È l’ecologia la grande idea per ridare speranze ai giovani

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«Dobbiamo avere più coraggio – come genitori, operatori, insegnanti, educatori – per affrontare in maniera positiva il conflitto, per affermare i valori educativi, senza sottrarci alle situazioni più difficili». È quanto affermato da Dario Ianes, co-fondatore di Erickson e direttore scientifico del convegno "Supereroi fragili. Adolescenti oggi tra disagi e opportunità" che si è tenuto a Rimini – 800 partecipanti e 50 relatori – il 10 e 11 maggio. Tanti gli esperti che hanno parlato di affettività e sessualità, disturbi alimentari, disimpegno e attivismo, bullismo, dipendenze. Temi anche dell’intervento del teologo Vito Mancuso che approfondiamo nell’intervista qui sotto.

Intervista al prof. Vito Mancuso di Luciano Moia su Noi Famiglia & Vita di Avvenire

Intervista [PDF] Noi Famiglia e Vita pag.18-19 [PDF]


La natura, i giovani, l’idea "madre" da riscoprire, il coraggio di papa Francesco nel proporre la strada dell’ecologia integrale. Di fronte al dissesto del mondo giovanile, il teologo Vito Mancuso ritiene che la strada per rinnovare le speranze sia proprio il rapporto tra natura e spiritualità. Il grande progetto oltre la crisi dei valori.

Hikikomori, disturbi del comportamento, bullismo e cyberbullismo, comportamenti a rischio… dove abbiamo sbagliato noi adulti?

«Forse, prima di chiederci dove abbiamo sbagliato, bisognerebbe chiederci cos’ è l’educazione. E credo che l’educazione funzioni quando alle spalle ha una grande idea che genera una visione d’insieme. Una grande teoria, così come ce ne sono state durante la storia, dalla repubblica di Platone al progetto cristiano che per secoli ha costruito una civiltà, una societas cristiana, così come l’idea dello Stato-nazione tra ’600 e ’800. Era una grande idea che dava forza all’educazione nel mondo occidentale. Unificava e dava prospettive. Poi, tramontata la grande idea dello stato nazionale con la rivoluzione francese, è arrivata la grande idea della giustizia sociale. Ma anche questa idea è tramontata. E oggi siamo privi di una grande idea. Un’assenza che i giovani percepiscono. Non riescono a comprenderla, ma sentono che non c’è un orizzonte che raccoglie le loro energie ideali. I più forti seguono il flusso naturale che parla di impegno nello studio e nel lavoro, magari accontentandosi di "mezzi ideali". I più deboli vanno in crisi e finiscono per accrescere la lista di coloro che manifestano disturbi, bullismo, devianze, marginalità e così via…».

Quanto pesa in tutto questo l’eclissi del padre?

«Non credo sia corretto parlare di eclissi. O meglio, un certo tipo di padre meno male che si è eclissato, il padre padrone, il padre autoritario. Penserei più giusto parlare di eclisse dell’idea madre che, soprattutto noi italiani, non abbiamo più. In altre zone d’Europa questa idea, nel bene o nel male, c’è ancora. Certo, il padre, come depositario normativo, era in qualche modo interprete di questa idea madre. Se si eclissa, anche la funzione del padre va ridefinita. Oggi ci ritroviamo privi di questa idea forte. Ma non è colpa di nessuno. Se i punti fermi del passato sono stati macinati dallo spirito dei tempi, è perché a un certo punto si sono rivelate inadeguate. C’è da capire qual è l’idea forte per il nostro tempo. Se abbiamo fiducia nel fatto che lo Spirito non fa mai mancare il suo soffio alla storia, ci dobbiamo chiedere qual è questa idea forte. Questo dovrebbe essere il compito della teologia, della riflessione spirituale, della filosofia».

E quale potrebbe essere l’idea forte per il nostro tempo?

«Oggi questa idea forte, in grado di dare respiro alla società e di fare da collante per le speranze dei giovani, in modo da riportare la nostra società al concetto di societas come insieme armonico di soci e non una massa di individui uno contro l’altro, potrebbe essere la natura. La scienza, nelle menti dei nostri giovani, è la principale fonte di verità. Ma la scienza è tale perché ha un oggetto e questo oggetto si chiama natura. Il compito del pensiero, anche di quello teologico-religioso, è quello di dirsi come filosofia, come pensiero della natura».

Quindi ha fatto bene papa Francesco a proporre un’enciclica come la Laudato si’?

«Benissimo, la cosa più straordinaria del suo pontificato, insieme al dialogo in tutte le forme. Sconvolgente per esempio in senso positivo, scandaloso secondo le categorie del nuovo Testamento, quel suo inchinarsi di fronte ai capi politici del Sudan. Per tornare al nostro discorso sulla natura, il Papa ha visto benissimo. La grande idea del nostro tempo è capire la natura della natura. E questo non lo fa più la scienza, che ci dice "solo" come funziona. Ma qual è la natura della natura? Secondo me la natura della natura è la relazione. Quando il 15 marzo scorso tutti i giovani del mondo si sono mobilitati per la salvaguardia del mondo, non c’è stato bisogno di ordini superiori per convincerli. Sono scesi in piazza spontaneamente. Era dagli anni Settanta che non si vedeva una mobilitazione così intensa. Allora era l’idea di giustizia che guidava. Oggi è la natura. Da qui bisogna ricostruire un progetto di società e quindi un’indicazione forte».

