L’eterna ricerca di Dio

Intervista al prof. Vito Mancuso di Laura Solieri per La Gazzetta di Modena

 

«Superata la religione autoritaria, l'uomo guarda al Divino con la spiritualità»

 

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L'eterna ricerca di Dio [PDF]

 

Modena; sabato 31 agosto 2024, alle ore 21 alla Festa dell'Unità di Modena (Agora Matteotti) si terrà l'incontro "Dov'è finito Dio? Il ritorno della spiritualità nella crisi delle Chiese” che vedrà dialogare il saggista Vito Mancuso, con Massimo Mezzetti (sindaco di Modena e Brunetto Salvarani (saggista) intorno a quello che è un quesito onnipresente nella storia del pensiero umano.

Mancuso, probabilmente molti, in questo periodo storico, si chiedono dove sia finito Dio. Secondo lei è una domanda giusta?

«È una domanda giusta e necessaria: fino a quando gli esseri umani si porranno la domanda su Dio e il divino, mostreranno di continuare a pensare, a riflettere. Piuttosto, rivela la sua precarietà la modalità mediante cui la domanda viene posta: cosa presuppone essa? La manifestazione tangibile di Dio nella storia, che è sostanzialmente il racconto biblico. La mente occidentale cresciuta da 2000 anni a questa parte sulla base della rivelazione ebraica e cristiana, ritiene che Dio sia il Dio della natura e della storia e quindi, per questo, si chiede dove sia finito» …

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La nazionalità non fa i cittadini. I popoli nascono dalla cultura.

In primo piano

Nessuno Stato può "fare" esseri umani affermando la propria ideologia. Solo i regimi autoritari hanno sostenuto la coincidenza tra Stato e nazione

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Nazionalità [PDF]

 

“Fatta l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”, si dice che dichiarò Massimo D’Azeglio all’indomani della proclamazione dello Stato unitario nel 1861. Da allora il processo del “fare” gli italiani non è mai terminato e giustamente la politica in questi giorni sta discutendo sulla sorgente che conferisce a un essere umano lo stato giuridico di cittadino italiano. Il tema è urgente, anzi improcrastinabile, sia perché direttamente riguarda molte persone che vivono in Italia che non sono cittadini italiani e lo vorrebbero essere, sia perché indirettamente riguarda tutti gli attuali cittadini italiani in quanto chiarificatore (in questi tempi così confusi) della loro identità. Cosa significa essere cittadini italiani? In che modo “si fanno” gli italiani? Per essere un cittadino italiano è necessario essere di nazionalità italiana? Qual è il rapporto tra cittadinanza e nazionalità?

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Spiritualità

La sopravvivenza della nostra civiltà è a rischio: la crisi della fede non è che un sintomo. L'assenza di fede e speranza nuoce enormemente alla salute mentale dei ragazzi

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Spiritualità [PDF]

L’arcivescovo di Torino ha scritto qualche giorno fa su questo giornale: “La scarsa adesione dei giovani all’esperienza cristiana mi fa pensare che la Chiesa oggi non è più percepita come risorsa spirituale”. Duemila anni fa Plutarco, storico, filosofo e sacerdote del tempio di Delfi, si chiedeva: “Perché sono deserti i templi degli Dei?”. Con parole diverse è la medesima constatazione. Altrove Plutarco aveva riferito dell’urlo straziante che annunciava al mondo la morte del dio Pan, il più pagano degli Dei, quindi la morte del paganesimo, constatando il lento ma inarrestabile declino della civiltà classica: aveva visto bene, perché quattro secoli dopo il declino sarebbe culminato nelle invasioni barbariche e nell’insediamento di un’altra civiltà …

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Meno Cristianesimo più spiritualità

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La risposta del prof. Vito Mancuso all’arcivescovo Repole: a un mondo che cerca unità dialogo e pluralismo propone quell’eclusivismo teologico che nei secoli ha prodotto persecuzioni e guerre

Meno Cristianesimo più spiritualità [PDF]

Una frase dell’arcivescovo di Torino Roberto Repole (in un articolo per l’ultimo numero della rivista “Vita e Pensiero” parzialmente pubblicato ieri nelle cronache torinesi di questo giornale) ha destato in me dapprima curiosità e poi preoccupazione. Ecco le sue parole, che concludono l’articolo: “Io sono cristiano perché credo fermissimamente ciò che dice Pietro nel libro degli Atti: che non c’è nessun altro nome in cui c'è salvezza, se non Gesù Cristo. Chiedo perdono, ma per meno di questo io non riuscirei a essere cristiano”. In sé nulla di nuovo, solo la ripetizione dell’annuncio cristiano come prosegue da duemila anni. Ma perché allora quello strano inciso “chiedo perdono”? A chi? E di che cosa? In realtà, dietro la ripetizione della prospettiva tradizionale c’è la consapevolezza di un problema diventato rovente ai nostri giorni e che si può esprimere così: davvero non esiste altro nome se non quello di Gesù per la salvezza degli esseri umani? Davvero si salvano (qualunque cosa voglia dire “salvarsi”) solo i cristiani? Davvero tutti coloro che non si appellano al nome di Gesù, e che sono la maggioranza dell’umanità nel passato nel presente e nel futuro, sono esclusi dalla salvezza? Davvero Dio rifiuta di salvare chi lo prega rivolgendosi a lui nel nome di altri? O chi non lo prega ma pratica la vita spirituale, come per esempio i buddhisti e i jainisti? O addirittura chi lo nega ma serve il bene con un’irreprensibile condotta morale lottando contro le ingiustizie e le disuguaglianze? …

