E il concilio disse sì all’icona sacra

La religione e la rappresentazione di Cristo

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Nella religiosità umana esistono due tendenze fondamentali che si possono descrivere in prima approssimazione come via dell’immanenza e via della trascendenza. La via dell’immanenza abbraccia le religioni classiche dei greci e dei romani, l’induismo, il buddhismo e le religioni di origine cinese e giapponese; la via della trascendenza abbraccia l’ebraismo e l’islam. Naturalmente ho parlato di prima approssimazione perché sottolineature dell’una o dell’altra via si ritro- vano poi all’interno delle singole religioni, ognuna delle quali, com’è noto, è caratterizzata da miriadi di correnti, ma quella descritta è comunque la prospettiva fondamentale da cui le singole religioni pensano il divino e il suo rapporto col mondo …

Per venire al tema delle immagini religiose dentro cui si inserisce l’immagine del volto di Cristo, le religioni dell’immanenza ritengono che la natura, in particolare nella forma del corpo umano, sia una via adatta a rappresentare il divino. Le religioni della trascendenza al contrario negano ogni pertinenza teologica alle immagini naturali, corpo umano compreso. Il motivo è logico: chi vede la divinità legata alle cose del mondo non potrà che assegnare ai frammenti di mondo la capacità di rimandare ad essa, mentre chi pone la divinità al di là di tutte le cose, come totalmente altra rispetto al mondo, non potrà che ritenere pericolosa idolatria la pretesa di qualsiasi realtà naturale di rappresentare anche solo simbolicamente il divino.
Il cristianesimo fin dalle origini è stato attraversato da questa tensione, manifestatasi in primo luogo in materia di cristologia con la dialettica tra una cristologia dal basso (sottolineatura dell’umanità di Cristo) e una cristologia dall’alto (sottolineatura della divinità di Cristo) e che, dopo un dibattito spesso polemico e non privo di acredine, sfociò nella sintesi dogmatica del concilio di Calcedonia del 451 secondo cui Cristo è insieme vero Dio e vero uomo nell’unità di una sola persona. Ma che a risolvere i problemi non bastano i documenti apparve chiaro tre secoli dopo quando scoppiò una violenta controversia sulle immagini sacre che divise la cristianità tra iconoclasti e iconofili, tra negatori e difensori delle icone. Vinsero questi ultimi, anche grazie all’imperatrice Irene, e il secondo concilio di Nicea del 787 sancì la piena legittimità teologica e spirituale delle icone, in particolare quelle del volto di Cristo.
Il risultato non poteva che essere questo, perché il cristianesimo vive esattamente dell’idea che la perfetta divinità, cioè la più alta trascendenza, si rispecchia pienamente nella perfetta umanità, cioè nella più concreta immanenza. Che poi il volto di Cristo sia stato raffigurato nel primo millennio più all’insegna della trascendenza in quanto Pantocrator, e nel secondo millennio più all’insegna dell’immanenza in quanto Crocifisso, fa parte della dialettica teologica fondamentale evidenziata sopra. Come poi andranno le cose nel terzo millennio, se si giungerà a una sintesi matura oppure a una sorta di apofasi iconica, nessuno lo sa.

La Repubblica 28 marzo 2010