L’era del Coronavirus

La pandemia sta mostrando le nostre insicurezze, il vuoto interiore che ci pervade

intervista di Barbara Bianchi per TusciaWeb

Vito

L'era del Coronavirus TusciaWeb [Link]

In bilico tra libertà e restrizioni, tra riaperture e lockdown, il 2020 passerà alla storia come l’anno del Coronavirus. Una pandemia che ha colpito il mondo intero, lasciando dietro di sé morti, insicurezze e nuove abitudini.

Mancuso, come ha vissuto il lockdown di marzo e le restrizioni regionali successive? Ha avuto esperienze dirette col Covid?

«Non ho avuto esperienze dirette con il Covid, ho solamente avuto una segnalazione dell’app Immuni ai tempi in cui funzionava e veniva usata. Ho quindi fatto il test e fortunatamente sono risultato negativo. Ma un mio lontano parente di Monza è morto nei momenti più terribili della pandemia. Per quanto riguarda il lockdown so di essere un privilegiato, il lavoro che faccio non prevede un rapporto con i viventi. Per questo per me non è cambiato nulla, anzi ho potuto lavorare più intensamente, tant’è che in questo periodo ho pubblicato due libri: Il coraggio e la paura e I quattro Maestri» …

Con la pandemia è nata una nuova ed inedita normalità? Come si immagina il futuro?

«Gli esseri umani sono animali molto adattabili, molto mimetici. Penso che la pandemia non abbia fatto altro che mostrare quello che già c’era, cioè la crisi morale che va a toccare i fondamenti di cosa significa essere uomini, di cos’è l’umanità, di cosa sono la libertà, la bellezza, la verità e la giustizia. Quei valori che per secoli hanno tenuto insieme i nostri predecessori, facendo sì che la libertà di ognuno si potesse unire alle libertà degli altri. Oggi questi valori hanno un significato diverso, per qualcuno addirittura non esistono più e il risultato è quello che chiamiamo post-umanesimo. Con tutto il senso di insicurezza che ne deriva. Il termine post-umanesimo indica una condizione in cui è chiaro cosa non si è più, ma non è chiaro cosa si è ancora. Cosa si è diventati. E la pandemia sta mostrando proprio quel senso di insicurezza che colpisce tutti e che non è dato solamente dalla paura del virus, ma anche dal vuoto interiore che pervade le menti e i cuori a livello ideale. Ognuno riempie questo vuoto come meglio crede: gli ideali comuni che in passato tenevano uniti gli esseri umani, ora sono diventati persino fattori di divisione».

Farà il vaccino?

«Penso proprio di sì. E lo farò con serenità».

Cosa pensa delle teorie complottiste o negazioniste? Ha mai avuto tentazioni in questo senso?

«Assolutamente, tentazioni di quel genere sono lontanissime da me. Penso che ci sia un grande senso di insicurezza di fronte alla complessità della realtà, per questo si sceglie di affidarsi a teorie così semplificatrici. Perché danno sicurezza. Così come appartenere a una setta. Ciò di cui veramente gli esseri umani hanno bisogno non è la libertà e non è neanche la verità, ma è la sicurezza. E quindi se una teoria di qualunque tipo, in questo caso antiscientifica, dà sicurezza e fa sentire le persone a casa, queste sono pronte ad abbracciarla. Potrai far vedere loro tutti i dati, ma se non cambiano il cuore e la mente, non li accetteranno mai. Credo comunque che si tratti di teorie ridicole, trovo abbastanza improbabile che una menzogna planetaria possa venire imposta immediatamente, in diversi stati».

Come ha trascorso il Natale?

«Normale. Un po’ triste per via della lontananza. È stato il primo Natale in cui non ho avuto la famiglia riunita».

Secondo lei il Coronavirus potrebbe stimolare, come effetto positivo, la fratellanza, la solidarietà e la capacità di ritrovare sé stessi?

«Se gli esseri umani fossero in grado di trarre lezioni dalla storia – e qualche volta sono in grado di farlo – la risposta sarebbe sì. Non so come andrà a finire, ma i cambiamenti epocali non nascono mai da situazione tranquille ed evolutivamente progressive, ma nascono sempre da crisi, da fratture, strappi, da situazioni complicate, da drammi e tragedie. Lì l’umanità sente il bisogno di uno scatto, di fare qualcosa di diverso e nascono le rivoluzioni, i nuovi statuti, le nuove istituzioni».

E il Covid può essere considerato una di quelle fratture o strappi di cui lei parla?