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Se la cultura del saper perdere è la più alta filosofia di vita

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Contano solo le medaglie d’oro o esiste un valore anche nella sconfitta? Per tutte le spiritualità mondiali “il successo più grande è quello contro sé stessi”.

Sulla sconfitta [PDF]

In questi giorni di gare olimpiche, di medaglie vinte oppure perse per un centesimo di secondo, di pochi vincitori e di tanti relativi perdenti, è inevitabile che fioriscano i dibattiti sulla vittoria e sulla sconfitta. Sul valore della prima sembra non ci sia discussione: nessuno al mondo si mette a gareggiare senza il desiderio di vincere, di essere il primo di tutti, si tratta di qualcosa di supremamente naturale per gli esseri umani e senza questo desiderio non vi sarebbero gare, giochi, campionati, premi letterari, agoni, certami e ogni altra sorta di competizione. La vittoria è il fine della gara. Altrimenti non si gareggia, semplicemente si pratica. Ma se c’è la gara, è perché si insegue la vittoria; e se si insegue la vittoria, è perché si vuole la gloria che ne scaturisce. E da che mondo è mondo, la gloria è uno dei quattro maggiori desideri che mettono in moto gli esseri umani (gli altri tre sono il piacere, il potere e l’avere, e sono tra loro in relazione gerarchica a seconda del singolo soggetto). Il che non vale certo solo per lo sport, vale anche per la ricerca scientifica, la politica, la cultura, persino la religione. Ha scritto Pascal: “La vanità è a tal punto radicata nel cuore dell’uomo che un soldato, un attendente, un cuciniere, un vessillifero si vantano e vogliono degli ammiratori. E anche i filosofi li vogliono, e quelli che scrivono contro tutto ciò vogliono la gloria di aver scritto bene, e quelli che leggono vogliono la gloria di averli letti, e anch’io che sto scrivendo ho forse questo desiderio, e forse quelli che lo leggeranno…”. Insomma aspiriamo tutti, ognuno alla propria maniera a seconda dei mezzi che ha, alla medaglia d’oro…

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È sbagliato irridere la religiosità, i giochi antichi erano un evento sacro

La competizione prende il nome dalla città-santuario sede del grande tempio dedicato a Zeus. Teodosio la abolì, primo esempio di Cancel Culture: non ripetiamo lo stesso errore con il Cristianesimo 

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Olimpiadi [PDF]

Un tempo le Olimpiadi iniziavano con una consacrazione, oggi invece sono iniziate con una dissacrazione. E il punto è che la dissacrazione della tradizione cristiana e occidentale compiuta dall’inaugurazione di Parigi dice di noi: rappresenta la fatuità di questi nostri poveri giorni, fotografa la miseria culturale e spirituale che li caratterizza, è l’emblema dell’inimicizia sempre più intensa verso la nostra storia. Una pianta senza radici secca, una civiltà senza radici lo stesso: e la nostra civiltà, che è post-cristiana, post-occidentale, post-umana, è ormai sradicata da tempo. Non c’è praticamente manifestazione culturale di massa che non ce lo ricordi. I movimenti languidi dei corpi delle cosiddette Drag queen l’altro ieri a Parigi nella loro parodia queer dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci (cioè dell’immagine pittorica universalmente più nota dell’Ultima Cena di Gesù Cristo) rappresentavano, in quel momento in mondovisione, l’emblema degli spasimi in cui si contorce l’anima occidentale, nemica di se stessa e della propria tradizione, secondo la medesima tendenza manifestata da “cancel culture”, “woke” e orientamenti culturali del genere. Se non si deve beatificare il passato, secondo quella visione altamente immatura che colloca nel passato tutto il bene e vede nel presente solo il male, non si deve neppure cadere nell’eccesso opposto. La storia siamo noi, cantava Francesco De Gregori, il che significa che noi, oggi, siamo anche la storia di ieri, essa è dentro di noi, ci consegna le parole con cui parliamo e le idee con cui pensiamo, e ogni operazione che intende “cancellare”, e non, giustamente e kantianamente “criticare”, è necessariamente destinata a non capire e quindi a fare male. L’ignoranza, è matematico, produce sempre male, tanto più quando si presenta come “cultura”…

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Intervista per RSI svizzera

ABUSI NELLA CHIESA FRANCESE

Intervista al prof. Vito Mancuso per RSI in onda il 22.07.2024

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Se Trump confonde Dio con la fortuna

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Dietro le parole del Tycoon, subito dopo essere scampato all’attentato, c’è la lotta millenaria tra chi crede nel Caso e chi nella Provvidenza.

