C’è un Dio da non difendere

 

VitoMancuso

 

«Dobbiamo proteggere quello interiore non quello della tradizione che Meloni associa a patria e famiglia. È lontano dall’anima degli esseri umani, e invocarlo conduce alla violenza». L’articolo pubblicato su La Stampa sabato 16 settembre 2023

 

C'è un Dio da non difendere [PDF]

 

La Presidente Giorgia Meloni non è il primo leader politico a dichiarare di voler difendere Dio. La storia conosce da sempre sia politici che si fanno difensori di Dio (come Enrico VIII d'Inghilterra nominato Defensor fidei da papa Leone X, anche se ciò non gli impedì qualche anno dopo di far decapitare Tommaso Moro), sia uomini di Chiesa che si fanno paladini di obiettivi politici (come Benedetto XVI con i suoi «valori non negoziabili» di vita-scuola-famiglia).

Dalla Roma imperiale alla Roma di oggi, dall'antico Israele all'Israele di oggi ostaggio dei partiti religiosi, dalla Russia di Putin e di Kirill all'India di Modi, sono numerosissime le civiltà basate sull'alleanza tra il trono e l'altare, in qualunque modo questi si chiamino. Di solito l'alleanza funziona perché conviene a entrambi, mentre non sempre conviene ai cittadini che infatti qualche volta la fanno saltare: si pensi alla Rivoluzione francese e alla fine dell'Ancien Régime, e si pensi in anni più recenti in Italia ai referendum popolari sul divorzio e sull'aborto, quando la maggioranza dei cittadini scelse un'idea di famiglia diversa da quella del trono e dell'altare, a quei tempi molto più strettamente imparentati di oggi …

Ma quale Dio occorre difendere? E da chi occorre difenderlo, e da che cosa? Si leggono nella Bibbia queste parole di Giobbe ai tre amici teologi venuti a difendere Dio dalle sue accuse: «Volete difendere Dio parlando con menzogna? Sostenere la sua causa con parole di frode?» (Giobbe 13,7). Il punto vero, quindi, non è difendere Dio (operazione che la teologia e la filosofia praticano da sempre con ciò che la prima chiama «apologetica» e la seconda «teodicea»), ma lo scopo e gli argomenti con cui lo si fa. Per il nostro premier l'equazione non potrebbe essere più netta: Dio = identità; difesa di Dio = difesa della nostra identità. Difendere Dio, quindi, è difendere noi stessi, la nostra patria, l'intera civiltà occidentale. A suo avviso, Dio e la Patria stanno e cadono insieme, e ciò che permette a entrambi di sussistere è la famiglia e la sua natalità. 

Io penso che davvero oggi dobbiamo difendere Dio dal nichilismo imperante, addirittura sostengo che anche gli atei dovrebbero difendere la plausibilità del suo concetto, ma ritengo che si tratti di un'operazione spirituale, non politica, che va compiuta dentro di noi, non nei comizi o in tv. Aggiungo che Dio, patria e famiglia sono valori preziosi, a cui io tengo molto, e che il nostro problema è che la Sinistra non si cura quasi mai di difenderli (dimenticando quanto Dio, patria e famiglia ricorrano frequentemente nelle lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana) e che la Destra li difende nel modo sbagliato. 

Ma tornando a Dio, ribadisco che la sua difesa non sia un'azione politica, ma spirituale. Dio rappresenta l'ideale per eccellenza dell'ottimismo metafisico, la speranza che la vita abbia un senso, un destino, una destinazione; la speranza che parole come giustizia, verità, bellezza, armonia non siano un'illusione ma la dimensione più vera dell'essere. Difendere questa speranza, coltivata da sempre dall'umanità, è importante, direi decisivo. Soprattutto lo è oggi, quando è facile verificare cosa significa crescere senza un Dio, senza una religione e una religiosità: nella storia non c'è mai stata società senza religione, e ora che noi siamo rimasti senza religione (perché è evidente che il cristianesimo non ha più presa sulle coscienze dei più) assistiamo allo sfaldamento progressivo della società, non più "insieme di soci" ma sempre più massa amorfa e rissosa di rivali. 

