Intervista a smitalia

Impariamo a navigare nelle contraddizioni

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Intervista di Giuseppe Gazzola

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Viviamo tempi difficili. Quando arriva la diagnosi di una malattia che durerà tutta la vita, ma anche quando ci arriva la notizia dell'ennesimo drammatico femminicidio. Quando ogni giorno bambini innocenti muoiono in una delle tante guerre che devastano il mondo e ci chiediamo perché. Perché gli uomini e le donne sembrano sempre più intensamente aggressivi, soli, insensibili all'altro? Siamo ancora capaci di empatia, di vivere quella solidarietà sincera che è cuore e sangue di una società inclusiva, libera e giusta? Ne abbiamo parlato con Vito Mancuso, teologo e scrittore. In un'Italia dove nessuno legge più niente, a parte i post dei social, è uno dei pochi uomini a vivere grazie ai libri che pensa, scrive e pubblica con ottimi riscontri di pubblico. Navigando nel suo pensiero lucido e appassionato, talvolta scomodo, mai banale, cerchiamo insieme a lui una bussola per orientarci in questi tempi incerti e burrascosi, dove siamo chiamati ogni giorno a fare la nostra parte. 

Perché Vito questi sono giorni difficili? Qual è dal tuo osservatorio la grande crisi che stiamo affrontando come persone e come società? 

In realtà, se guardiamo alla storia dell'umanità, dobbiamo dire che non ci sono stati mai giorni facili per nessuno. I testi che sono giunti a noi dall'antico Egitto, dalla Mesopotamia o anche i testi ebraici e greci, come quelli di Esiodo, ci dicono che è sempre stato difficile, però ogni epoca ha la sua difficoltà. Il grande problema del nostro tempo e della nostra civiltà è la mancanza di un orientamento, uno scopo, una visione che non sia solo quella del traguardo contingente che ciascuno raggiunge, potere, piacere, ricchezza che oggi sembrano la meta cui un po' tutti tendono. Siamo sulla nave, riusciamo a pescare pesci e a nutrirci, andiamo avanti in qualche modo, ma dove stiamo andando non lo sappiamo, soprattutto i giovani avvertono il bisogno di una prospettiva che va dal di là del piccolo cabotaggio della. Immediata …

Questo nostro tempo, hai scritto, ci chiama a essere attivi e passivi a un tempo, protagonisti in azione e insieme attenti ascoltatori della voce della vita e della società. Perché non dobbiamo perdere nessuna delle due dimensioni? 

Più passa il tempo e più mi rendo conto di quanto sia importante la dimensione passiva. Da giovane per me in principio c'era sempre l'azione, ma oggi so che c'è qualcosa che precede la mia azione. Ognuno di noi agisce bene nella misura in cui prima accoglie, ascolta, impara, va a scuola, si fa attento. Le azioni più importanti sono quelle che nascono da una passione che le precede, passione intesa come pathos, ossia qualcosa che viene patito sia in senso negativo, come sofferenza incontrata, accolta, affrontata, sia nel senso positivo di una passione che non arriva da te, ma ti prende e ti mette in azione. La passione non è un hobby, ma qualcosa di molto più radicale. 

Per dirla, sempre con parole tue, siamo suoni ma dobbiamo diventare musica, armonizzarci con gli altri. Riuscita di noi stessi e solidarietà devono andare insieme. Siamo liberi di essere noi stessi solo insieme. Tu come pensi questa dialettica tra libertà personale esercitata e libertà collettiva condivisa?

Esattamente così. La libertà mia che si esprime in modo coerente genera una musica che non potrebbe esserci senza che io mi esponga e mi inserisca nella musica degli altri. Non ha senso volere essere sempre originale senza mai connettersi con gli altri, però qualche volta dovrò trovare il coraggio di mettere in circolo la mia originalità di fare il solista, senza limitarmi a suonare solo la musica che ho sempre sentito, la musica della mia e di tutte le associazioni, gli oratori, le aziende è sempre tutto dentro una dialettica. La vita di ogni persona e quella della società è movimento e discernimento. 

In questo movimento perenne fermiamoci un momento sulla solidarietà. Tu come la definisci? Qual è il suo posto nel vivere contemporaneo?

Per assonanza, anche se l'etimologia probabilmente non regge, la solidarietà è il solido, il contrario del liquido: assenza di solidarietà è un tessuto che si sfilaccia, i fili più grandi e più forti se ne vanno per conto proprio e il tessuto si straccia. La società solidale è invece solida perché sa dare la mano a tutti i suoi componenti. È coesa e non lascia indietro nessuno, per quanto possibile, regge in tutte le tempeste. 

Quali sono a tuo avviso le trappole sociali del nostro tempo? 

Nel mio ultimo libro parlo della trappola di contrapporre la democrazia sostanziale e la democrazia formale che porta il disprezzo del bene comune e per la cura dei valori civili; l'economia e l'ecologia; la tutela delle identità e l'accoglienza di chi arriva da altri mondi; la coscienza e la tecnologia che guarda gli esseri umani solo come operativi, efficienti, performativi; la sicurezza nazionale contro la pace. 

