Pasqua senza tempio

La pandemia interroga il significato della fede

Non solo chiese chiuse e messe via streaming, ma un’occasione di riflessione

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Estratto dell'articolo di Luca Kocci per il Manifesto di sabato 11 aprile 2020

Pasqua senza tempio [PDF]

LA CELEBRAZIONE senza popolo è «una preghiera individuale del celebrante che, secondo la teologia cattolica, può diventare un grande momento di intercessione per coloro che vorrebbero partecipare ma non possono farlo», spiega Vito Mancuso, libero teologo e filosofo, autore di numerosi volumi (l’ultimo è La forza di Essere Migliori, Garzanti), non sempre apprezzati dalle gerarchie ecclesiastiche. «Certo è un’altra cosa rispetto ai banchetti rituali intorno ai quali è nata la comunità cristiana: i credenti si riunivano, mangiavano insieme e facevano memoria di Cristo morto e risorto. Viene meno la dimensione comunitaria, ma per un prete ha senso celebrare anche senza popolo: una presenza solitaria di fronte al mistero, come è stata in fondo, per secoli, la messa tridentina».

UNA DIMENSIONE individuale che, in questo tempo, potrebbe riscoprire ciascun singolo credente. «Non c’è nessuna religione che non abbia nel proprio codice genetico la dimensione comunitaria – aggiunge Mancuso -. Ma non c’è religione che non abbia anche una dimensione individuale. Alle celebrazioni comunitarie e ai riti, si affiancano anche insegnamenti di tipo opposto, come quello evangelico di Gesù: “Prega il Padre tuo nel segreto”. Questo segreto, questa cripta, è la nostra interiorità. La connessione con Dio è lo spirito, e questo attiene alla solitudine. Fare silenzio di fronte al cielo, ad una pianta, una pietra, una nuvola, diventa una forma di celebrazione dell’esserci. In realtà questa dovrebbe essere anche la finalità del rito: non riempire le chiese e organizzare processioni, quello è ritualismo; ma trasformare l’anima del singolo, la coscienza, l’interiorità, che entra in comunione con il divino. Un divino che si può pensare come Signore Gesù, come Spirito, ma anche in altri modi e in altre forme». E le celebrazioni nelle case? «Molti già lo fanno: si raccolgono, leggono una pagina di Vangelo, spezzano il pane vero. La Chiesa dovrebbe incoraggiarle, ma il monopolio clericale, quando sente queste cose, reagisce in maniera aggressiva e spesso le reprime sul nascere perché viene meno il monopolio. Eppure questa è stata l’esperienza dei cristiani nei regimi comunisti dove non si poteva celebrare l’eucaristia, e la dimensione quotidiana di tante comunità in molte parti del mondo dove non ci sono né preti né messe. Stiamo attraversando un tempo che, se ben interpretato, può diventare propizio per scoprire queste nuove dimensioni e forme».