblico la vorrà, e trovo quindi inammissibile che la Curia si sia permessa di criticare le scelte della direzione del Teatro Parenti senza aver visto lo spettacolo. Però non posso fare a meno di chiedermi come si reagirebbe se qualcuno mettesse in scena uno spettacolo con tesi negazioniste sulle camere a gas oppure con tesi filomafiose di esaltazione degli assassini di Falcone e Borsellino : varrebbe anche allora l’assoluto della libertà di espressione? Davvero non ci sono limiti alla dissacrazione?

Per quanto concerne il profilo artistico, si tratta a mio avviso di un’opera mediocre, con un testo ripetitivo e molto povero, senza movimento né dinamismo. Mi ha impressionato per la sua carica di realismo, ma non mi è piaciuta per l’assenza di una delle caratteristiche essenziali dell’arte, cioè la dimensione trasfigurante, quella capacità di riprodurre la realtà senza caderne prigionieri, di servire il vero mantenendo la poesia, come nella grande pittura di Michelangelo o Van Gogh, o nel teatro di Eduardo De Filippo. Quanta immensa e torrenziale poesia c’è in Giobbe, quanti colori e quante malinconie, del tutto assenti nel piatto grigiore di Castellucci.

Infine il profilo religioso. A mio avviso non si tratta di un’opera blasfema, perché manca il beffardo tono dissacratorio che caratterizza l’atto blasfemo. Tuttavia c’è un momento in cui vedendola ho provato disagio, quando l’attore più giovane bacia a lungo sulla bocca il Gesù di Antonello da Messina con un bacio che fa pensare solo all’erotismo, per nulla alla devozione. Prima un bacio, poi una serie di pugnalate. Di una cosa sono certo, che non si tratta di un’opera religiosa, come vorrebbe il regista. Perché un’opera si possa definire religiosa, infatti, non è sufficiente che contenga elementi biblici o religiosi, perché altrimenti nessuna lo sarebbe di più dell’Anticristo di Nietzsche. La presenza di riferimenti alla religione ne fa piuttosto un’opera antireligiosa, dove cioè viene negato il movimento in cui consiste essenzialmente la religione, ovvero la relazione di se stessi con tutti i propri problemi (compresa la decadenza fisica e l’incontinenza) a un senso più ampio e più avvolgente, sentito come salvezza e rifugio rispetto alla disperazione. C’è pietas e tensione etica, ma non c’è religio, né c’è affidamento, e il risultato è solo rabbia e disperazione.

Occorre poi prestare attenzione al titolo, Il concetto di Volto nel Figlio di Dio. Se c’è un valore che l’Occidente ha espresso nella sua storia millenaria, esso è proprio il volto. Se si considera l’arte non occidentale (araba, cinese, giapponese…) emerge all’istante quanto sia secondaria la presenza del volto umano. Al contrario, se si togliessero dai nostri musei i dipinti e le sculture raffiguranti volti umani, non rimarrebbe quasi nulla. La tradizione occidentale scaturita da Atene+Gerusalemme ha fatto del concetto di volto il cardine della propria concezione etica del mondo, ed è da qui che politicamente sono scaturiti i diritti dell’uomo. Vedere qui che di fronte al dolore e alla malattia si squarcia il volto del figlio di Dio e del figlio dell’uomo, il volto di quel Gesù così umano, è assistere al ripudio del valore centrale della nostra tradizione. Ha scritto Simone Weil: “Contemplare la sventura altrui senza distoglierne lo sguardo; non solo lo sguardo degli occhi; ma senza distoglierne lo sguardo per mezzo della rivolta, o del sadismo, o di qualsiasi consolazione interiore”. Continuare a far vivere dentro di noi “il concetto di volto” è, a mio avviso, di importanza vitale per la nostra umanità, mentre l’opera di Castellucci ne è un addio amaro e disperato.Non credo che per questo un cattolico debba sentirsi offeso o addirittura vilipeso. Seduto in seconda fila, non mi sono sentito nulla di tutto ciò. Mi sono sentito semplicemente diverso dalla sua percezione del mondo e della vita. Ancora di più però mi sento diverso rispetto a quei cattolici che sono giunti a minacce violente verso la direzione del teatro e verso il regista, gente che cova dentro di sé un odio verso la modernità e un immenso complesso di inferiorità verso l’Islam per la sua capacità di presa sulle masse. Il Vaticano dando loro ascolto ha commesso il medesimo errore, seppure molto meno grave, di quando tre anni fa riammise quel vescovo lefebvriano negazionista e antisemita, egli sì esplicita negazione del concetto del volto del figlio di Dio.

La Repubblica, Giovedì 26 Gennaio 2012 [PDF1],[PDF2]