«Sì, che sia uno strappo è indubbio. Io non ho memoria di una cosa del genere a livello planetario. Se da qui può nascere qualcosa di positivo lo si vedrà: le premesse ci sono. Potremmo ad esempio capire che la natura richiede attenzioni e che dovremmo avere un altro tipo di rapporto con gli animali e l’ambiente. Il Covid, insieme allo scioglimento dei ghiacciai, al disboscamento progressivo, all’innalzamento delle acque e della temperatura, al buco dell’ozono sono segnali che la natura ci sta dando. Dovremmo interpretarli. La pandemia è un momento di transitorietà epocale».

Il senso di morte diffusa, ovunque e quotidiana, ha cambiato la nostra percezione della vita e della morte stessa?

«Sarebbe bello poter rispondere di sì. In realtà noi veniamo da decenni in cui tutto si è fatto tranne che pensare alla morte. Ma se non si pensa alla morte, non si pensa alla vita. Stiamo assistendo ad una sua progressiva rimozione e anche i suoi simboli, con il tempo, sono andati scomparendo. E ciò non mi trova d’accordo. Perché la morte c’è. E il Covid non fa nient’altro che ricordarci, in maniera tragica e drammatica, che esiste. È un fatto. La gente se ne va ogni giorno. E la tecnica non potrà mai eliminare questa cosa. Potrà allungare la vita e fa bene a farlo, ma occorre fare i conti con una presenza, con un destino: siamo mortali. E fin quando noi non avremo un pensiero della morte, non avremo un pensiero della vita adeguato e autentico. Avremo sempre un pensiero dell’esistenza falso, fatto di consumo, divertimento e rincorsa. Certo, la vita è anche questo, ma non solo. E ciò va tenuto presente».

La pandemia ha inasprito il dibattito tra scienza e religione?

«Il dibattito tra scienza e religione in sé non esiste. Esiste il dibattito tra uomini di religione e uomini di scienza. Alcuni uomini di fede integralisti, che hanno paura dell’attestazione della realtà e usano il loro rapporto con la religione come una specie di coperta di Linus per scaldare la loro anima inquieta e i loro interessi, temono la scienza. Hanno paura che risulti più salvifica rispetto alla religione e che da essa derivi un ridimensionamento degli atti di culto. Sì, per loro il dibattito si è inasprito. Altri uomini, invece, che hanno un rapporto più maturo con la religione, non possono che essere felici che ci sia la scienza, che faccia il proprio mestiere, che produca il vaccino che sta producendo. E che ci aiuti a sconfiggere anche questa pandemia così come tante altre nella storia. Lo stesso discorso vale per gli uomini di scienza. Il dibattito si è inasprito per quelli che pensano che coltivare sentimenti religiosi sia solo segno di immaturità, di ignoranza. Quelli che invece capiscono che gli esseri umani non sono solo persone che hanno fame di sapere e conoscenza, ma hanno anche bisogno di significati, di senso, di calore umano, di norme etiche, di speranza e di consolazione, possono capire quanto sia importante, in questa fase di disperazione e paura, il conforto della religione e della spiritualità».

Una religione che dia speranza…

«Sono convinto che la religione sia nata proprio da questo. Dal sentimento che avverte gli esseri umani che nella vita ci sono domande di amore, di giustizia e di bellezza, domande di senso complessivo che il mondo crea, ma non compie. La religione è aprirsi un’altra prospettiva all’interno di questo orizzonte in cui la propria anima cresce e matura verso il mondo. E ognuno può chiamarla come vuole, ma quel che è certo è che la religione la si può vivere anche in maniera matura. Non contro il mondo, ma in favore del mondo, come suo compimento. E questa situazione può aiutare molti a riscoprire il senso della spiritualità».

Come giudica l’azione del governo Conte?

«Non sono molto dentro alle dinamiche della politica, però mi sembra che sulla gestione dell’emergenza ci siano state molte approssimazioni. Penso soprattutto alla scuola, un continuo tira e molla. All’inizio, nei primi mesi, ho avuto l’impressione che ci fosse una maggiore forza, che poi ha lasciato spazio all’approssimazione. Una sufficienza c’è, ma non di più. Un 6 stiracchiato, nella consapevolezza che altri governi in altre parti d’Europa – Germania e Francia comprese – non hanno fatto molto meglio di noi, anzi. Obiettivamente la situazione è complessa. Per far fronte ad una pandemia, inattesa, inimmaginabile, avremmo avuto bisogno dei migliori politici, dei migliori ministri. Nel nostro caso, molti erano alla prima esperienza, senza nessuna ascendenza sui rispettivi apparati. E se un ministro non ha una credibilità personale, non fa camminare gli apparati ministeriali e burocratici dai quali dipende l’azione di governo. Avremmo avuto bisogno di altri ministri con più esperienza, credibilità e forza. Non si può fare esperienza adesso, sul campo, in questa situazione. C’è una guerra in corso e bisogna mandare i migliori generali, non sempre lo abbiamo fatto».

