A Pasqua si celebra quella di Cristo ma il simbolo che rappresenta va al di là della fede. Oggi a correre un pericolo mortale è l’anima, l’unica che può costituire la nostra rinascita.
Il punto decisivo consiste nel chiarire che cosa dentro di noi sta morendo, per comprendere se esiste almeno un po’ la possibilità che un giorno possa risorgere. Sul fatto che qualcosa dentro di noi stia morendo, nessuno, penso, ha più dubbi: lo sentiamo perfettamente, è un rumore sordo e persistente, una specie di basso continuo che ritma funereo le nostre giornate e che deriva dalla consapevolezza delle sempre più incombenti minacce: la guerra nucleare, l’emergenza climatica, lo scollamento tra generazioni mai così profondo nella storia dell’umanità, le abissali sperequazioni tra i pochi super-ricchi e le masse di diseredati, le migrazioni così massicce di popoli da generare una “deriva dei continenti” di tipo sociale, l’uso dell’intelligenza artificiale assai facilmente trasformabile in abuso, l’ingegneria genetica che corre esattamente lo stesso rischio. E poi c’è quel processo di crescente “infantilizzazione delle masse”, per dirla con Amos Oz, che cancella il confine tra politica e spettacolo per cui la gente non vota più chi può governare meglio, ma chi emoziona e diverte, perché questo oggi desiderano i più: essere emozionati, come bambini viziati nel paese dei balocchi. Tutte insieme queste ombre che gravano su di noi costituiscono una tale oscura densità da portarci a dire: “Basta, voglio andarmene da questa via crucis”. Ma di fronte a minacce così globali non è possibile scappare da nessuna parte. Perciò torna la domanda: che cosa precisamente dentro di noi sta morendo?