Il perdono preventivo

 

"In nome di Sua Santità Benedetto XVI gloriosamente Regnante, il Tribunale, invocata la Santissima Trinità, ha pronunciato la seguente sentenza”.

Con questo incipit dal sapore antico, che proietta la mente nei secoli passati e a cui la retorica delle maiuscole si aggrada come l’incenso al canto gregoriano, è calato il sipario su un processo destinato a essere annoverato tra i più famosi e più brevi della nostra storia. A differenza del passato, però, quando gli imputati si chiamavano per esempio Giordano Bruno (messo al rogo il 17 febbraio 1600) o Angelo Targhini e Leonida Montanari (decapitati il 23 novembre 1825), per il maggiordomo papale Paolo Gabriele, reo di aver sottratto al Papa documenti riservati e soprattutto di averli consegnati al giornalista Gianluigi Nuzzi che li ha fatti conoscere al mondo intero, si è assistito da subito a un’ampia profusione di clemenza. In considerazione di alcune attenuanti (assenza di precedenti penali, meriti acquisiti per il lavoro antecedente ai fatti, movente soggettivo ideale e ammissione di aver “tradito” il Papa) la pena originaria di tre anni è stata dimezzata a un anno e sei mesi di reclusione, che sarebbero da trascorrere verosimilmente in un carcere italiano visto che il Vaticano ne è privo. Il direttore della sala stampa vaticana però ha subito fatto sapere che «la possibilità della grazia è molto concreta e molto verosimile», parole che indicano esplicitamente che Benedetto XVI concederà la grazia di sicuro e in tempi molto ravvicinati. La domanda, a questo punto, sorge spontanea: perché? Perché, dopo le grida scandalizzate che seguirono alla nascita del caso nel maggio scorso, oggi si assiste a questa vera e propria grazia preventiva?

A nessuno credo sia dato conoscere il motivo soggettivo dell’atto di clemenza papale verso un collaboratore che per anni ha condiviso la sua quotidianità, né credo che a nessuno dispiaccia che tale grazia venga esercitata. Ma credo che sia abbastanza visibile il motivo oggettivo che sta dietro la grazia in arrivo, motivo che si chiama desiderio di ritorno alla normalità. Si sta aprendo l’anno della fede, sta per iniziare il sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione, già fervono le celebrazioni di cinquant’anni dell’inizio del Vaticano II e dei vent’anni del Catechismo della Chiesa cattolica, e a nessuno nella Chiesa, né in Vaticano né nella più piccola parrocchia del mondo, fa piacere respirare l’aria dei veleni, delle congiure, dei tradimenti del “corvo” e dei suoi eventuali altolocati complici. Da qui la profusione di clemenza, da qui la grazia preventivamente in arrivo ancor prima che il diretto interessato l’abbia richiesta.Il problema aperto dalle carte sottratte però, che per quanto sottratte sono tutte tremendamente autentiche, non si risolve di certo così. Le divisione e i livori che attraversano la Curia e i principali collaboratori papali, in particolare il cardinale Bertone, Segretario di Stato bersaglio numero uno dell’operazione architettata dal maggiordomo papale e da suoi eventuali complici, avrebbero bisogno di ben altra medicina. Nella sua ultima intervista il cardinal Martini affermava che «la Chiesa deve riconoscere i propri errori e percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi». La grazia verso Paolo Gabriele è grazia a buon mercato, e ci può anche stare, ma sarebbe necessaria una grazia “a caro prezzo”, cioè coraggio evangelico e scelte radicali, per sanare veramente i mali profondi di cui soffre oggi la Chiesa.

Vito Mancuso, La Repubblica 7 Ottobre 2012