La Lettera di Natale 2018 del Centro Balducci
Balducci Lettera Natale 2018 [PDF]
Nell’iniziare questa Lettera avvertiamo l’esigenza dell’umiltà e del coraggio: la prima come ascolto, condivisione e partecipazione di tante storie e di diversi percorsi; il secondo perché, nel tempo presente, sentiamo con particolare evidenza che la neutralità è impossibile, che è urgente esserci, riflettere, prendere posizione con parole e azioni credibili.
Parole e germogli di speranza
Pur vivendo una preoccupazione che ci addolora, una lettura veritiera della realtà ci consegna alcune esperienze che diventano ragioni di speranza capaci di giustificare l’impegno di ciascuno di noi. È lo stesso profeta Isaia che ci invita a rimanere in attesa vigile del momento in cui le oscurità si diraderanno per lasciare spazio alla flebile luce dell’aurora, che illuminerà quei piccoli germogli di speranza che già intravediamo nel tempo presente. A partire dalle tante persone che nei diversi ambiti e situazioni personali e comunitarie, di volontariato e di responsabilità professionali e istituzionali, si dedicano e si impegnano ogni giorno con onestà, rettitudine e coerenza, anche al di là del compito strettamente inteso con umanità e credibilità ammirevoli …
La straordinaria attenzione, partecipazione e tensione emotiva che hanno caratterizzato la visita di Domenico Lucano al Centro Balducci il 5 dicembre scorso (400 persone nella sala e altrettante che non sono riuscite ad entrare) non è stata generica curiosità e neppure solo un appoggio a un’esperienza percepita come positiva. La vicinanza dimostrata nei confronti di quella esperienza ci dice qualcosa di più, ovvero ci parla della volontà di non assuefarsi a un clima fatto di ostilità quando non di vero e proprio disprezzo per lo straniero e il “diverso” in generale.
La caparbia storia di Lucano che da vent’anni lotta contro il declino sociale, demografico e culturale della sua piccola comunità vedendo nell’arrivo dei migranti l’inizio di una nuova pagina di storia da riconoscere e coltivare, evidenzia una “tenacia del bene” che sa parlare ancora a tutti gli uomini e donne di buona volontà spingendoli a vivere il presente e a guardare il futuro in modo diverso da ciò che oggi sembra essere (ma forse non è affatto) il pensiero dominante.
Domenica 7 ottobre 2018 si è svolta la Marcia PerugiAssisi della pace e della fraternità. Oltre centomila persone hanno dato vita ad una straordinaria giornata d’impegno civile. Di fronte ad una realtà che costringe a fare i conti con problemi sempre più difficili e complessi, partecipare alla marcia della pace e della fraternità ha voluto dire vincere l’indifferenza, la rassegnazione, la sfiducia, recuperare la capacità di pensare, di agire e non solo re-agire, di farlo assieme e non da isolati. E’ stata una giornata importante, bella, emozionante. Giovani, giovanissimi, studenti, insegnanti, scuole, gruppi, associazioni, Enti Locali, Regioni giunte da ogni parte d’Italia, ciascuno con le proprie ragioni e tutti con qualcosa di positivo in testa e tra le mani. Moltissime le adesioni raccolte dal comitato organizzatore: 990 Enti Locali, Regioni, scuole, gruppi, associazioni provenienti da tutte le Regioni italiane di cui 172 Scuole; 287 Comuni, Province e Regioni; 531 Associazioni (116 nazionali, 415 locali).
Sabato 3 novembre a Trieste alcune migliaia di persone hanno formato un lungo corteo per manifestare la contrarietà a ogni forma di discriminazione e di razzismo. Ugualmente a Roma sabato 10 novembre centomila persone hanno formato una grande comunità delle differenze per riaffermare, senza etichette politiche, l’importanza fondamentale della dignità di ogni persona, dei diritti umani uguali per tutti. Ricordiamo anche le reazioni diffuse alla decisione o ai propositi della separazione degli alunni delle scuole, con una umiliazione per i figli di stranieri, a Lodi, a Monfalcone, a Trieste, a Codroipo. Forti reazioni ci sono state e ci sono in tutta Italia, come su tutto il Pianeta con un’attenzione particolare a quelle che avvengono negli Stati Uniti per motivazioni, finalità e grande coinvolgimento, soprattutto dei giovani. Reazioni di contrarietà alla produzione, alla vendita e all’uso delle armi, alla politica dei muri, dei fili spinati e dei respingimenti, all’esclusione di milioni di poveri.
