Alla ricerca del senso perduto

Ha ancora importanza interrogarsi sul significato della vita? Vito Mancuso in cento pagine elenca i motivi per cui a quella domanda non è possibile sottrarsi. E nel corpo c’è la risposta, nel corpo e nella sinergia con il mondo.
recensione/intervista di Daniela Monti per 7 Corriere della Sera

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No, non siamo diventati migliori, perché trovare un senso e una direzione nella vita richiede il coraggio di agire e di rischiare, la fatica di fare domande esistenziali (per definizione prive di risposta immediata), non basta stare chiusi in casa e applaudire dai balconi. Diventare migliori significa mettersi in viaggio, navigare in mare aperto esponendosi al dubbio e anche al naufragio, dice Vito Mancuso nel suo "A proposito del senso della vita", un piccolo libro che sta avendo molto successo. «Il senso della vita è una costruzione» scrive «una nostra costruzione, non è ancora finita e che non lo sarà mai». È fatica, assunzione di responsabilità. Il senso della vita è sinergia: tutto è aggregazione, interazione, fin dai tempi de "L'anima e il suo destino" Mancuso è il filosofo/teologo della relazione intesa come principio costitutivo dell'essere (contro la supremazia della sostanza aristotelica, che sta alla base della cultura occidentale). «Siamo sempre in relazione, anche quando siamo soli. Hannah Arendt diceva che la vera ragione che la spingeva a non fare del male agli altri era che poi avrebbe dovuto convivere con una delinquente dentro di sé, quindi esiste proprio una dimensione intrinsecamente relazionale a partire da quella fra noi e noi» …

È importante oggi ritornare a interrogarsi sul senso dell'esistenza? «Senza la convinzione che un senso esista», dice Mancuso, «nessuno coltiva il desiderio e lo sforzo di dare un senso organico alle proprie giornate, così "da dove vengo?" diventa "quanto guadagno?", "dove vado?" diventa "cosa mi compro?" e l'interrogazione sul senso della vita si riduce a una raccolta di informazioni sul prezzo delle cose».
La pandemia sembra aver riacceso quelle antiche domande. Ma è davvero improntata alla ricerca la situazione spirituale del nostro tempo? Per Mancuso il panorama umano oggi è contraddittorio: «coloro che maggiormente cercano sono quelli che hanno le idee meno chiare, mentre coloro che hanno le idee chiare sono quelli che custodiscono, difendono. Penso per esempio ad una certa maniera di vivere la fede, ma anche la non-fede, in difesa della propria fortezza, del proprio fortino. Chi ha deposto l'arroccamento e ha cominciato il viaggio è disposto invece a farsi carico in profondità delle domande di senso. I “cercatori” ci sono, li incontro, certo non è un concerto rock, creano una corrente piccola ma continua. Non sono un sociologo, ma forse queste richieste di senso sono sempre legate ai piccoli greggi, per riprendere un'immagine evangelica. Le masse sono strutturalmente pecore senza pastore. È un discorso che vale anche aldilà dell'aspetto religioso, penso a Pitagora che diceva: non andate per la via principale».
La complessità ha da sempre uno strano ascendente. Il fisico Niels Bohr, uno dei padri della fisica dei quanti, raccontava la storia del rabbino che giunge in una città per parlare. La gente di un villaggio vicino manda un ragazzo ad ascoltare. «Il rabbino ha parlato tre volte», riferisce il ragazzo «il primo discorso è stato brillante e ho capito ogni parola. Il secondo è stato anche migliore ma non ho capito molto. Il terzo è stato il migliore in assoluto: non ho capito nulla e pure il rabbino non ha capito granché di quello che ha detto. Cos'è allora la semplicità di cui parla Mancuso, la semplicità che fa rima con verità? «Il semplicismo dei populismi è non voler avere a che fare con la complessità del reale e offrire soluzioni che invece di sciogliere i nodi con delicatezza e fatica li tagliano, dove a volte i nodi sono persone, vive concrete», risponde. La semplicità, per il teologo, è un percorso che passa attraverso la consapevolezza della complessità, supera le contraddizioni e i dubbi di chi guarda quei nodi, li riconosce, ma si perde nell'aggrovigliarsi dei fili. «La semplicità di cui parlo è quando i pensieri si chiarificano e divengono il nostro pensiero. È eleganza, che non a caso è un criterio di verità che si applica nella valutazione delle teorie scientifiche e aggiungo io anche delle teorie esistenziali. La semplicità è mettere ordine nella propria vita, per riprendere il sottotitolo degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio di lo Loyola. Bisogna lavorare per diventare semplici: non è semplice essere semplici».
Mancuso scrive che viviamo in una condizione dissociata, sia dagli altri che da noi stessi, e questo spaesamento ha travolto qualunque certezza sull'idea di identità. Come rispondere all'altra domanda centrale sul senso della vita: chi siamo? «Le identità del passato» dice Mancuso «appaiono sempre più fragili e quando vengono difese diventano identitarie perché si chiudono, generando aggressività. Dovremmo davvero chiederci qual è lo specifico umano. Io penso consista in una certa struttura fisica, un certo codice genetico, la statura eretta. E potremmo dire che l'identità umana si dà nella capacità di riprodurre visioni del mondo. Qualcuno potrebbe parlare dei sentimenti. Io penso che lo specifico umano sia tutto questo e insieme la capacità di negare tutto questo. Ossia libertà. Ed è per questo che il nostro tempo è così incerto perché oggi ne sperimentiamo la grandezza e insieme la miseria: la libertà ci fa sentire miseri, paurosi, in mare aperto, senza più le sicurezze di un tempo. Forse davvero, per la prima volta nella storia dell'umanità, la parte più consistente del pianeta si trova alle prese con il voto».
Ma la fisica ci insegna che l'universo è scaturito dal vuoto e Mancuso è convinto sostenitore dell'analogia fra microcosmo e macrocosmo. Così quel vuoto non è una voragine che inghiotte, ma è un'occasione: noi fioriamo partendo da un vuoto interiore che è lo scarto tra l'essenza primigenia, la coscienza genuina, il segreto, la cripta che c'è in ognuno di noi, e tutte le esplicite azioni mediante le quali l’io si presenta al mondo. A volte questo scarto è paura, abisso, ma quel caos è all'origine del mondo, principio costitutivo di ciascuno di noi, e più sappiamo coltivare quel vuoto, più sappiamo avere affetti veri, creare opere vere. Se non scendiamo in quel vuoto ogni creazione è solo ripetizione. E poi c'è il corpo e qui la distanza di Mancuso della teologia più tradizionale cresce ancora: «A chi rivolgersi? Dove cercare? La mia risposta è: il nostro corpo. È il primo, vero libro sacro, che si riscrive continuamente, è un concerto di sinergie». Dimostrazione tangibile, sempre sotto gli occhi, che siamo nati dalla sinergia e per questo siamo nati per la sinergia. È decisivo. Poi ciascuno potrà scegliere se andare in chiesa, in sinagoga o in una foresta per rendere culto al mistero. Ma se non capisce che il vero culto è quello interiore sarà solo un omaggio alla tradizione».