Il ruolo della teologia

IL RUOLO DELLA TEOLOGIA: CONVERTIRE LE RELIGIONI AL BENE COMUNE

Giovedì 27 febbraio 2025 il prof. Vito Mancuso inaugura il Centro di Formazione Ospedale Ferrero a Verduno CU

Intervista di Paolo Cornero per la rivista IDEA.

Il Ruolo della Teologia [PDF]

Tutto esaurito all’Auditorium di Verduno per la lectio del teologo laico e filosofo Vito Mancuso. I temi anticipati alla Rivista IDEA: dall’importanza della formazione continua alla medicina intesa come arte, sino alla riflessione sul “fine vita” e sul ruolo determinante dei ministri religiosi nel processo mondiale di pacificazione.

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Partiamo dal titolo: “L’insegnamento della medicina da Ippocrate all’intelligenza artificiale”. «Subito due precisazioni. La prima è che si tratta di un titolo che non ho scelto io, ma che mi è stato affidato: un po’ come i temi al liceo (sorride). La seconda: non ho ancora svolto il tema…»

Siamo arrivati in anticipo? 

«Meglio, così colgo con l’occasione per fare alcune riflessioni con lei, posso già immaginare il mio percorso».

Un onore costruirlo con lei …

«Non mi soffermerò solo sulla sulla medicina nel suo complesso, anzi, non tratterò quasi per nulla la medicina, non avendola io praticata, non avendola io studiata. Mi soffermerò invece sull’insegnamento».

La domanda è banale: cosa significa insegnare? 

«Giriamo il quesito. È importante sapere quali sono le condizioni per essere un buon insegnante».

Ovvero?

«Per un docente di Scienze, si può “docere” solo se c’è il “discere”, ovvero l’imparare. La formazione permanente è la chiave: si deve essere studenti per tutta la vita, condizione imprescindibile per essere buoni insegnanti, in medicina come in qualunque altro ambito. Più ci si avvicina all’essere umano più l’umanità entra in gioco. La medicina è più un’arte, anzi, si compie esattamente come l’arte: presuppone la dimensione scientifica, ma poi non si riduce ad essa, perché esiste un’unicità del singolo atto, la singola visita, il singolo paziente. Ciò richiede una messa in gioco di fantasia e improvvisazione. “Insight”, dicono gli inglesi». 

L’arte della medicina.

«Nella medicina sono racchiuse tutte quelle caratteristiche che richiedono un’operatività diversa da quella scientifica, che avvicinano di più a quella interpretazione originale e singolare che è la singola opera d’arte. È importante l’educazione umana, intesa non solamente come buone maniere, ma proprio come disciplina, cultura, socialità, moralità». 

Come si evolve la figura del perfetto insegnante nella nostra epoca, la più tecnologica di sempre?

«I medici della mia infanzia avevano contatto fisico, poi hanno iniziato a usare sempre più gli strumenti. Oggi, in alcuni casi, neanche quelli: ci si limita a digitare tasti sulla tastiera, a volte neanche ti guardano in faccia, ti chiedono delle cose e scrivono. Sembra di parlare con un segretario». 

Una “medicina digitale”.

«In un certo senso sì. Io so che la buona, giusta ed efficace medicina sia quella che torna al tatto, all’umanità, al rapporto umano. La fiducia generata dal rapporto umano è intrinsecamente un farmaco». 

La speranza è un farmaco. 

«Che la speranza sia un farmaco non sono io a dirlo. Da teologo porto “acqua al mio mulino”, ma sono eminenti medici che lo sottolineano, persone che hanno un'esperienza diretta sul campo. L’effetto placebo del resto lo dimostra. Ormai è attestato, è un fatto clinico, ma esiste anche il corrispettivo negativo: l’effetto nocebo. Ci sono persone che si lasciano suggestionare negativamente, magari in casi di diagnosi errate. La mancanza di speranza che chiamiamo disperazione».

Su questo fronte la carenza di figure religiose negli ospedali può influire negativamente?

«Sì, questi sono problemi sotto gli occhi di tutti e che competono soprattutto alla Chiesa, la quale fa fatica ad assicurare i preti alle parrocchie, figuriamoci se riesce a farlo anche in altri ambiti. Un declino a mio avviso irreversibile del cristianesimo, del cattolicesimo popolare estensivo così come l’abbiamo conosciuto per secoli e secoli. Ciò non toglie che, come accennava lei, esista negli esseri umani, cattolici o non cattolici, buddisti o non buddisti, ma anche atei o agnostici, non solo la dimensione spirituale, ma anche che il bisogno di speranza sia tenuto in conto, tanto più in un momento come quello del ricovero in ospedale». 

Come intervenire?

«Beh, un ospedale deve essere un luogo dove si ospitano le persone e le si fa sentire bene, perché farle sentire bene significa curarle e… anche guarirle. Un ospedale degno di questo nome deve farsi carico di questa preoccupazione. Sia chiaro, non esiste una ricetta che vale per tutti, ma dipende da tutto il personale sanitario». 

Qual è il suo pensiero sul tema del fine vita?

«L’esigenza di normare questo tema prescinde dalla destra o dalla sinistra: è ormai ineludibile. Tutti gli Stati europei penso che abbiano una legge che regola “l’ultima parola”sul libro della nostra vita. Penso che sia qualcosa di molto umano: ho sempre sostenuto l’importanza di una legge chiara, che consenta a ogni cittadino di scrivere l’ultima pagina della propria esistenza, di viverla coscientemente e consapevolmente. Come dice uno dei principi cardine del diritto romano: “Unicuique suum”».

A ciascuno il suo…

«Ecco, questa è la giustizia: dare a ciascuno la morte che ritiene. “Lasciatemi andare” per riprendere l’espressione di che disse Giovanni Paolo II: questa è civiltà». 

Abbiamo negli occhi la spettacolarizzazione della morte da parte di Hamas: la pace fra le tre grandi religioni è l’unica ricetta contro il terrore?

«Ma guardi, il lavoro che deve fare la teologia è quello di convertire le religioni. Bisogna che gli uomini di Chiesa, gli uomini di Sinagoga o gli uomini di Moschea capiscano che le loro rispettive religioni non sono l’assoluto come ancora ritengono. Esiste qualcosa di più importante: il bene comune. Solo quando le religioni capiranno e si convertiranno a questa dimensione, più grande del loro tornaconto, che si chiami evangelizzazione o in altro modo, potranno essere effettivamente a servizio della pace. Un passaggio che è ben lungi dall’essere presente nelle menti degli uomini religiosi». 

In tutte le religioni in egual misura?

«Questo vale soprattutto per i monoteismi, ma non solo. La storia lo dimostra: le religioni sono state grandi fattori di pace quando hanno avuto come guida dei capi carismatici, dei profeti che hanno posto il bene del mondo al di sopra di ogni altra cosa. In caso contrario si sono trasformate in armi micidiali, cariche di energia negativa. La teologia richiama le religioni al loro vero compito: quello di essere conformi alla grande idea di Dio che è quella del bene, della giustizia e dell’amore, di misericordia e “Shalom”. La pace».

C’è un punto di accordo?

«L’essenza vera di Dio e il bene: su questo dovrebbero tutte le religioni convertirsi e lavorarci, sempre di più».