Vito Mancuso e la sua nuova teologia del creato

La presentazione di Gad Lerner al PRINCIPIO PASSIONE 

Repubblica giovedì 19 settembre 2013

Lerner_Gad_3Vito Mancuso lo fa apposta. E’ un candido, ma non un ingenuo. Credo lo diverta l’irritazione suscitata dal suo modo di interpretare e comunicare la teologia nella nutrita schiera dei puristi, più o meno credenti ma sempre devoti alla tradizione. Quelli, i puristi, lo accusano di non essere più cristiano e di osare troppo nei suoi tentativi di interpretazione del creato. Lui, Mancuso, si rammarica di come i devoti della teologia dogmatica finiscano per rendere sempre più insostenibile l’idea di Dio all’uomo contemporaneo. E allora lo fa apposta, per esempio, ad abbinare in esergo, là dove pone le domande fondamentali del suo nuovo saggio “Il principio passione” (Garzanti, pagg 495), due figure stridenti come il Cardinale Martini e Lucio Dalla: il biblista che cerca illuminazione nel logos, ovvero crede nel pensiero e nella parola come tramiti di un disegno divino dell’esistenza; e il musicista-poeta che va brancolando nel mistero del caos, riconoscendolo a sua volta divino e vitale. La scrittura di Mancuso riesce a mantenersi ironica pure quando si cimenta con gli enigmi fondamentali del cosmo, senza mai scadere nella faciloneria: così il Lucio Dalla di “Com’è profondo il mare” può sovvenirgli quando descrive l’origine acquatica del primo microrganismo LUCA “apparso tra 3,8 e 3,5 miliardi di anni fa che ormai ha sostituito il vecchio Adamo”. E’ interessante constatare come le più antiche cosmogonie e la scienza moderna convergano sulla primordialità dell’acqua.

