«Il totalitarismo informatico imprigiona le nostre menti. È dal pensiero che nasce la libertà»
di Lucia De Ioanna, La Repubblica 18 aprile 2023
Vito Mancuso, teologo, filosofo e saggista tra i più importanti in Italia, ha dialogato con gli alunni di alcune classi del liceo Marconi. "La scuola non si deve limitare a istruire perché l'uomo non è solo una scatola da riempire”.
Incontro Parma 18 aprile 2023 [PDF]
Il maestro è nell’anima, come canta Paolo Conte e come, molto prima dell’avvocato di Asti, ha sostenuto Socrate: educare significa quindi aiutare un alunno a conoscere se stesso, a farsi esploratore del proprio cuore, a indagare i suoi sconfinati confini fino a portare alla luce una mappa della propria interiorità, mappa cangiante e sempre da tracciare.
Proprio a partire da Socrate e seguendo poi una trama autenticamente filosofica tessuta di ascolto, dialogo, ricerca e dubbio, si è svolto l’incontro tra Vito Mancuso, teologo, filosofo e saggista tra i più importanti in Italia, e gli alunni di alcune classi del Liceo Marconi di Parma, riuniti nella sala del cinema Astra.
Un dialogo che è stato navigazione intorno a domande cruciali per tentare di comprendere ciò che ci rende umani ma anche immersione vertiginosa nel corpo della parola, nella genealogia che stringe assieme pensiero e linguaggio, strumenti umani per interrogarsi intorno al senso di ciò che esiste …
Come ha messo in luce Patrizia Bertolani, docente e vice-preside del liceo cittadino che ha introdotto la lectio insieme alla professoressa Teresa Paciariello, la presenza del filosofo in apertura della nuova serie di incontri per la celebrazione dei cento anni dalla nascita del liceo cittadino, "è occasione preziosa per ripensare al proprio senso come scuola e come comunità, con sguardo rivolto al futuro: un centenario non è un momento di esplorazione del passato ma è momento per ripensare insieme alla scuola come luogo in cui ogni studente può imparare a riconoscere e seguire le proprie passioni, dando attenzione all’umano”.
Molto opportuna la presenza, quindi, di un filosofo, "capace di parlare a tutti e di sollecitarci a fare della nostra vita una vita nostra: in questa direzione la scuola deve costruire una dimensione etica nei confronti della vita aiutando ogni studente a trovare se stesso".
Da questo spunto maieutico, prende le mosse Vito Mancuso, rivolgendosi agli studenti: "Socrate diceva che una vita senza ricerca non vale la pena di essere vissuta: non so se sentite la forza di questa frase e se vi fa emozionare. Sapete, le cose che sono importanti per noi le intuiamo dalla gioia che ci trasmettono, dalle emozioni che accendono. Il capire non è mai senza emozioni. Certo, esiste anche un modo di capire freddo, che però entra in noi senza trasformarci. Altre cose, invece, entrano in noi diventando carburante emotivo. La cultura, quella vera, raggiunge il suo scopo quando il sapere conferisce sapore. Quando da persone che semplicemente sanno alcune cose voi diventate persone che hanno un sapore. Ci sono persone che sanno tante cose ma non sanno di niente ed altre che, pur non avendo erudizione hanno una saggezza profonda della vita che traspare dallo sguardo. In questo senso la vera cultura è sempre coltivazione di sé, in accordo con la radice della parola che nasce dal verbo latino colere, coltivare”.
Quanto tempo, la domanda del filosofo, trascorriamo a coltivare il volto davanti allo specchio e quanto tempo invece passiamo di fronte a un altro tipo di specchio, quello della riflessione? "La mente dovrebbe riflettere i pensieri per poter coltivare l’interiorità così come si coltiva l’esteriorità".
Tornando alle radici greche della sapienza, "il lavoro della cultura sta in questo: conosci te stesso, era l’invito scritto sull’architrave del tempio di Apollo a Delfi. Si tratta del lavoro di tutta una vita, ragazzi: cominciate adesso”.