Ricordiamo ancora il segno emblematico dell’occupazione di alcuni istituti scolastici a Roma da parte degli studenti: una presa di posizione dei giovani di fronte all’indifferenza o all’impotenza di molti adulti, per affermare il valore della vita umana, la necessità di investire nella scuola pubblica, nelle strutture sanitarie, nei trasporti della città. Il tutto ci fa pensare a quanto il mondo giovanile sia in grado di esprimere, in positivo e già oggi, in preparazione a quanto accadrà domani, soprattutto per volontà e per scelta delle nuove generazioni. Crediamo sia molto importante permettere ai giovani di creare luoghi d’incontro e di dialogo, di progettazione per quello che sarà il futuro della nostra umanità.
Il progetto sociale “Parole ostili” di sensibilizzazione contro la violenza nelle parole; nato nella nostra Regione e promosso a livello nazionale si è fornito di un manifesto proprio per una comunicazione che si sta diffondendo in modo capillare.
Di particolare rilievo sono due segni riguardanti la situazione dei detenuti nelle carceri. A Gorizia, con il Progetto “La città entra in carcere”, i volontari penitenziari hanno coinvolto l’Associazione “Gorizia a tavola” e la Cooperativa “Hanna House” nell’offrire gratuitamente il pranzo ai detenuti di via Barzellini nelle domeniche di dicembre e a Natale. Un segno di attenzione e di accompagnamento della città verso chi ha sbagliato e che, in questi giorni festivi, lontano dalla famiglia, sente più acuto il senso di solitudine nel proprio percorso educativo.
A Udine a fine novembre l’Associazione “Icaro” di volontari per il carcere ha consegnato i riconoscimenti del Premio “Maurizio Battistutta” per ricordare questo amico che si è speso per umanizzare le condizioni dei carcerati. È un segno straordinario che abbiano accolto l’invito a partecipare ed esprimere i propri vissuti nella poesia, nella prosa e nel disegno centottanta detenuti di molte carceri italiane: così hanno potuto comunicare con noi e fare in modo che la voce nel silenzio possa essere ascoltata chiedendo una nostra risposta. Le parole manifestano chi siamo, anche se mai in modo completo e definitivo; di per sé sono azioni. In questo momento storico spesso diventano espressione di aggressività e violenza perché non sono precedute dall’ascolto che si vive nella relazione. Avvertiamo pertanto l’esigenza di purificare le parole, di liberarle dall’inimicizia e dalla violenza che ferisce; dalla sconsiderata amplificazione distruttiva sui social media resa possibile anche da quell’anonimato che di per sé esclude le relazioni, i rapporti diretti e gli sguardi.
Inoltre per noi è importante interpretare la composizione di questi movimenti: sono una mescolanza, un intreccio di diversità, tanti i giovani, senza segni direttamente riconducibili a partiti politici, a movimenti sociali e culturali, a comunità di fede. Le persone diverse sono animate dal sogno di una umanità contraddistinta dal rispetto della dignità di ogni persona con la sua diversità, dalla giustizia, dall’uguaglianza, dall’attenzione alla cultura, a relazioni significative fra gli esseri umani e tutti quelli dell’ambiente vitale. Per noi cercare di cogliere e di indicare questi “germogli” nella complessità di una situazione preoccupante, è un’arte indispensabile e benefica.
Né indifferenti, né impassibili
Se guardare le situazioni negative può generare tristezza e senso di impotenza, osservare “i germogli” nutre in noi l’energia interiore per riproporre idealità, dedizione e impegno, per sentirci solidali con l’umanità sofferente il cui grido – come ha affermato nelle scorse settimane papa Francesco – è talmente forte che emerge la domanda: “Come mai questo grido che sale fino al cospetto di Dio, non riesce ad arrivare alle nostre orecchie e ci lascia indifferenti e impassibili?”.
Pur guardando “i germogli” desideriamo condividere la nostra seria preoccupazione; denunciare alcune situazioni, condividere possibili percorsi alternativi.
Degrado culturale, etico e politico
Denunciamo il degrado culturale, di quella cultura che riguarda l’essere umano, il suo orientamento, le sue convinzioni e decisioni, le azioni e le relazioni con gli altri. Lo rileviamo nelle affermazioni presuntuose, arroganti e violente che pretendono di definire le diversità e le discriminano, come se chi è al di fuori del perimetro stabilito dal pensiero unico e forte non debba avere gli stessi diritti e la stessa considerazione. È molto preoccupante il pensiero negativo che diffonde indifferenza (“me ne frego”) e ostilità fino all’odio verso l’altro: sessualmente diverso, carcerato, nomade, povero, mendicante e soprattutto immigrato.