Come le affrontiamo e superiamo? 

Con intelligenza, con la capacità di leggere dentro lo stato delle cose mettendoci sempre nei panni di tutte le posizioni contrapposte. Non è vero che tutti quelli che pensano di dover difendere il proprio territorio e la sua cultura siano persone non solidali, persino razziste, di basso livello umano. Ma neppure sbaglia chi sottolinea il valore dell'accoglienza, dell'inclusione, della non discriminazione. Il vero compito irrinunciabile come diceva il filosofo Spinoza è capire, non deridere, non compiangere, non giudicare, ma anzitutto capire. Non bisogna fare finta che le differenze non ci siano e non dobbiamo pensare mai che tutto il bene sia dalla nostra parte e tutto il male dall'altra. Non c'è una terra dei buoni e una dei cattivi, dobbiamo imparare a navigare tra le contrapposizioni e cercare di contribuire alla loro armonizzazione. 

Se le antinomie del nostro tempo sono da mantenere integrandole in una sintesi che le armonizzi, possiamo dire che il bene comune e salute individuale vanno insieme? 

Se stiamo bene tutti, se sta bene la società, sto meglio anch'io. Sono convinto che il nostro benessere fisico abbia a che fare anche con il nostro benessere sociale. Certo, ci sono malattie che arrivano all'improvviso anche nei luoghi migliori, nelle relazioni migliori, negli Stati più attenti al bene comune. Però si vive meglio in una società con meno corruzione, con più welfare, con diffuso senso di solidarietà, dove la gente si sente rappresentata e tutelata da uno stato governato da persone capaci: se tutti vivono meglio anche la salute fisica di ogni cittadino ne risente in positivo, anche solo perché gli ospedali funzionano meglio e per curarsi non bisogna fare i conti con lunghissime liste d'attesa. 

Quando però ti trovi travolto da un dolore di cui non ti spieghi il motivo, da una malattia che inspiegabilmente ha colpito proprio te, come ritrovi un motivo che ti ancori a un senso buono per la tua vita e per quella delle persone che vivono con te?

A questa domanda non mi sento di rispondere, ne può parlare con autenticità solo chi c'è dentro e lavora ogni giorno per uscire dal buio. 

Siamo d'accordo, nessuno è maestro se non di ciò che vive, ma il teologo Vito Mancuso cosa direbbe di fronte al dolore? 

Quando ci ammaliamo quando un genitore si trova ad avere un figlio con una malattia genetica, quando a noi figli muore un genitore per malattia non abbiamo nessuna colpa. Il dolore è sempre innocente, non è mai colpevole, non è mai necessario, non è mai espiatorio. Non deve servire a uno scopo più grande, sgombriamo il campo, liberiamoci dai fraintendimenti dannosi. Piuttosto che dare risposte sbagliate sulla causa e sul senso del soffrire di un'altra persona, è meglio restare muti, dove restare significa esserci, non fuggire. Il nostro compito è ascoltare, accogliere. 

Hai usato l'aggettivo nostro. In questa nostra epoca aiamo passati dal tempo della morte di Dio al tempo dell'Io dominante. Come trovare una strada per recuperare il rispetto per gli altri, per la natura, per i diritti di uguaglianza e giustizia? Cosa fare perché rinasca un tempo del noi? 

La rinascita, se ci sarà, sorgerà se ci convinceremo che dentro di noi c'è qualcosa più importante di noi, un'esperienza che si può definire Ultra-Io. Questo Ultra è veicolato dalla coscienza morale. Come diceva Sant'Agostino "più prezioso ancora è ciò che ho dentro". Conosco scienziati che erano atei e invecchiando si sono sempre più interessati alla spiritualità. Non vedo oggi nessun'altra possibilità di rinascita della nostra civiltà se non in una grande alleanza tra scienza e spiritualità. 

Come troviamo una bussola per orientarci in questo percorso? 

Torniamo al presente, smettiamo di rimanere fermi nel rimuginare sul passato o bloccati dalla paura del futuro incombente, cerchiamo di concentrarci nel vivere, con leggerezza, il nostro presente. La vita è movimento, il mondo si muove. Stare nel presente significa non avere paura del futuro ma prepararlo, immettendo nel presente, per quanto possibile, calma, serenità, armonia, intelligenza. Percorriamo sentieri di dialogo, di intelligenza, di sfida. Quando tutto si fa difficile, quando le risposte che avevamo sembrano sbagliate, quando ci sentiamo nudi nel mondo, ricominciamo a cercare risposte nuove e diverse. 

Qual è il criterio che dice che stiamo andando nella direzione giusta? 

In una parola sola il criterio è la gioia. Noi siamo relazione. Quando la relazione è armoniosa e funziona allora produce gioia. La gioia è diversa dalla felicità, non viene da fuori, ma nasce dentro di noi. I miei compagni di università avevano coniato il termine "mancusismo" per descrivere l'atteggiamento di ottimismo, lieto e positivo, la carica ottimista, mai priva di criticità. Come diceva il filosofo Spinoza, la passione per cui la vita cambia e passa da una perfezione maggiore è la letizia. Non è facile, ma è possibile.