Sessualità e affettività. Anche qui problemi infiniti. Anche qui uno sguardo che rimane in bilico tra un passato che nessuno considera ideale e un futuro che non si riesce a scorgere. Come se ne esce?

«Ma con il discorso sulla sessualità parliamo ancora una volta di natura. Non credo che oggi i problemi sessuali siano aumentati. Se si scorrono i "penitenziari" medievali, sorta di catalogo delle penitenze per i vari peccati, c’è davvero di tutto e di più. Non abbiamo proprio aggiunto nulla. Come se ne esce? Continuando ad educare e prendendo consapevolezza del fatto che siamo natura. Ma natura che deve appunto chiedersi cos’è la natura della natura. Qual è la mia natura? Sono abitato da una relazione armoniosa che qualche volta porta anche al conflitto, chiaramente, e comporta anche la lotta come momento secondario? Ma si può lottare se crediamo che qualcosa esista. La logica della natura è anche conflitto, che però viene dopo rispetto alla logica della creazione, della formazione, dell’armonia, della relazione. Anche la sessualità è di questo tipo, ma se io capisco che anche la sessualità va inquadrata in una logica di armonia, in modo tale che io "atomo" incontro un altro "atomo" e legandomi insieme posso formare una molecola, quindi una coppia, realizzo quanto di più bello possa capitare a un essere umano. Noi cerchiamo l’indipendenza ma vogliamo "appartenere" a un ideale. Cerchiamo l’indipendenza, ma non la solitudine. La sessualità va inquadrata in questa prospettiva, in questa visione a cui, come ha detto il Papa ai giovani, non servono tabù».

Quando si parla di sessualità, passando dalle categorie filosofiche alla realtà, ci dobbiamo confrontare con uno sguardo ecclesiale che oggi come non mai appare in bilico tra le rigidità di una dottrina avvertita come sempre meno vincolante e gli slanci di una pastorale giovanile e familiare che sperimenta, prudentemente, nuove inclusività. Cosa ci aspetta?

«La tensione tra pastorale e dottrina ci sarà sempre. La prima riguarda le persone concrete, la seconda i principi. Però l’azione etica non è tale quando si limita ad affermare i principi. Se immaginiamo l’etica come un ponte i cui piloni sono i principi e la realtà delle persone, il pilone decisivo è quello della realtà, almeno se vogliamo che l’etica sia al servizio delle persone, ma che anche la dottrina lo sia, almeno se non la vogliamo trasformare in un idolo. L’obiettivo è offrire una strada in cui le persone possano sentirsi serene e realizzate. Si tratta di prendere atto, secondo me, che così come è stata codificata lungo i secoli la morale sessuale cattolica ha avuto una funzione importante. Ma oggi, a parere anche di altri teologi, questo sistema va rivisto, almeno per alcuni aspetti. Lo diceva anche il cardinale Martini ("La Chiesa è indietro di due secoli"). Molti non sono d’accordo ma molti, invece, sostengono questo sviluppo, come peraltro è sempre avvenuto, perché se la dottrina è immobile e ingessata tradisce la vita che evolve sempre, non è mai ferma. Noi stessi cambiamo. Una dottrina immobile a cui sacrificare le vite umane non è una dottrina vera».

Stanno arrivando le prime reazioni all’Esortazione di Francesco sui giovani, Christus vivit. Entusiasmo e condivisione per un Papa che parla in modo semplice e diretto, invita a rischiare, ma anche qualche fatica a comprendere da parte dei giovani come farlo a partire dall’esempio di Gesù. Un problema di linguaggio? Un divario generazionale comunque difficile da colmare?

«Non penso sia un problema solo di linguaggio, ma proprio di contenuto. Non credo che i giovani oggi siano lontani dal senso religioso e siano senza spiritualità. Sono "diversamente spirituali". Ma oggi non si può proporre un’azione spirituale che prescinda dal corpo. Quello di cui c’è bisogno oggi è riscoprire la dimensione contemplativa della vita, che è poi la prima Lettera pastorale del cardinale Martini – torno sempre a lui – e che per me ha avuto grande importanza. Guardiamo il successo che hanno i pellegrinaggi a piedi, Santiago ma non solo. Il rapporto tra natura e spiritualità può essere la chiave vincente per avvicinare i giovani. La figura di Gesù è centrale, ma il punto di partenza per giungere a lui può essere proprio il corpo e la natura, la dimensione contemplativa della vita, quello che la società non offre più. Il cammino, il silenzio, la meditazione e le parole del Vangelo. Tante volte basta una sola frase. "Gesù figlio di Dio abbi pietà di me peccatore", come ripetevano i pellegrini russi. Così potremmo recuperare questa dimensione e aiutare i giovani».