Di fronte alla affollata platea composta non solo da alunni e insegnanti ma anche da molti desiderosi di ascoltare la lectio magistralis che ha preso spunto dall’ultimo saggio del filosofo, A proposito del senso della vita (Garzanti), Mancuso, al di là della ricchissima trama di riferimenti e pensieri utili per la vita, trasmette e insegna anche attraverso le pause, la manifestazione di incertezza e di un sapere che, per essere tale in modo onesto, deve sapersi dichiarare prospettico, parziale, in divenire, aperto al confronto con l’altro.
"Ci sono domande che hanno una risposta: la formula dell’acqua, ad esempio, non è in discussione. Ma qual è la formula dell’amore o della bellezza? A queste domande non è possibile dare una risposta oggettiva. Esiste una bellezza oggettiva o è una convenzione? Esiste la giustizia o solo la legalità? Anche se Socrate fu condannato a morte, noi sappiamo che lui era giusto mentre chi lo ha condannato non lo era: la coscienza riconosce la giustizia".
Se non è possibile risolvere in una formula univoca alcune risposte fondamentali, "ci sono due esperienze di cui, mi pare, nessun essere umano neghi l’esistenza: bellezza e sofferenza. Abbiamo potuto vivere molto a lungo senza sapere la formula dell’acqua ma non senza tentare di venire a patti con la sofferenza e la bellezza".
Questo perché le questioni esistenziali più profonde – che cos’è l’essere, perché c’è l’essere e non il nulla, qual è il senso dell’amore e altre a cui l’uomo tenta di dare una forma (non una formula) attraverso gli strumenti del pensiero e dell’arte – "appartengono alla sfera del non oggettivabile e non sono dominabili nel recinto di un pensiero unico”.
Anche se, nel corso della storia, "totalitarismi di vario colore – bianco, nero e rosso – hanno provato a imporre catechismi unici mettendo al rogo, uccidendo o mandando in manicomio chi la pensava diversamente, non ci sono riusciti perché la libertà, alla fine, respira e, respirando, abbatte i tiranni".
Finora è andata così, prosegue Mancuso, ma "vediamo che cosa succederà con il nuovo totalitarismo informatico che arriva a imprigionare le nostre menti, a non farci più pensare ma solo reagire ai vari impulsi e algoritmi. Finora ha vinto l’umanità, siamo riusciti a mantenerci liberi e a mantenere vivo il conflitto delle interpretazioni ma adesso la partita è più difficile. Speriamo di continuare a rimanere umani”.
Nel dialogo con gli studenti, a cui Mancuso chiede sempre di presentarsi con il nome proprio, grazie a una domanda posta da Martina il filosofo si addentra nel discorso sulla realtà e su un suo possibile senso: "La realtà si compone di due dimensioni fondamentali: la prima è energia e materia mentre la seconda è informazione. Una torta è fatta di materia ma anche di progetto, informazioni date dalla ricetta. Ogni realtà è unione di forma e sostanza: già Aristotele lo sosteneva e oggi la scienza lo ribadisce. La vita si evolve e dalla vita biologica, che vuole solo vita, scaturisce una vita che vuole anche il bene, il significato, la bellezza e i sentimenti: tutto questo che senso ha? Per rispondere dobbiamo scendere verso il basso, alle molecole, agli atomi, cercando il senso della vera realtà in onde e particelle? Io non penso che la verità della vita si trovi nel basso ma che la verità di un fenomeno si trovi, invece, nel suo vertice".
Se per capire che cos’è la musica e che cos’è la pittura ci rivolgiamo alle espressioni più alte di queste arti, "per comprendere la vita credo si debba guardare alle più alte espressioni vitali".
Qual è quindi lo scopo dell’uomo nella realtà? "Onorare il lavoro dell’universo che non sta là fuori, perché noi ne facciamo parte. Fin quando penso che l’universo sia fuori di me, non vedo l’intero. Posso capire che cos’è l’universo a prescindere dalla mia mente che si interroga sull’universo e lo interpreta? No, perché anche la mia mente ne fa parte: universo significa infatti totalità”.
