Il contributo del prof. Vito Mancuso al libro di Marco Vergottini "MARTINI E NOI" edizioni PIEMME settembre 2015
“Non mi spaventano tanto le defezioni dalla Chiesa o il fatto che qualcuno abbandoni un incarico ecclesiastico. Mi angustiano, invece, le persone che non pensano, che sono in balìa degli eventi. Vorrei individui pensanti. Questo è l’importante. Soltanto allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti” (Conversazioni notturne a Gerusalemme, p. 64).
Ho scelto questa frase quale esergo dell’intervento perché il mio rapporto con Carlo Maria Martini è stato segnato principalmente da due elementi: il mio abbandono del sacerdozio e il mio pensiero teologico.
Venni ordinato da lui nel Duomo di Milano il 7 giugno 1986, a settembre iniziai il ministero sacerdotale in una parrocchia cittadina, ma dopo neppure un anno mi recai in arcivescovado per dirgli la mia impossibilità di continuare a essere prete. Ricordo il suo sguardo calmo e affettuoso, immagino lo stesso con cui per anni nella sua attività di critico testuale aveva analizzato i papiri e le pergamene dei codici neotestamentari: uno sguardo teso a far emergere da un lato la verità del frammento, senza nessuna tesi precostituita ma con il solo amore della verità filologica, e dall’altro desideroso di rendere presente l’attualità del contenuto per farlo risuonare nel cuore del lettore. Anche le esistenze sono un testo da interpretare, anche per loro occorre mettere in atto un’ermeneutica che sappia coniugare la freddezza oggettiva dell’analisi formale con la passione calorosa per il contenuto. E proprio come un sapiente ermeneuta il mio vescovo in quella lontana sera d’estate leggeva la mia giovane esistenza in crisi cercando di capirla per servirne l’autenticità e farla rifiorire. Mi disse che a suo avviso ero stato ordinato troppo giovane (avevo 23 anni e sei mesi), che comunque per lui anche l’età canonica di 25 era prematura perché i presbiteri avrebbero dovuto essere ordinati come minimo a 33 anni, che avrei dovuto riprendere subito gli studi teologici che erano la mia vera vocazione e poi, in quel clima di discernimento, decidere con calma cosa fare della mia esistenza. Concluse proponendomi di partire per Roma, destinazione Gregoriana, per conseguirvi il secondo grado accademico. Dopo neppure una settimana però mi fece tornare in arcivescovado e mi disse che c’era la possibilità di andare a studiare a Napoli vivendo a casa di don Bruno Forte, allora giovane e brillante teologo diventato famoso per i suoi libri sulla cristologia e la dottrina trinitaria, cui la Cei aveva affidato la relazione teologica del Convegno ecclesiale nazionale di Loreto del 1985. “Che cosa preferisci, Roma o Napoli?”. “Eminenza, non lo so, Lei dove andrebbe, a Roma o a Napoli?”. “Io andrei a Napoli”. Nella città partenopea trascorsi due anni, dal 1987 al 1989, studiando intensamente anche il tedesco. Poi iniziai a lavorare in editoria.