Il mestiere di Pietro

Nella sfilata di secoli alle nostre spalle i popoli hanno determinato ininterrottamente la loro vita sulla base all’autorità che derivava dal passato. La tradizione era la fonte di tutto, etica, diritto, politica, oltre che ovviamente religione e spiritualità. Essa costituiva un principio generativo e gerarchizzante, da cui scaturiva un ordine che si imponeva semplicemente per il fatto di venire prima: “Si è sempre fatto e creduto così, quindi tu fa’ e pensa così”. Era un’autorità che non occorreva conquistare, si dava a priori grazie alla forza del tempo.Il filosofo cattolico Jean Guitton ha affermato: “Stiamo vivendo un momento capitale nella vita dell’umanità, invece di svilupparsi in un regime di tradizioni, si sta evolvendo in un regime dove non esiste più una tradizione precisa… Il nostro è un secolo quale finora non si era mai veduto”. Oggi tutti avvertiamo, chi con soddisfazione, chi con angoscia, che non c’è più una tradizione che si impone sui singoli come forza regolativa della vita: il presente dei singoli è decisamente più forte del passato della tradizione. Perché si è prodotta la crisi dell’autorità in quanto tradizione? Benedetto XVI e i papi precedenti hanno dato la colpa alla modernità e al relativismo, ma non è questione di “colpa”; è che l’immagine del mondo su cui si reggeva la tradizione è semplicemente crollata….

 

