Intervista a Il Secolo XIX

«Il nostro compito è togliere violenza per combattere la malattia dell’odio».

Schermata 2019-01-11 alle 22.40.51

Intervista al prof. Vito Mancuso di Elena Nieddu per IL SECOLO XIX, 11 gennaio 2019

Intervista a il Secolo XIX 11.01.2019 [PDF]

Saremo salvati da un giardino, nel fondo del nostro cuore, curato così come insegnava Etty Hillesum, intellettuale olandese ebrea uccisa ad Auschwitz nel 1943: «Più pace c'è in noi, più pace ci sarà nel nostro mondo turbolento». È questo il primo passo verso un mondo senza odio, malattia curabile, al centro dell'incontro che il teologo Vito Mancuso terrà sabato 12 gennaio 2019 alle 18.45 al festival della criminologia, a Palazzo Ducale. Odio che si esplicita, in chi lo provoca, anche in uno sguardo curvo, deformato, sul mondo.

Professor Mancuso, il tema dello sguardo, degli occhi, ricorre spesso nelle religioni, dal cristianesimo al buddhismo. Perché è così importante?

Lo sguardo retto vede che il conflitto, psicologico, economico, storico, sportivo, inerisce strutturalmente al mondo. Vede il conflitto e sa vivere all'interno di un contesto in cui esistono armonia e disarmonia, concordia e discordia. Viceversa, lo sguardo deformato, immaturo, tipico dell'odio, trasforma i conflitti strutturali in inimicizie profonde che generano la patologia dell'odio…

Dunque, come dobbiamo guardare il mondo?

Bisogna evitare i due estremi: quello romantico, cioè il vivere in un mondo idealizzato, e il suo opposto, cioè il pensare che il mondo sia strutturalmente cattivo e vedere tutti quelli che cercano di introdurvi l'armonia come “buonisti”. Il mondo è entrambe le cose. L'armonia, come diceva Platone, è la risultanza della discordia. Ma la crescita non è gratis, costa fatica.

Se l'uomo tende all'armonia, perché l'odio piace?

Per ignoranza. Perché è una soluzione facile, toglie alla mente la complessità del gioco dialettico. Non ci sono zone grigie, usando l'espressione coniata da Primo Levi, solo bianchi e neri. E la mente respira, o ritiene di respirare. Dove c’è meno intelligenza, aumenta l'odio. E l'intelligenza porta a vedere che la mia condizione è quella degli altri.

Individua altre ragioni?

Prendiamo un junk food: perché ci piace? Eppure, sappiamo che fa male al fegato. Da piccolo ero attratto da Bach, eppure mio padre ascoltava Raul Casadei. Perché accade? Qualcuno parla di karma, altri di talenti. È un mistero. Non sappiamo, dunque, perché le persone sono attratte dai sapori grevi, pur sapendo che fanno male.

Può dare una spiegazione?

Forse è la forza che ci attrae, ed è plausibile, perché siamo plasmati di forza. La mente primitiva “taglia” e ama l'uomo che fa odiare, perché non capisce che il compito delle forze è quello di creare strutture, intessere armonia tra le diverse dinamiche.

Ciclicamente attraversiamo epoche in cui l'ignoranza trionfa. Perché succede?

Secondo Platone, nel libro VIII della Repubblica, si passa dall'aristocrazia, all'oligarchia, poi alla democrazia e quindi alla tirannide. Poi si rinasce. Oggi è venuto meno il fascino del bene, del bello, del vero, della religio. Si paga lo scotto della civiltà dei consumi che, da anni, lusinga le parti basse di noi. Un delirio di onnipotenza, basato unicamente sull’acquisto. Gli ideali più alti, quelli per i quali occorre faticare, sono visti con disprezzo. Non c'è più il popolo, c'è il volgo. Il popolo è tale, perché tenuto insieme da ideali: la “societas”, custodendo la quale siamo tenuti insieme. Viceversa, se ognuno pensa solo a se stesso, vede gli altri unicamente come limoni da spremere.

Rubando la metafora alla politica americana, è un'epoca di falchi, non di colombe?

A volte penso ai politici con i quali, da bambino, ero entrato in contatto attraverso la tv: Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Benigno Zaccagnini. Gente così pacata… nessuno di loro, oggi raccoglierebbe consensi. Domina una dimensione volgare, anche per dire le cose migliori. È venuta meno l'idea di qualcosa di più grande di me, che sia il partito o Dio.

Cosa si può fare?

Il compito di chi fa il mio mestiere è quello di avere fiducia nell'armonia, nella creazione di legami più veri. Togliere violenza a questo mondo, in cui peraltro le grandi colombe, ispiratrici di pace e della vita che tutti vogliono, hanno tutte fatto una brutta fine. Penso ai grandi uomini, da Lincoln, a Gandhi, a Rabin. O ai miei maestri,Pavel Florenskij e Dietrich Bonhoeffer, l'uno fucilato dai sovietici, l’altro impiccato dai nazisti. Da cattolico, purtroppo, penso che l'anima che vuole il bene non appartenga a questo mondo, ma un altro.

I laici devono rassegnarsi alla logica dell'orticello? Ovvero a costruire un piccolo bene attorno a sé, senza aspirare al bene sociale?

Parlare di orticello è impoverente, direi piuttosto “ognuno coltivi il nostro giardino”. Il novecento ci ha insegnato che le grandi utopie hanno portato a sangue e violenza. Quindi, il primo vero mondo è il nostro, quello interiore. Il che afferma il valore della spiritualità, del mettere giustizia dentro di sé: il conflitto non verrà mai meno, perché fa parte del mondo, ma posso lavorare ogni momento. Florenskij, Bonhoeffer, Hillesum sono morti, ma hanno vissuto fino all'ultimo giorno.