In questo percorso di ricerca del senso, "qualcuno di voi si sentirà sfidato nell’indagare l’universo nella sua grandezza e diventerà astrofisico, qualcun altro sarà un poeta o un musicista. Voi pensate che in grandi poeti non dicano niente sull’universo? Non è un fenomeno dell’universo la Divina commedia? E perché la luce di una stella lontana dovrebbe avere più informazioni della ginestra di Leopardi. Quanta luce contiene la ginestra di Leopardi? Quanti sono in grado di leggere questi versi e farne uscire una luce in cui trovare il senso del nostro essere qui. Sai, Martina, come rispondo alla tua domanda sul senso del nostro esserci? Non c’è senso senza con-senso: dipende da te. Potrai passare tutta la vita a pensare, come alcuni astrofisici, che non ci sia alcun senso nell’universo freddo là fuori, ma che tutto sia un grande scherzo; oppure, come pensano altri astrofisici, potrai pensare che la vita non poteva non sorgere e che questo è lo scopo: la conoscenza, e poi la saggezza e il sapore che viene dalla conoscenza. E che non siamo capitati in un incubo ma in un dramma, in senso greco: in un’azione teatrale in cui tutto dipende da come ti metti in gioco”.
L’esistenza chiede quindi di mettersi in gioco, con coraggio. Di fronte a questo, alla nostra possibilità di partecipare alla grande azione della vita, qual è il ruolo della tecnologia, che sembra dettare le regole e imprigionarci? "La tecnologia è così pervasiva che rischia di renderci passivi ma lo specifico umano è il pensare perché è dal pensiero che nasce la libertà, non dal portafoglio. Si potrebbe arrivare a mettere dentro di noi un microchip per toglierci l’ansia: ma perché avete ansia? perché avete paura. E perché avete paura? Perché vivete, provate emozioni e la paura è un’emozione. Certo devo capirla. Ma se me la tolgono sarò una macchina performante e non avrò più la possibilità di discesa dentro di me che mi permette di capirmi e vincere la mia paura con il coraggio. Senza la paura sarei un super-eroe: ma non ci servono super-eroi, ci servono esseri umani. Coraggio contiene la parola cuore perché è l'azione del cuore, un’azione che, conoscendo la paura, la vince. Se mi togli la paura non c'è nessuna azione del cuore e non c'è nessun coraggio. Se la tecnologia toglie lo specifico del nostro essere umani e ci rende macchine preformanti, allora io sto dall'altra parte".
Rispetto a una società che chiede soggetti sempre più preformanti, qual è il ruolo dell’insegnate, della scuola?
Anche qui, Mancuso sonda i sensi nascosti nelle parole: "Istruzione ed educazione vengono dal latino. Instruere significa mettere dentro una serie di informazioni al fine di preparare. L'istruzione presuppone quindi una mente come una tabula rasa che va preparata. È sbagliato? No, è giusto: per fare il pilota o il cuoco devi sapere alcune cose. È sufficiente? La scuola si deve limitare a istruire? Secondo me no perché l'uomo non è solo una scatola da riempire. Come credeva Socrate c'è sempre anche una parte da fare nascere, da portare fuori, come scritto nella parola educere, da cui deriva educazione: l'insegnante non è quindi solo un istruttore che immette in te informazioni perché in te c’è già un sapere, sai che cos’è la bellezza e la sofferenza anche se hai solo diciassette anni perché l’hai sentita o la hai vista negli occhi di tuo padre o dei tuoi nonni. Il compito dell'insegnante non può essere solo quella di metterti dentro delle cose ma quello di farti assaporare la tua esperienza, le tue emozioni, attraverso una poesia, un brano musicale, un quadro, riconducendoti al patire umano, alla passione, a quel pathos che non è solo sofferenza ma anche gioia, grande energia. Plutarco diceva che la mente non è un vaso che va riempito ma è un fuoco che va sempre tenuto acceso. La cosa importante è la motivazione, la scintilla, l’amore per il sapere che diventa amore per la vita, amore per il senso e per l’armonia, per la nostra umanità perché quando si fa cultura si diventa più umani. Il fuoco da mantenere acceso è questa mente palpitante, capace di emozionarsi di fronte alle cose grandi”.