Il valore etico-politico dei libri e delle biblioteche

Un piccolo saggio sul progetto per la sede unica della Biblioteca Consorziale di Viterbo

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Vito Mancuso – "Il valore etico-politico dei libri e delle biblioteche [PDF]

La tesi di questo mio piccolo saggio consiste nel sostenere che oggi la lettura consapevole di buoni libri è una specie di presidio della civiltà democratica, cioè di quella visione della vita e della società che ripone il valore più alto nella libertà dell’individuo e nella sua capacità di riflettere e di decidere consapevolmente; e prosegue nel sostenere che di conseguenza le biblioteche oggi ricoprono, oltre al consueto ruolo culturale, anche una sempre più preziosa opera di custodia e di sostegno della coscienza civile.
Formulata la tesi, passo ora alla sua argomentazione che svilupperò in quattro punti …

1. Dati sulla lettura in Europa e in Italia
Analizzando i dati sulla lettura in Europa e in Italia si evince la stretta correlazione tra tasso di lettura e benessere umano complessivo di una società: quanto più una società è composta da cittadini che leggono, tanto più esprime cultura, sicurezza, civismo, ricchezza economica. Quanto meno, meno. Ne viene che chi legge incrementa la conoscenza, combatte l’ignoranza e quindi è mediamente un cittadino migliore che migliora il luogo in cui vive. Chi non legge, invece, non incrementa la conoscenza ma l’ignoranza e quindi è mediamente un cittadino peggiore che peggiora il luogo in cui vive.
I primi tre paesi per tasso di lettura in Europa sono Svezia (90 percento), Danimarca (82), Regno Unito (80). Gli ultimi tre sono Romania (51), Grecia (50), Portogallo (40). Il tasso di lettura è proporzionale alla crescita, all’occupazione e al reddito. Secondo questa statistica, che risale al 2017, l’Italia è nella parte bassa della classifica con il 56, mentre la media europea è 68.
Secondo l’Istat, con dati risalenti sempre al 2017, il risultato che ci riguarda è peggiore: non è infatti il 56 ma è solo il 41 percento degli italiani a leggere almeno un libro all’anno. Le prime quattro regioni sono Trentino-Alto Adige (53), Friuli-Venezia Giulia (50,6), Liguria (49,1), Lombardia (48,6). Le ultime quattro sono Puglia (27,6), Campania (27,5), Calabria (26,1), Sicilia (25,8). E anche qui, naturalmente, vale il discorso della stretta proporzionalità tra lettura e crescita economica, occupazione, civismo, reddito. In una parola sola, la lettura è un indice costante della qualità della vita di una società e di un essere umano.

2. Da società a civiltà
Le radici del leggere, e prima ancora del narrare e dell’ascoltare, sono antichissime, arrivano agli inizi della civiltà. Anzi, il passaggio da società a civiltà si ebbe esattamente grazie alle narrazioni orali e ai primi testi scritti.
Una società è un insieme di soci e in quanto tale esiste anche nel mondo animale, si pensi agli insetti sociali come le api e le formiche, ai pesci che formano banchi, agli uccelli che formano stormi, ai bovini che formano mandrie, agli ovini che formano greggi, ai lupi che formano branchi. Anche gli esseri umani costituiscono a loro volta forme di società chiamate clan, tribù, popolo. Quando però un popolo diviene consapevole della sua cultura, delle sue leggi, dei suoi valori e inizia a trasmetterli, prima oralmente e poi per iscritto, oltrepassa lo stadio di società ed entra nella forma della civiltà. In questo passaggio un ruolo centrale spetta ai libri e alla loro lettura da parte dei singoli, in quanto la trasmissione di idee e di simboli rappresenta un momento essenziale per l’unione delle coscienze e quindi per la formazione della cittadinanza.
I libri esistevano già molto prima dell’invenzione dell’arte della stampa. Già 2500 anni fa nella piazza di Atene si vendevano libri, come Platone ci fa sapere riportando le parole di Socrate secondo cui in una specifica parte dell’agorà detta orchestra si trovava in vendita il libro di Anassagora al prezzo di una dracma, molto meno di un euro1. Vi era quindi una prima forma di libreria e a monte di essa un artigianato che li preparava, probabilmente per nulla minuscolo visto il prezzo assai basso del prodotto finale.
La nascita delle biblioteche, prima private poi pubbliche, è più o meno coeva, ammesso che si distingua, come a mio avviso è necessario, tra biblioteca e archivio, essendo quest’ultimo molto più antico perché da sempre funzionale all’amministrazione del potere. Tutti sanno che la più celebre biblioteca del mondo antico fu quella di Alessandria d’Egitto, fondata nel III secolo a.C., la quale però non fu la sola nel mondo antico perché altre ne sorgevano a Pergamo, ad Atene, a Roma e in altre città, comprese quelle dell’India, della Cina, del Giappone.
Anche il libro sacro dell’Occidente, la Bibbia, è una sorta di biblioteca con ben 77 libri al suo interno secondo il canone cattolico. Già il suo nome significa esattamente questo, visto che deriva dal termine greco biblíon che al plurale biblía significa “scaffale di libri” e poi “biblioteca”. Ma dicendo Bibbia tocchiamo il delicato rapporto tra potere e libri.