L’impianto bibliografico posto a chiusura del volume spazia per ben 23 pagine fra teologia cristiana e filosofie orientali, fra religioni politeiste e classici greci, fra ebraismo e spiritualità laica; contempla i nuovi teorici del creazionismo e oppone loro un resoconto sistematico della fisica delle particelle e della teoria dell’evoluzione. Così l’erudizione, anziché intimidirci, assolve al suo ruolo di guida per i perplessi.
Lo scopo di tale impianto poderoso è infine quello di proporre un credo semplice. Capace di avvicinare fede e ragione. Mancuso lo sintetizza nella formula: Logos + Caos = Pathos. Il principio passione, appunto, come amalgama dell’eterno conflitto tra la razionalità di un disegno superiore e la casualità materiale. Ecco cos’è il Pathos: è lo spirito vitale dell’amore divino/umano da cui scaturisce l’energia della vita in continua evoluzione. Qui Mancuso farà indispettire i teologi puristi: in origine, afferma, non vi è alcun peccato originale, come pretende la dottrina cattolica senza trovare appigli nel libro della Genesi. In principio, non c’è un peccato di cui colpevolizzarci, bensì il caos originale. Il male di cui inevitabilmente è intessuta la nostra esperienza, la stessa crudeltà insita nell’evoluzione del creato, non sono il prodotto di una volontà divina (come tale inspiegabile). Solo al prezzo di “disonesti sofismi” la dottrina cristiana vigente tenta di tenere assieme un Dio-guida artefice in toto della vicenda umana e un Dio-amorevole per sua natura votato al bene. L’unica possibilità del credente oggi è “passare dal verticismo della potenza all’armonia della relazione”. Riconoscere cioè la strutturale imperfezione dell’essere creato -come del resto la scienza ci sollecita a fare- e ammettere che questo è anche il fondamento della nostra libertà. Dio stesso, come ha affermato Benedetto XVI in contrasto col suo predecessore Giovanni Paolo II, non può aver pianificato il male a fin di bene. Né le tragedie storiche, né i cataclismi naturali, ma neppure le malattie genetiche e il dolore che permea ogni vita, possono giustificarsi come opera di Provvidenza. Ogni essere creato esce dalle mani di Dio impastato di logos e di caos, di ordine e di possibilità di infrangere l’ordine. Altrimenti, con la libertà, ci sarebbe precluso anche lo spirito capace di amore. Il pathos.
Ecco dunque il Dio in cui crede Mancuso, lieto di poter condividere tale fede con molti autorevoli esponenti della comunità scientifica: anch’Egli immerso nel caos, vi promuove quella spinta all’aggregazione senza cui l’Universo sarebbe rimasto un disordinato assemblaggio di microrganismi elementari impossibilitati all’armonia; e l’eros che ci fa amare il mondo e sopportarne il dolore, non circolerebbe fra noi.
In sintesi: “Credo in un Dio che prende così sul serio l’alleanza col mondo da essere coinvolto nel processo vitale mediante cui il mondo si fa”. E qui, accettando la perpetua costanza del male che mette in imbarazzo il Catechismo cattolico (“La permissione divina dell’attività diabolica è un grande mistero”, balbetta l’articolo 395), Mancuso si compiace di citare ancora Lucio Dalla: “Credo molto nel dolore come elemento evolutivo. Per cui credo nella poesia”.
Di fronte a chi lo accuserà di teologia facile –egli stesso non disconosce che la sua visione del divino si avvicina a quella degli animisti- mi piace constatare la sintonia rivendicata da Mancuso con la filosofia della relazione di Martin Buber. Non a caso anche il grande narratore della mistica ebraica fu oggetto di ironie sgradevoli da parte di interlocutori più rigidi come Gershom Scholem e Leo Strauss. Ma sono proprio i Mancuso e i Buber coloro che sanno avvicinare la cultura religiosa alla sensibilità popolare.
E’ infatti qualcosa di più che una tecnica narrativa brillante, quella che porta Mancuso a rileggere Giobbe e il mistero del corpo umano dilaniato alla luce della scoperta del bosone di Higgs, detto anche –guarda un po’- “particella di Dio”. Perché la spinta relazionale trova un fondamento nella fisica che studia la materia, con modalità trasferibili nella nostra dimensione spirituale. I mattoncini colorati della nostra infanzia, si diverte a notare Mancuso, non a caso si chiamavano e si chiamano ancora Lego.
E allora la forza dell’amore non è solo un escamotage per canzonette, vero Lucio Dalla?
Resta da capire come il cristiano Mancuso possa collocare la vicenda di Gesù dentro a questa visione né monarchica né anarchica, semmai “democratica” dell’evoluzione del cosmo. Un conto è rivendicare la possibilità di essere darwiniani e credenti, altro è misurarsi con la passione e la risurrezione del Figlio di Dio.
Il suo proposito dichiarato è di “schiodare la Bibbia” dall’imbarazzante contraddizione fra le pagine su Dio come amore-santità e il male che altrove la pervade; presentando così “un’idea sostenibile di Dio” che superi la contrapposizione fra teismo (il mondo governato dall’alto) e ateismo (il mondo in balìa del caso). Dunque è proprio il principio-passione a motivare la fede di Mancuso in un Cristo di cui la dottrina cattolica ha lasciato in ombra il ruolo cosmico: il suo passaggio terreno va interpretato come condivisione divina di un pathos riscontrabile in numerose altre vicende umane di martirio, fino ai giorni nostri. Cristo lo aiuta a comprendere perché l’amore possa sospingere al sacrificio di sé, votandosi al bene e accettando il dolore, tante altre figure a noi prossime. Del resto, nel suo saggio precedente (“Io e Dio”, pagg. 317-8) Mancuso aveva scritto di Gesù: “Accetto la risurrezione, ma non ne faccio il fondamento della mia fede… le parole di Gesù e la sua testimonianza di vita mi affascinano anche a prescindere dalla sua risurrezione e dai suoi miracoli”.
Lo stesso dialogo fra papa Francesco e Eugenio Scalfari avviato su questo giornale laico, conferma quanto fertile possa essere l’offerta di nuova teologia, non più intimidita dalla tradizione dogmatica. Mancuso ne ha fatto un libro affascinante, forse il suo lavoro più ardito: dove egli cerca l’incontro con gli esploratori della scienza sul terreno incognito della creazione. E dove la creazione stessa ci si ripropone come opera divina impastata di bene e di male, inspiegabile senza l’ambivalenza della passione.