Il punto però è che il Dio della tradizione è indifendibile. Il Dio che Giorgia Meloni associa alla patria e alla famiglia, il Dio degli eserciti signore della storia e re dell'universo, il Dio reggitore del destino dei popoli e della vita di ogni essere umano, il Dio padre e maschio proiezione del pater familias e del suo potere, questo Dio che è "il nostro Dio" e che come tale ci divide da coloro che ne hanno uno diverso, questo Dio, dopo tutto quello che nella storia è avvenuto (la Shoah, per esempio) e dopo tutto quello che in essa non è avvenuto (il suo intervento liberatore, per esempio), risulta oggi totalmente indifendibile. 

Il Dio di cui abbiamo bisogno non è e non può essere più quello della tradizione, il Dio del monoteismo e delle guerre di religione, il Dio nel cui nome è stato compiuto pressoché ogni crimine proclamando «Dio lo vuole». Non può essere il Dio della morale unica e della famiglia unica che mandava all'inferno tutti i conviventi non regolarmente sposati all'altare, considerati pubblici peccatori e quindi soggetti a un doppio peccato mortale (di adulterio e di scandalo). Questo Dio è lontano dal cuore e dall'anima degli esseri umani e invocarlo non può che condurci al fallimento e alla violenza. Quale Dio ha in mente Meloni quando parla di Dio? 

Pensare di affrontare i problemi immensi di questo mondo con l'immagine e la teologia del passato significa alimentare lo scontro delle civiltà previsto da Samuel Huntington nel 1993 e purtroppo oggi del tutto potenzialmente reale. Basta un niente, una sola parola, perché essa divampi: si pensi all'incidente di Ratisbona in cui incorse Benedetto XVI nel 2006, tanto per fare un esempio. 

Il Dio che dobbiamo difendere può essere solo interiore. Il che significa che le religioni devono fare un passo indietro e si devono convertire. A cosa? A qualcosa più importante di loro: al bene del mondo. Abbiamo bisogno di un nuovo fondamento della nostra convivenza civile, il quale non può più essere il Dio della tradizione, della Patria e della sua natalità, che Giorgia Meloni dice di voler difendere. Quel Dio è stato consumato dalla storia a prezzo di molto sangue innocente. È lo stesso Dio, per fare un esempio, che a proposito degli omosessuali parla così nella Bibbia: «Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte: il loro sangue ricadrà su di loro» (Levitico 20,13). È questo il Dio che vogliamo difendere? In realtà, da questo Dio dobbiamo difenderci: dobbiamo impedire che ritorni, dobbiamo evitare che ancora si ripresentino la sua violenza, la sua intolleranza, la sua paura, il suo terrore.

Sta scritto che Dio, a Mosè sul Sinai che gli aveva chiesto il nome, rispose così: «Ehyeh ašer ehyeh» (Esodo 3,14), tradotto tradizionalmente «Io sono colui che sono». Il significato più plausibile è quello di «esserci», «io ci sono e ci sarò», e quindi viene spesso tradotto anche «il Dio con noi». Dio con noi in tedesco si dice Gott mit uns: è quanto stava scritto sul cinturone di ogni soldato del Terzo Reich. Prima ancora esso era il motto dei cavalieri teutonici, i monaci guerrieri medievali. Ebbene, io penso che si debba cambiare completamente paradigma e pensare che il vero nome di Dio sia quest'altro: «il Dio con loro». Guardo un albero, una stella, un animale, un essere umano, uno straniero la cui lingua e la cui pelle sono diverse dalla mia, e penso: «Dio-con-loro». È il vero nome di Dio in quanto idea del bene e della giustizia, e coincide con la rottura del cerchio identitario e repressivo del noi contro loro, in cui i monoteismi e le ideologie politiche hanno imprigionato la mente e in cui non ci dobbiamo lasciar trascinare di nuovo. 

Vito Mancuso, La Stampa 16 settembre 2023