3. Contro ogni totalitarismo
È quasi un luogo comune ricordare l’encomiabile azione dei monaci che nel primo medioevo salvarono dalla distruzione molte opere classiche ricopiandone i testi e custodendoli nelle loro biblioteche, azione che depone a favore della cura e dell’amore verso la cultura e verso i libri in quanto suo necessario supporto. I dati storici però non vanno tutti nella medesima direzione.
Si legge nell’enciclica di Pio VII Diu satis videmur, pubblicata il 15 maggio 1800: “La salute stessa della Chiesa, dello stato, dei principi e di tutti i mortali, salute che dobbiamo considerare molto più cara e più importante della nostra vita, esige che questo potere sia tutto da Noi esplicato nel distruggere quel mortale flagello dei libri (peste librorum) […]. E non parliamo soltanto di strappare dalle mani degli uomini, di distruggere completamente bruciandoli quei libri nei quali si avversa la dottrina di Cristo apertamente; ma anche e soprattutto bisogna impedire che arrivino alle menti e agli occhi di tutti quei libri che operano più nascostamente e più insidiosamente […]. Su questo punto, venerabili fratelli, non possiamo chiudere gli occhi, né tacere, né essere troppo indulgenti”2.
Queste parole rimandano alla lunga e complessa storia del rapporto tra potere ecclesiastico e libri, la quale conobbe anche numerosi roghi lungo i secoli, nonché quell’immenso rogo metaforico che fu l’Index Librorum Prohibitorum, istituito da Paolo IV nel 1558 e abolito da Paolo VI nel 1966, dopo 408 anni di attività e 32 edizioni, l’ultima della quale sotto Pio XII nel 1948.
L’assonanza libro-libertà in latino è ancora più intensa: liber-libertas. I libri rimandano spontaneamente alla libertà e rappresentano una forma di lotta contro ogni totalitarismo, da quello della Chiesa cattolica da me ricordato in primo luogo per la mia formazione e per il fatto che questo saggio è dedicato alla nuova biblioteca che sta sorgendo a Viterbo, la città dei papi, alle altre forme ben più sanguinose apparse nella storia, il totalitarismo ateo comunista, quello ateo nazifascista, e ai nostri giorni quello del fondamentalismo islamico a sua volta ferocemente contro la cultura e la libera circolazione delle idee promossa dai libri. Per tutti vale quanto scrisse il poeta inglese John Milton nell’Areopagitica, uno degli scritti più vibranti in favore della libertà di stampa composto nel 1644, con queste parole rivolte al Parlamento inglese che stava per introdurre una legge sulla censura e la distruzione dei libri: “È quasi uguale uccidere un uomo che uccidere un buon libro. Chi uccide un uomo uccide una creatura ragionevole, immagine di Dio; ma chi distrugge un buon libro uccide la ragione stessa, uccide l’immagine di Dio nella sua stessa essenza”3.