Come conseguenza si rileva un degrado etico. L’etica dell’attenzione alla dignità e ai diritti di ogni persona, comunità e popolo viene gravemente colpita da chi è al potere e agisce con la presunzione e l’arroganza di decidere per il bene comune confondendolo con quello proprio e della propria parte, anche se verbalmente è coinvolto sempre tutto il popolo senza alcuna distinzione. L’ulteriore conseguenza riguarda la crisi della politica, di quella politica definita nella scuola di Barbiana come “l’arte di uscire insieme dai problemi, perché il resto è egoismo”. Siamo convinti che solo una continua rinascita culturale nel senso antropologico profondo di umanizzazione della vita, della società, della storia delle persone e delle situazioni può essere una strada di salvezza.
Questo processo richiede riflessione, profondità, studio, dialogo, confronto, razionalità umanizzata. Di per sé, poi, esige progetti condivisi, dedizione e impegno per attuarli, e richiama in causa l’etica del bene comune e dei diritti umani – presente nella Dichiarazione universale, della quale quest’anno ricorre il 70° anniversario, come nella nostra Costituzione – pretendendo che la politica sia ripulita dall’arroganza e dalla forza di un consenso emotivo oggi preoccupante per motivazioni, modalità e diffusione.
Condividiamo con tante e tanti di voi la grave preoccupazione per le scelte a livello mondiale ed europeo, del nostro Paese e della nostra Regione, segnate in modo evidente da discriminazioni a vari livelli. Si pensi alla legge sicurezza riguardo agli immigrati e alle decisioni regionali, in parte già attuate e proposte in prospettiva di rinchiuderli, vanificando l’accoglienza diffusa, in grandi centri di reclusione, confermando la logica terribile che per risolvere questioni problematiche si decide di rendere invisibili le persone coinvolte nelle stesse.
Il problema della sicurezza non riguarda solo la presenza degli stranieri ma tutte e tutti noi: la vita delle persone, la dipendenza dalle sostanze e dal gioco; la viabilità e i trasporti, la madre terra e tutti gli esseri viventi, l’acqua, i fiumi, l’aria, i boschi, le montagne. Non sarà certo l’attribuzione di un potere salvifico alle telecamere, alle pistole elettriche e ai manganelli a salvare la sicurezza, intesa appunto in senso globale.
A proposito dell’ambiente, ha suscitato impressione, desolazione e preoccupazione l’evento disastroso che ha coinvolto le nostre montagne con esiti devastanti nei boschi e la distruzione di milioni di piante. Si può definire nuovo per la forza distruttiva e ripropone in modo urgente non più procrastinabile la questione del rapporto dell’uomo con l’ambiente vitale, fermandone in modo risoluto qualsiasi sfruttamento e azione che favorisca squilibri, distruzione di ecosistemi, innalzamento della temperatura.
Identità e fede
La questione dell’identità personale, comunitaria, occidentale, nazionale, cristiana è presente costantemente, riguarda i sovranismi e i populismi, incide sulle scelte personali, politiche, ecclesiali. Le esperienze e le riflessioni pare facciano emergere due concezioni e attuazioni dell’identità.
La prima è quella considerata come un monolite, un blocco unico formatosi in modo definitivo: eventuali apporti sono solo incremento, rafforzamento a quello che già esiste. In questa concezione e pratica, ogni diverso è percepito come una minaccia, un pericolo per l’integrità intoccabile dell’identità; ne derivano due atteggiamenti: quello difensivo e quello aggressivo, entrambi animati da violenza latente e anche esplicita. Si sente affermare: “noi siamo occidentali, bianchi, friulani, giuliani, veneti, cristiani, cattolici. Noi ci difendiamo da coloro che vengono a minacciare la nostra identità, in particolare dai musulmani”. Questo atteggiamento, insieme ad altre cause e motivazioni, porta a costruire muri e fili spinati, ad alimentare la cultura del nemico fino all’avversione e all’odio, a negare in radice l’accoglienza di ogni altro “diverso”, non solo dei migranti. L’ultimo rapporto del Censis ha evidenziato una società insicura, impaurita e rancorosa.
L’altra concezione e attuazione dell’identità è aperta, libera, in divenire. Nello stesso momento in cui se ne riconosce il nucleo portante, con le caratteristiche proprie, si avverte e si sperimenta che può aprirsi, vivere una dinamica continua del dare e ricevere, senza per questo sminuire e diluire il nucleo portante personale, sociale, comunitario. I riferimenti religiosi, se vengono richiamati in modo corretto e non strumentale, proprio per le loro qualità e caratteristiche, favoriscono la dinamica dell’apertura dell’identità in un dare e ricevere reciproci.