E Salvini, Meloni e Berlusconi?

«Se avessimo avuto le opposizioni al governo, non penso che le cose sarebbero state migliori. Anche perché sono gli stessi che durante l’estate, quando la situazione era migliorata, dicevano che bisognava tornare alla normalità, basta all’uso delle mascherine e si facevano le foto senza protezioni. Non sono certamente da nominare come forze politiche affidabili. Vedo tantissimo populismo, tantissima volontà di parlare alla pancia delle persone e ben poco alla mente. Quella direzione lì sarebbe stata di gran lunga peggiore».
Lo Stato decide per tutti cosa è importante e cosa non lo è. La salute viene prima e prevarica libertà essenziali, tradizioni, economia, cultura.

Ma quanto si possono comprimere le libertà? Lo stato di diritto è in pericolo?

«Per fortuna che lo Stato lo ha fatto. C’è per questo. Per garantire per prima cosa la sicurezza ai cittadini, la sicurezza sanitaria. E mi viene da dire menomale che viviamo in uno stato di diritto, capace ancora di far rispettare le proprie decisioni. C’è un’emergenza e c’è uno stato che risponde. È suo dovere farlo. Io non vedo proprio nessun pericolo e non credo che la libertà individuale sia minacciata. Chi dice che è in pericolo a causa del coprifuoco alle 10, e perché ci fanno stare chiusi in casa, è solamente un egoista che non ha idea che la sua libertà non sia l’assoluto. Lo Stato è a favore del bene comune e delle libertà di tutti. Ma anche dell’armonia, che prevede far conciliare le diverse esigenze di ognuno. E se per fare questo non ti fa uscire dopo le 10 di sera perché i tecnici dicono che così bisogna fare per sconfiggere il virus, lo Stato non fa che il suo mestiere».

Cosa cambierà sul piano economico dopo l’onda d’urto del Covid? Chi secondo lei pagherà il prezzo più alto per la crisi?

«In prima battuta direi le classi più povere. Sono sempre loro che pagano. Chi ha pagato la crisi del ’29? Chi ha pagato la crisi del 2008? Chi non ha soldi a sufficienza e, di fronte a queste situazioni, si trova a esaurire tutte le risorse. I più deboli. La politica queste cose le sa e dovrebbe fare in modo che non sia così. Come? Non spetta a me dirlo. Però è evidente che ci sono persone che già adesso stanno pagando: questo è il momento assolutamente decisivo per rafforzare la ricerca all’evasione fiscale. Non possiamo più tollerarla. È il momento di utilizzare tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione per garantire e aiutare quelle persone che rischiano di non poter dare un futuro ai propri figli».
Il Covid è una rivincita della natura sull’uomo? È stato una sconfitta della scienza? La tecnologia, soprattutto in occidente e nel nord est asiatico, ci aveva illuso di aver posto una grande barriera culturale tra l’uomo e la natura… «Se vediamo la natura come qualcosa di diverso da noi, possiamo parlare di rivincita. Ma noi stessi siamo natura. Ed è come una persona che sente male a un dente. Che cos’è? Una rivincita dei denti sull’organismo? No. È semplicemente il sistema che ci ricorda che dovremmo essere più fedeli e al servizio non di noi stessi, ma dell’ecosistema e del bene comune. E i primi ad essere sconfitti in tutta questa storia siamo proprio noi. Altri esseri viventi, anche nelle forme più piccole di vita quali sono virus e batteri, se ne fanno un baffo di quello che sta accadendo».

Cosa rimarrà nella storia? Come sarà il mondo dopo la pandemia?

«Dipende da come interpretiamo la pandemia. Potrebbe essere veramente un momento di grande crisi, di forte sbandamento. Di perdita di punti di riferimento che ne creerà di nuovi. Potrebbe essere, altresì, il declino inarrestabile dell’Occidente. La partita è chiara: ci troviamo con una Cina sempre più aggressiva, sia sul fronte estero nel comprare, nel prendere spazi, sia sul fronte interno con la repressione e le minacce nei confronti dei dissidenti, e dobbiamo capire come affrontarla. Bisogna capire se questo sarà il momento in cui si crolla e si viene conquistati totalmente, oppure il momento nel quale capiremo e faremo capire che è importante cooperare. La cooperazione avviene però solamente se c’è un fronte da rispettare. Se non c’è rispetto, l’altro ti prende e ti domina».

Quale è stata per lei la lezione del Covid?

«Tornare a meditare la morte. Imparare a morire, come diceva Platone, perché la vera filosofia è questa».

Barbara Bianchi