4. Ma come siamo messi oggi noi quanto al pericolo del totalitarismo?
Vi è una pagina di Hannah Arendt di strettissima attualità, pur risalendo al 1954 sembra scritta oggi: “Noi che abbiamo fatto esperienza delle organizzazioni totalitarie di massa sappiamo che il loro primo interesse è eliminare qualunque possibilità di solitudine. Così noi possiamo facilmente testimoniare come non solo le forme secolari di coscienza, ma anche quelle religiose, vengano eliminate quando non è più garantito lo stare un po’ da soli con se stessi […] In certe condizioni di organizzazione politica la coscienza non funziona più […] Un essere umano non può mantenere intatta la propria coscienza se non può mettere in atto il dialogo con se stesso, cioè se perde la possibilità della solitudine, che è necessaria per ogni forma di pensiero” 4.
Dal 1954 sono passati quasi settant’anni e oggi qui in Occidente non ci sono più organizzazioni totalitarie di massa. Non per questo però la coscienza, intesa qui come coscienza morale, è al sicuro. Anzi, io ritengo che oggi la coscienza morale corra un grande pericolo. E lo dico perché oggi la condizione necessaria della coscienza pensante, cioè la solitudine, è ampiamente minacciata.
Con solitudine non intendo l’isolamento e il ritrovarsi privi di ogni vitale legame relazionale, condizione per nulla positiva e purtroppo molto diffusa. Intendo piuttosto il silenzio interiore: il silenzio della mente che, proprio perché silente, diviene in grado di ascoltare, di pensare e quindi di elaborare liberamente il suo punto di vista e la sua presa di posizione nel mondo. Grazie al silenzio interiore la mente diviene in grado di proporsi come agente libero, nel senso di consapevole, creativo, responsabile; senza silenzio interiore, invece, non c’è la possibilità di agire, ma solo di reagire.
Ebbene, è evidente a tutti che la lettura richiede silenzio interiore e che quindi non può che favorirlo, di modo che, favorendo il silenzio, favorisce il pensiero, e favorendo il pensiero costruisce civiltà. Per questo si può e si deve parlare del libro e di tutto ciò che lo favorisce a partire dalle biblioteche come di un presidio dell’umanesimo: fino a quando leggeremo un libro, possibilmente di carta, saremo umani, onoreremo la qualifica che ci siamo dati per descrivere la nostra peculiarità più intima quando ci siamo definiti sapiens, participio presente del verbo latino sapio che significa “sapere” (da cui “sapiente”) ma anche “avere sapore” (da cui “sapido”). I libri non danno solo sapere, quello lo amministrano anche le macchine; i libri danno anche sapore. Ti fanno sentire il sapore della vita e ti conferiscono sapore come essere umano.
Non vorrei però cadere in una generalizzazione retorica e alla fine falsificante. Infatti non basta leggere per generare la libertà della coscienza. E questo per un motivo molto semplice: perché non tutti i libri sono uguali e non tutti sono buoni. Non dobbiamo mitizzare il libro né la lettura, meno che mai gli autori. Anche i libri sottostanno all’inquietante ambiguità che connota ogni azione e ogni pensiero dell’uomo. Per questo, a mio avviso, sono essenziali le biblioteche in quanto selezione e proposta di libri buoni, vorrei aggiungere giusti.
L’obiettivo finale infatti non è essere lettori, ma essere autori: non necessariamente di un testo scritto, ma certamente del testo agito, del testo teatrale nel vero senso del termine teatro che rimanda a una visione e che esprime una storia e una personalità. L’obiettivo è vivere la vita in modo autoriale (da autos, in greco “se stessi”), alla prima persona singolare. È chiaro però che non si può essere buoni autori senza prima essere lettori.
All’inizio del genere umano i libri non c’erano, la libertà e la schiavitù del cuore, invece, esistevano già. Poi arrivarono i libri su papiro a forma di rotolo, poi quelli su pergamena a forma di codice, e la libertà e la schiavitù del cuore aumentarono in proporzione al loro diffondersi. Quando comparvero i libri stampati su carta, la libertà e la schiavitù aumentarono ancora, fino a dare origine a quella miscela esplosiva che è stato il ‘900.
Cosa avverrà domani? Leggeremo ancora libri su carta? Anzi, leggeremo ancora? Oppure guarderemo solo immagini? Nessuno lo sa, né è possibile sapere se la libertà e la schiavitù saranno ancora in equilibrio, oppure se una delle due alla fine prevarrà.
Quello che è certo, a mio avviso, è che ignoranza e illegalità spesso si danno la mano, così come sul versante opposto se la danno conoscenza e legalità, come mostrano le nazioni dove si legge di più e che sono le stesse dove la corruzione è meno presente e la qualità della vita è più alta. E se questo vale per una nazione, perché non dovrebbe valere per una città? Per questo la nascita di una nuova biblioteca a Viterbo rigenera la fiducia nel genere umano e getta un seme di speranza nel cuore di tutti.

Vito Mancuso, 25 giugno 2022

Note
1. Cfr. Platone, Apologia di Socrate, 26 E; cfr. anche Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, VII, 1, 2.
2. Pio VII, Diu satis videmur, in Enchiridion delle Encicliche, vol. 1, nn. 782-783, EDB, Bologna 1994, pp. 1135-1137.
3. John Milton, Areopagitica, tr. di Mariano Gatti e Hilary Gatti, Rusconi, Milano 1998 pag.11
4. Hannah Arendt, Socrate, tr. di Ilaria Possenti, Raffaello Cortina, Milano 2015, pp. 46-47.