Ora dobbiamo scegliere chi vogliamo essere, sciacalli o pompieri

Il teologo e docente interviene sugli effetti della pandemia in atto ponendo l’accento sui mutamenti interiori causati dall’emergenza

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Intervista di Letizia Michielon per Il Piccolo, 11 maggio 2020

Sciacalli o pompieri [PDF]  Il Piccolo [Link]

Tra gli effetti suscitati in questi mesi dall’emergenza Covid e dall’isolamento sociale, vi è sicuramente la necessità di tornare a confrontarci in modo più profondo con la dimensione spirituale. Ne abbiamo parlato con Vito Mancuso, intellettuale il cui pensiero è stato spesso oggetto di discussioni e polemiche per le posizioni non sempre allineate con le gerarchie ecclesiastiche, sia dal punto di vista etico che dogmatico.

Quando la scienza rivela la propria fragilità, quale conforto può venirci dalla fede?

«Io non penso – risponde Mancuso – si debba parlare di fragilità della scienza, la scienza al contrario in questo momento è una delle forze più affidabili, è grazie a lei che sappiamo qual è la minaccia e com’è fatta, che molti guariscono, e che probabilmente tra un po’ avremo il vaccino. La fragilità non è della scienza, ma è dell'idolo della scienza, cioè di quella visione che ritiene che la tecnologia possa risolvere tutto in quanto più forte della natura. In questo senso la pandemia ci riporta al giusto senso delle proporzioni. La fede può dare un conforto nel ritenere che, malgrado le minacce che ne provengono, la natura è positiva, è madre: è la realtà grazie alla quale viviamo e di cui viviamo. Tutti dovremmo riscoprire la “riverenza verso la vita” di cui parlava Albert Schweitzer, teologo, medico, musicista, Nobel per la pace».

A quale trasformazione interiore conduce il senso di vuoto e di ascolto cui ci ha costretto il lockdown?

«Vi sono persone che peggioreranno e vi sono persone che miglioreranno, quello che a mio avviso è improbabile è che si possa rimanere come prima, vista la profondità della ferita che la situazione ha prodotto. Già adesso in alcuni noto più aggressività, più rabbia, più violenza, e allo stesso tempo in altri osservo più gentilezza, più consapevolezza della preziosità della vita, del respiro, della salute. Tutto si decide nella nostra interiorità: la medesima situazione può essere per uno occasione di crescita, e per un altro di abbattimento o di cattiveria. Come mai? Perché è diversa la qualità della vita interiore, della propria anima. Ognuno dovrebbe chiedere a se stesso chi è, cosa vuole, cosa è veramente importante. Questo è il grande contributo per la nostra esistenza della pandemia in quanto situazione-limite».

Emergenza che riporta in primo piano l’importanza della solidarietà.

«Anche a livello economico succede infatti la stessa cosa: assistiamo a episodi riprovevoli e a vere e proprie gare di solidarietà, con gente che rinuncia a guadagnare di più per aiutare chi è in difficoltà. È come dopo un terremoto: nello stesso momento arrivano gli sciacalli a depredare le case e i pompieri a rischiare la vita per estrarre dalle macerie i sopravvissuti. Noi abbiamo vissuto e stiamo vivendo una specie di terremoto e attorno a noi vediamo gli uni e gli altri. Il punto, come sempre, è esistenziale: tu, cosa vuoi essere? Sciacallo o pompiere?».

Come è possibile trasformare il dolore e il lutto in un’opportunità di crescita?

«Questa è la domanda più importante perché è “la” questione della vita. Sempre infatti la vita consegna dolore e lutto, questi mesi ci hanno solo mostrato con più evidenza quella che è una costante, che però di solito viene soffocata nella nostra mente, cosicché il dolore e il lutto ci sono ma nessuno ne parla e scavano dentro di noi. La sapienza della vita consiste nel saper affrontare il dolore e il lutto senza farsene rodere, anzi ritrovando in essi un’occasione di crescita e di rigenerazione alla luce delle esperienze positive che pure la vita presenta. Per farlo c’è bisogno del lavoro di una vita acquisendo l’ars vivendi, l’arte di vivere, perché vivere è un’arte, è un’esecuzione musicale che prevede tutti i movimenti e tutte le tonalità».

Quale il ruolo della fede e della cultura per progettare un futuro migliore?

«È un ruolo cruciale: il ruolo del governo della mente e del cuore. Dobbiamo togliere la caratteristica dell’effimero e dell’erudito che a volte alcune produzioni culturali presentano e chiedere alla cultura la serietà e la bellezza della verità. La fede deve essere anzitutto fede nel bene, nell’amore, nella giustizia, nella bellezza. A queste realtà che sono il vero e proprio tesoro della vita non si può pervenire senza credere nella loro esistenza. Credere in Dio significa credere nel fatto che il bene e la bellezza siano il senso definitivo del mondo».

Di cosa parla il suo prossimo volume?

«A metà aprile la mia casa editrice mi ha chiesto un libro sulla paura e sul coraggio, il che mi ha portato a mettere da parte il volume sui grandi maestri spirituali al quale stavo lavorando e a scrivere un piccolo saggio al riguardo. L’ho consegnato tre giorni fa e dovrebbe uscire tra un mese, con il titolo “Il coraggio e la paura”. È un tentativo di esprimere qui e ora quello che l’autentico pensiero filosofico e teologico hanno sempre cercato di fare offrendo quanto Severino Boezio chiamava “la consolazione della filosofia”. C’è un modo di esercitare il pensiero che è critico e spietato, e ce n’è un altro che, senza cercare facili scappatoie, sa illuminare, dare pace e infondere energia vitale. È quello che tento sempre di fare e che ho tentato di ripetere riflettendo sulle nostre paure e sulle sorgenti del nostro coraggio».