Se Trump confonde Dio con la fortuna [PDF]

Donald Trump non si è sbilanciato nello scegliere la potenza grazie a cui egli è ancora tra i vivi: se la fortuna o se Dio. Un istante prima non aveva avuto dubbi nel dichiarare quale avrebbe dovuto essere il suo destino: “Non dovrei essere qui, dovrei essere morto”, ma subito dopo ha lasciato prudentemente in sospeso a chi attribuire il merito del suo essere rimasto in vita: “Per fortuna o per Dio sono ancora qui”. Per fortuna o per Dio; in inglese: “By luck or by God”. L’alternativa, che nel discorso colloquiale scorre quasi inosservata, diviene dirimente non appena si inizia a pensare: Scusi, per fortuna “o” per Dio? …

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Amore sacro e profano

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Amore sacro e profano [PDF]

In quest’epoca di chiacchiere, rumore e conseguente confusione il compito del pensiero è di introdurre chiarezza, rigore e pulizia nella mente, e da lì nel cuore. Per questo, parlando dell’amore, inizio dandone la seguente definizione: “attrazione irresistibile che provoca nel soggetto un permanente cambiamento di stato”. L’amore non è semplice attrazione, per poterlo avere nella sua autenticità l’attrazione deve essere “irresistibile”; in caso contrario si ha solo interesse, simpatia, inclinazione, affetto, trasporto, non però amore. Si tratta della differenza che intercorre tra dire “ti voglio bene” e dire “ti amo”: noi possiamo dire “ti voglio bene” a molte persone, mentre “ti amo” solo a poche, anzi a pochissime, forse a una sola. E non è certo un caso che mentre tutti sanno dire “ti voglio bene”, non tutti sanno e possono dire “ti amo” …

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Sulla vicenda del parco Don Bosco di Bologna

Sacrosanta la difesa delle piante ma non possiamo farne degli idoli

intervista di Caterina Giusberti, per Repubblica Bologna del 21 giugno 2024

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«È sacrosanto difendere gli alberi, perché senza non avremmo l'ossigeno e quindi la vita. Ma non possiamo farne degli idoli. Chi definisce che cos'è il bene superiore all'interno di una società è la politica, che ascolta, medita, studia e alla fine decide». Il teologo Vito Mancuso, che vive a Bologna, prova a mettere in fila tutti gli aspetti dello scontro in atto al parco Don Bosco. 

Intervista a Repubblica Bologma del 21.6.2024 [PDF]

«Io penso che ci sia un problema antropico, che è reale, ovvero la necessità di costruire case, scuole, il tram, le industrie. E che ci sia d'altra parte un problema ecologico, altrettanto reale: il cambiamento climatico, la qualità dell'aria che peggiora, il rischio di nuove pandemie». 

Come se ne esce? 

«Non so se sia veramente necessario abbattere quegli alberi. Ma credo che i due estremismi siano entrambi sbagliati. È sbagliato pensare che ogni singolo albero sia sacro. Ma è giusto difenderli in tutti i modi possibili». 

Lei è preoccupato per il cambiamento climatico? 

«È irresponsabile non esserlo, non preoccuparsene vuol dire non fare i conti con la realtà. Fino a qualche anno fa si poteva dire che erano tutte storie, ma adesso  tutti noi abbiamo sotto gli occhi l'evidenza che c'è qualcosa di strano in atto. La tempesta Vaia è stata impressionante, un fenomeno tropicale. Nei nostri fiumi e nei nostri laghi abbiamo flore e faune nuove, mai viste. Da questo punto di vista fare le barricate per degli alberi abbattuti è una reazione non giustificata, ma di cui si capisce il motivo: la volontà di salvaguardia del pianeta, che è sacrosanta. Poi di qui a fare di ogni albero il valore sommo ce ne passa. Altrimenti gli stessi attivisti che lavorano per gli alberi non avrebbero case e strade. Gran parte dello sviluppo qui è avvenuto tagliando alberi». 

Quindi che si fa? 

«Quello che posso dire è che ci troviamo di fronte a sfide che richiedono conoscenza, flessibilità e dialogo. Il problema dell'ecologia contro l'economia non lo risolve un amministratore comunale da solo. Sono questioni che richiedono calma, molto studio e nessun dogmatismo, perché se assolutizzi un singolo punto di vista ti metti nella condizione di non vedere l'insieme. E la politica è calma, visione, polis. Non bisogna immaginare il singolo quartiere, ma l'intera città.  Aristotele diceva che la politica è la scienza architettonica al sommo grado, occorre una visione d'insieme. Questa è la vera sfida di chi fa politica seriamente oggi. Ascoltare tutti, mediare, circondarsi di persone che studiano, poi decidere». 

Anche con la forza? 

«Non serve a niente avere l'autorità se non si fa nulla, questo è evidente, se le istituzioni ci sono è per esercitare la decisione».

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