I miei cinque dubbi su Papa Francesco

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I miei cinque dubbi su Papa Francesco [PDF]

Passata l’euforia delle immagini e delle frasi così intensamente pronunciate con quell’accento argentino che è tale nel duplice senso del termine (geografico e dal suono limpido), sento la necessità di analizzare con pacatezza alcune affermazioni del Papa nelle risposte alle domande di Fabio Fazio. Avverto infatti dentro di me un doppio sentimento: una parte di me applaude, un’altra rimane perplessa, e cerco di capire perché. La parte che applaude si ritrova completamente sulle affermazioni che riguardano i seguenti argomenti: la guerra come negazione della creazione, la qualifica dei campi libici come lager, il trattamento spesso riservato ai migranti definito “criminale”, la devastazione cui sottoponiamo la Terra, il fatto che si possa guardare qualcuno dall’alto in basso solo se lo si aiuta a rialzarsi, la libertà umana come causa del male, il rifiuto di ogni logica necessaria della sofferenza, la mondanità quale male più grande della Chiesa, la preghiera come coltivazione dello spirito dell’infanzia, la preziosità dell’amicizia, il valore spirituale dell’umorismo …

C’è però una parte che in me rimane perplessa. Non si tratta del fatto che il Papa sia andato in tv, né della mancanza di domande spinose da parte di Fazio su temi quali la pedofilia del clero, il celibato dei sacerdoti, il ruolo della donna, la negazione dell’ordinazione sacerdotale a uomini sposati in Amazzonia (votata a larga maggioranza dal Sinodo dal Papa appositamente convocato), la crisi delle finanze vaticane, il rapporto con Benedetto XVI, tanto per fare alcuni esempi: penso sia stato logico, in un’intervista in diretta in tv, evitare di mettere il Papa in imbarazzo. La perplessità riguarda piuttosto alcune affermazioni di Francesco, precisamente queste cinque: che l’aggressività non sia in sé sempre negativa; che i genitori debbano essere complici dei figli; che vi sia il diritto di essere perdonati; che il tatto sia il più importante dei nostri sensi; che Dio sia onnipotente nell’amore.
Per quanto riguarda il primo aspetto, io penso che l’aggressività nei rapporti umani sia sempre e solo negativa. Non lo è la forza, che appartiene alla logica dell’essere e senza la quale nessun ente o sistema potrebbe consistere, ma l’aggressività, in quanto uso della forza in modo ostile contro qualcuno, lo è sempre. Questa affermazione del Papa sulla possibile positività dell’aggressività si colloca accanto ad altre simili, come quando disse che è lecito dare un pugno a chi insulta la madre, o quando diede egli stesso uno strattone a una donna che a San Pietro lo toccava un po’ troppo impetuosamente (a proposito di tatto).
Sui genitori, io penso che il termine complici sia infelice: i ragazzi hanno già molti complici tra i coetanei, ai genitori spetta piuttosto l’esercizio di una vicinanza amorevole che sia sempre in grado di rappresentare al contempo l’autorità, perché è della mancanza di tale orientamento amichevole e autorevole che oggi i giovani soffrono maggiormente. Penso che i genitori debbano essere amichevoli, non amici, meno che mai complici.
Dissento sul “diritto” al perdono, perché il diritto di qualcuno suppone il “dovere” di qualcun altro, sicché l’affermazione papale comporta il fatto che per esempio un padre a cui sia stato ucciso il figlio o la figlia avrebbe il dovere di perdonare l’assassino; il che, per me, è inammissibile. Tanto meno è la società ad avere il dovere di perdonare, mentre ha piuttosto quello di punire i colpevoli secondo giustizia. Questo non significa negare il perdono, ma intenderlo sempre e solo come grazia, mai come diritto. Nessuno ha il diritto di essere perdonato e nessuno ha il dovere di perdonare. Il perdono, come dice il termine, è un dono, sempre un atto gratuito a cui nessuno per definizione ha diritto, e proprio per questo è molto prezioso.
La quarta affermazione sul tatto quale senso privilegiato si scontra con la testimonianza unanime della tradizione ebraico-cristiana e di quella classica greco-romana che individuano il senso più importante rispettivamente nell’udito e nella vista. Qui mi limito a ricordare un passo dell’inno eucaristico di Tommaso d’Aquino: “La vista, il tatto, il gusto ingannano, solo con l’udito si crede fermamente”. E se il tatto non ha il primato nel rapporto con Dio, non l’ha neppure nel rapporto con gli uomini, visto che in noi tutto procede dal pensiero (o dall’anima), compreso il fatto che decidiamo di toccare o no una persona.
Rimane infine l’affermazione su Dio “onnipotente nell’amore”, la quale a mio avviso è solo un gioco retorico per mantenere l’affermazione tradizionale. Basta però ragionare solo un po’ per comprenderne l’infondatezza, perché l’onnipotenza attribuita a Dio dalla tradizione è quella della potenza a livello fisico, quella che interviene nella storia innalzando, distruggendo, giudicando. Definire Dio “onnipotente nell’amore” è solo un debole escamotage che lo colloca al livello di alcuni esseri umani che a loro volta sono “onnipotenti nell’amore”, si pensi, per esempio, a quanto sa compiere l’amore di certe madri per i figli. La logica a mio avviso richiede chiarezza: o onnipotente o non onnipotente, tertium non datur.
Il papa da Fazio è stato visto e ascoltato da milioni di persone e io penso che abbia fatto bene ad andare vincendo la perplessità iniziale di alcuni, tra cui la mia. Il messaggio complessivo di quella serata manifesta nel modo più efficace la sua peculiarità: l’essere sinceramente accanto ai sofferenti del mondo, il farsi voce di chi non ha voce, l’essere un grande profeta che richiama tutti ai doveri della propria umanità. Ed è proprio in nome di questa umanità che io ho sentito la necessità di esplicitare i miei dubbi su alcune sue affermazioni al fine di contribuire alla comune ricerca.

Vito Mancuso, La Stampa 10 febbraio 2022