Sorta con la metafisica di Aristotele, strutturatasi con l’astronomia di Tolomeo, consacrata dalla poesia di Dante, essa regnò incontrastata nelle menti fino al XVII secolo, duemila anni nei quali la Terra era concepita immobile al centro dell’universo, i pianeti e il Sole che le giravano attorno, ciascuno in un cielo diverso. L’universo era un cosmo, cioè tale da avere ordine e bellezza (cosmo, cosmesi, cosmetici) e da imprimere ordine e bellezza (il canone estetico). Tutto si teneva, perché tutto veniva compreso come dipendente dall’alto. Così Hegel nella Fenomenologia dello spirito: “Il significato di tutto ciò che è stava nel filo di luce che tutto al cielo teneva attaccato”. La rivoluzione astronomica inaugurata da Copernico nel 1543, e divenuta effettiva nel corso del ’600 con Keplero, Galileo e Newton, provocò una serie di ulteriori sconvolgimenti, come in un edificio che, intaccato nelle fondamenta, manifesta continui cedimenti. Da qui le altre rivoluzioni: politica e sociale (Marx), biologica (Darwin), morale (Nietzsche), antropologica (Freud). Questo sovvertimento provocò al livello delle masse un’allegria spensierata, la cosiddetta Belle époque, ma nel sottosuolo si addensò un tale conflitto di forze ormai prive di principio unificatore che portò l’Occidente alla tempesta di due guerre mondiali nel giro di venticinque anni con abissi di violenza mai toccati prima. La Guerra fredda che ne è seguita, i milioni di morti del comunismo ovunque si sia installato, i tentativi sanguinosi della destra fascista di ripristinare l’ordine mediante le giunte militari, il senso di vuoto e di freddo al cuore delle democrazie occidentali e la dilagante corruzione, tutto questo mostra la mancanza di un orizzonte ideale in grado di parlare alle libertà dei singoli rendendole capaci di solidarietà e cooperazione. La portinaia dell’oratorio del mio paese in Brianza era solita gridare a noi ragazzi con aspro tono di rimprovero: Ghe pü de religiun! (non c’è più religione). Né quell’anziana signora né tantomeno noi ragazzi potevamo comprendere che quelle parole erano la denuncia inconsapevole e angosciosa di un movimento epocale molto più profondo, persino in grado di evocare nella sua veste paesana l’epico passo di Plutarco sulla morte del dio Pan e del paganesimo: “Appena si giunse presso Palode regnò una gran pace di venti e di flutti; Tamo, da poppa, con lo sguardo volto alla riva esclamò, come aveva udito: ‘Pan,il grande, è morto!’. Egli non aveva neppure chiuso bocca, che un immenso gemito, non di uno ma di tanti, s’innalzò, misto a grida di stupore”. Si potrebbe obiettare che se andiamo a vedere la storia dei cosiddetti secoli cristiani del medioevo non si ritrovano scenari molto diversi. Ed è vero, la storia non ha mai riservato a nessuno viaggi in prima classe. Con una differenza però: che allora vi era un ordine gerarchico e morale al quale ci si poteva appellare, la fede condivisa in un Dio che reggeva e ordinava il mondo, un libro sacro su cui giurare. È possibile farsene un’idea considerando i regimi teocratici che, a partire dalla rivoluzione iraniana del 1979, si sono diffusi un po’ ovunque nel mondo islamico, con conseguenze non piccole sul resto del pianeta: lì si vede ancora la presenza di un principio ordinatore della società grazie alla forza dell’autorità che viene dal passato. Lì, però, si vede anche un’altra cosa: si vede come il principio gerarchico dell’autorità diventi spesso autoritario e la tradizione tradizionalismo. Lì si vede come l’impostazione che pretende di governare la vita degli esseri umani in modo deduttivo, dall’alto in basso, sia priva di fondamenta reali e divenga spesso oppressione dell’uomo concreto e più ancora della donna concreta nelle loro esigenze di libertà e di autodeterminazione. E quindi si capisce come il processo che in Occidente ha portato alla crisi della tradizione sia da giudicare come qualcosa di necessario e di positivo, una tappa imprescindibile della lunga marcia dell’umanità verso la libertà. Esattamente come le scoperte astronomiche che ora ci fanno sentire sperduti nel cosmo, ma è meglio persi in un’insensata odissea nello spazio che incatenati nell’illusione e nell’errore. Che cosa abbiamo quindi? Che constatiamo i limiti di non avere più principi condivisi di ordine e di gerarchia, ma allo stesso modo conosciamo bene i limiti di principi che calano dall’alto in modo autoritario annullando l’autodeterminazione della coscienza. Abbiamo la botte vuota e la moglie sobria, una situazione poco invidiabile. Tornare indietro non si può, perché nessuno vuole perdere i diritti sulla propria vita privata, ma andare avanti fa paura, perché si vede il vuoto, il nulla, la perdita anche degli ultimi rimasugli di ordine che la tradizione ancora garantisce. Oggi poi la rivoluzione biologica inaugurata da Darwin ha raggiunto l’apice saldandosi con la rivoluzione morale e la rivoluzione antropologica, con tutti i travagli sull’etica sessuale, sulla bioetica, sulla struttura tradizionale della famiglia e sulla stessa identità umana, come mostrano le neuroscienze a causa delle quali l’antico dibattito sul libero arbitrio è tornato più attuale che mai. Non penso ci possa essere nessuno oggi che di fronte a uno scenario così possa ritenersi in possesso della verità. E tuttavia il papa, per statuto, lo deve fare. Ecco la trappola in cui il concilio di Trento (1545-1563) e soprattutto il concilio Vaticano I (1870) hanno rinchiuso l’istituto del Romano Pontefice. In un’epoca che richiede leggerezza, apertura mentale, senso della provvisorietà, l’istituto papale va completamente ripensato e le dimissioni di Benedetto XVI ne sono un esempio e uno stimolo al contempo. Si tratta di passare dal Magisterium al Ministerium, dal magis al minus, dalla dottrina alla sapienza, dal potere alla cooperazione. O la Chiesa cattolica inizierà a rivedere seriamente la concezione del potere che la governa e che ancora rispecchia l’immagine tolemaica dell’universo (problema di fondo dal quale tutti gli altri dipendono), oppure dalla sua crisi non uscirà e l’estinzione che ha colpito il paganesimo sarà anche il suo destino.

Vito Mancuso, La Rebubblica 4 marzo 2013