Thich Nhat Hahn

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Dopo il Dalai Lama era il monaco buddhista più famoso al mondo. Maestro zen, attivista sul fronte dei diritti umani durante la guerra del Vietnam e la successiva tragedia dei boat people, perseguitato ed esiliato dal regime comunista vietnamita per oltre trent’anni, poeta, romanziere, autore di centinaia di libri tradotti in moltissime lingue, curatore di classici buddhisti dal cinese, sanscrito e pali, esperto giardiniere… “un sorprendente insieme di doti e di interessi”, ebbe a scrivere di lui Martin Luther King. Un maestro tibetano aggiunse: “Scrive con la voce del Buddha”, e io credo sia una sensazione condivisa da milioni di lettori nel mondo, perché è impossibile leggere una sua pagina senza avvertire quella peculiare morbidezza del sentimento, analoga alla dolcezza interiore di cui parla Agostino nelle Confessioni e che l’inno liturgico Veni Sanctus Spiritus invoca dicendo Flecte quod est rigidum, “intenerisci ciò che è rigido”. Già i titoli di alcuni suoi libri ne danno un’idea: “Essere pace”, “Fare pace con se stessi ovvero guarire le ferite dell’infanzia”, “Spegni il fuoco della rabbia”, “L’energia della preghiera”, “Il miracolo della presenza mentale”, “Discorsi ai bambini e al bambino interiore” …
 

 
Thich Nhat Hanh era nato l’11 ottobre 1926 in una città nel centro del Vietnam appartenente alla Repubblica del Sud ma vicina al confine con la Repubblica Popolare del Nord e quindi teatro di violentissimi scontri durante la guerra del ‘55-‘75. Anche per questo, oltre che per la sua fede religiosa, egli prese da subito a impegnarsi attivamente a favore della pace e della non-violenza, fondando una versione innovativa di buddhismo, l’Ordine dell’Inter-Essere, che, senza trascurare in nulla la meditazione interiore (anzi approfondita nel dialogo con la scienza, la psicanalisi e le altre religioni) apre al contempo all’impegno sociale e politico nel mondo, un buddhismo non rinchiuso nei centri di meditazione ma operante nella società contemporanea.
Vivendo negli Usa durante gli anni ’60 per studiare all’Università di Princeton, divenne amico di Martin Luther King cui fece cambiare opinione riguardo alla legittimità dell’intervento militare americano in Vietnam. E il leader cristiano scrisse così al comitato del Nobel: “Quale vincitore nel 1964, ora ho il piacere di proporvi il nome di Thich Nhat Hanh per il premio del 1967. Personalmente non conosco nessuno più degno del Nobel per la pace di questo gentile monaco buddhista”. E ancora: “Egli è un santo, umile e devoto; è uno studioso di immensa capacità intellettuale, e anche un poeta di superbo splendore”.
Alla fine degli anni ’60 Thich Nhat Hanh si trasferì in Francia dove nell’82 diede vita alla sua più celebre fondazione, il Plum Village o Villaggio dei pruni, situato in Aquitania tra la valle della Loira e i Pirenei, che oggi è sede di una numerosa comunità monastica permanente e ospita regolarmente migliaia di praticanti da tutto il mondo, e che ha generato centri gemelli negli Usa, in Germania, Australia, Thailandia e Hong Kong. Si tratta di un vero e proprio laboratorio della vita spirituale, dove si insegna a ritrovare la pace interiore dimorando nel presente, in perfetta unione di corpo, parola e mente.
Il cuore dell’insegnamento spirituale di Thich Nhat Hanh è nei due verbi che indicano l’azione primordiale dell’esistenza: inspirare ed espirare. Per lui tutto si basa sul respiro e tutto deve tornare al respiro. Respirare infatti non è solo la prima essenziale azione a livello fisico della vita, è anche la realtà fondamentale in base a cui si può parlare di spirito, così che un esercizio spirituale è anzitutto un esercizio di respirazione consapevole e profonda. Nella tradizionale meditazione seduta in totale silenzio, oppure nella meditazione camminata fatta di passi lenti e misurati, la respirazione come esercizio spirituale è la base degli insegnamenti di Thich Nhat Hanh, fedele attualizzazione del nobile sentiero del Buddha. Ma questo legame tra spirito e respiro è testimoniato anche dalle tre lingue classiche dell’occidente, il greco, il latino e l’ebraico, che unanimi derivano il termine spirito dal medesimo con cui designano l’aria o il vento. Non solo: di tale legame spirito-respiro testimonia anche la lingua tedesca, dove “respirare” si dice atmen, in chiara assonanza con il termine sanscrito atman che significa “anima”. Ne viene che il centro dell’insegnamento spirituale di Thich Nhat Hanh, cioè la respirazione consapevole in quanto via per la mente consapevole o presenza mentale (che si può chiamare anche piena consapevolezza o mindfulness), tocca la medesima radice dell’esperienza che ha dato vita alla ricerca spirituale in occidente.
Non è un caso quindi che il rapporto con il cristianesimo sia stato sempre curato con grande amore e attenzione da Thich Nhat Hanh, di cui il monaco trappista Thomas Merton, importante letterato e pacifista americano, un giorno scrisse: “È mio fratello più di tanti altri a me più vicini per razza e nazionalità, perché lui ed io guardiamo le cose esattamente allo stesso modo”. Si legge in un libro di Thich Nhat Hanh sul rapporto tra Buddha e Gesù: “Il Nirvana è la nostra più vera sostanza, come l’acqua è la vera sostanza dell’onda. Noi pratichiamo per comprendere che il nirvana è la nostra sostanza. Una volta compreso, trascendiamo la paura di nascita e di morte, di essere e non-essere. Dio è un’espressione equivalente. Dio è il fondamento dell’essere, o, come dicono molti teologi tra cui Paul Tillich, Dio è la base dell’essere”.
Ma quello che maggiormente affascina della spiritualità di Thich Nhat Hanh è la leggerezza e la gioiosa libertà che dona a chiunque la viva. Alla base della sua comunità vi sono 14 precetti da recitare ogni 14 giorni, di cui il primo dice: “Non adorerò ciecamente e non mi vincolerò a nessuna dottrina, teoria o ideologia, compreso il buddhismo. Considero ogni sistema di pensiero una guida lungo la via, e non ritengo nessuno di essi la verità assoluta”. Questa capacità di distinguere tra religione e verità, tra la zattera e la riva, è la peculiarità decisiva della migliore spiritualità contemporanea, la medesima di Martin Luther King, Thomas Merton, Paul Tillich, Albert Schweitzer e altri grandi figure. Quando Carlo Maria Martini disse “Dio non è cattolico” affermava la medesima prospettiva. Qui la fede è un metodo con cui camminare nel mondo, non una dottrina cui legare la mente.
“Per meditare dobbiamo essere capaci di sorridere molto”, amava ripetere il mite monaco vietnamita di cui oggi molti nel mondo piangono la scomparsa. La luce del suo sorriso scalderà i nostri cuori ancora per tanto tempo.