Dalla fede deriva solo l’identità dell’amore e della donazione, non il supporto strumentale e la legittimazione a identità culturali, sociali e politiche di chiusura e avversione per le quali si utilizzano in modo vergognoso perfino i simboli religiosi per confermare scelte politiche e ricercare consenso (diversi sono gli esempi anche nella nostra Regione; ci si può riferire alla vicenda della rimozione delle panchine a Udine per collocarvi il presepe). Seguire l’una o l’altra concezione e pratica dell’identità ha conseguenze, anche religiose, evidenti.
Nella Chiesa e nella storia
Ci sentiamo credenti in ricerca e preti in cammino con le persone, nella Chiesa cattolica, cioè universale, e nelle nostre Diocesi in modo convinto e specie alle volte, anche sofferto.
Siamo preoccupati per la difficile situazione attuale della Chiesa e rileviamo che quasi nulla è stato fatto fino ad ora per nuovi ministeri e nuove forme di servizio nella Chiesa.
Riteniamo, nel rispetto dell’impegno e delle fatiche, che la questione principale non sia quella del riordino territoriale delle parrocchie ma un’altra, fondamentale che spesso per inerzia e pigrizia si suppone come scontata: quali sono i segni che ci rendono credibili come Chiesa nell’annuncio e nella testimonianza del Vangelo di Gesù nella storia attuale? Cosa diciamo nelle nostre parrocchie e diocesi della Regione rispetto a questo pensiero negativo nei confronti dell’altro diverso, immigrato e non solo? Gesù nella stalla di Betlemme è nato per tutta l’umanità, ha poi annunciato che, innalzato fra cielo e terra nella crocifissione, avrebbe attratto tutti a sé, tutti senza esclusione di alcuno. Ci sentiamo coinvolti nella Chiesa povera e dei poveri, con le porte aperte, in uscita per abitare le periferie, umile e coraggiosa e sempre accogliente.
Sosteniamo e ringraziamo papa Francesco, camminiamo con lui; rileviamo che ancor scarsa è la ricaduta della sua presenza e del suo magistero in parole e segni nelle Diocesi e nelle parrocchie. La pazienza evangelica ci lascia però ben sperare che i segnali positivi nel tempo troveranno sempre più accoglienza fiduciosa nelle comunità cristiane. Il Concilio Vaticano II conserva ancora la sua freschezza profetica per aiutare il popolo di Dio a non cadere nella rassegnazione e quindi a incamminarsi con decisione e con gesti concreti verso la realizzazione del Regno di Dio.
La prospettiva, la dedizione e l’impegno che ci uniscono a tante persone
Ci sentiamo insieme a tante e tanti di voi nel rinnovare il progetto di un’umanità in cui giustizia, pace e salvaguardia dell’ambiente non restino declamazione di principi, ma percorsi ed esperienze storiche.
Riteniamo fondamentale l’incontro con le persone tutte, anche con coloro che pensano diversamente da noi, con attenzione a chi è povero, ai margini, affamato, assetato, denudato di dignità e di vestiti, ammalato nel corpo, nell’animo, nella psiche; a chi è carcerato, a chi immigrato a chi è senza casa, mendicante nelle nostre città e nei nostri territori, alla Terra e a tutti i viventi. La vita ci insegna come sia decisivo l’ascolto che chiede disponibilità interiore, tempo, dedizione. La mancanza di ascolto prepara la violenza.
Vivere la fede
Sentiamo che la fede è dono, grazia, ricerca, dubbio, ancora ricerca e soprattutto affidamento al Dio umanissimo di Gesù di Nazareth che ci guida, ci accompagna e ci sostiene. Non può essere mai separazione, superiorità, presunzione, supponenza, giudizio che esclude, ma – come ci insegna il Natale di Gesù – condivisione completa, incarnazione totale, giorno dopo giorno.
Gesù nella stalla di Betlemme e nelle Betlemme attuali ci rivela amore, dedizione, fragilità.
Sentiamo come sia importante riconoscere le nostre fragilità per poter condividere quelle altrui. È su questa strada che siamo certi resterà poco della notte.
Continuiamo a condividere il cammino.
I preti firmatari:
Pierluigi Di Piazza, Franco Saccavini, Mario Vatta, Pierino Ruffato, Paolo Iannaccone, Fabio Gollinucci, Giacomo Tolot, Piergiorgio Rigolo, Renzo De Ros, Luigi Fontanot, Alberto De Nadai, Albino Bizzotto, Antonio Santin.