QUALE GIUDICE AVREBBE AGITO COSI' SE IN AULA FOSSE ENTRATA UNA SUORA?
Intervista a Repubblica giovedì 18 gennaio [PDF]
«Il criterio di valutazione per un fatto del genere è quello della laicità dello Stato, ma tutto sta nell’intendersi su cosa sia la laicità», afferma il teologo Vito Mancuso.
Ecco, appunto. Che laicità intendiamo? E quale, secondo lei, ha usato il giudice in questione?
«Laicità significa che ogni cittadino possa esprimersi liberamente, a patto che non arrechi danno agli altri. Ma per me essere laici non vuol dire tagliare tutto con il rasoio uniformando i comportamenti, bensì uno spazio nel quale le singole identità si esprimono. Per questo credo che la decisione del giudice sia criticabile. Anche perché imporre il capo scoperto si presta ad equivoci» …
Per esempio?
«Mi chiedo cosa farebbe questo giudice se si presentasse in aula una suora. Facciamo un'ipotesi fantasiosa e immaginiamo ancora viva madre Teresa di Calcutta. Se fosse necessario sentirla come testimone in tribunale, siamo sicuri che quel giudice le imporrebbe di togliersi il velo? Non credo».
Quindi?
«Quindi avverto dietro questa decisione una scarsa tolleranza verso altre religioni. In questo caso ho l'impressione che il magistrato si sia comportato come il toro che vede rosso e carica».
Però molti ritengono che nelle sedi pubbliche non sia opportuno esporre simboli religiosi…
«Immagino tuttavia che in quell'aula il crocifisso ci sia, visto che la battaglia per toglierlo non ha avuto grande seguito. La croce è presente nel scuole e negli ospedali anche perché è passato il concetto che non sia un simbolo religioso, bensì faccia parte della cultura nazionale. La verità è che si tratta di una materia magmatica in cui, se si calca la mano sulle ragioni del giudice, si finisce per eccedere in laicismo fino a comprimere le libertà delle minoranze, mentre se si fa il contrario si apre la strada al radicalismo religioso, con rischio ulteriore di dover apporre in tutti i luoghi pubblici, oltre al crocefisso anche la mezzaluna dell'Islam, il candelabro ebraico e la ruota buddista.
Ma se si tratta di religiosi che devono portare la tonaca o coprirsi il capo c'è una dispensa, mentre nel caso della praticante avvocato non siamo di fronte a una figura religiosa.
«Oggi ci sono religiosi che non si vestono come tali. Al contrario ci sono donne senza un ruolo religioso che tuttavia manifestano il loro credo anche vestendosi secondo prescrizioni dettate dalla religione».
Quindi lei pensa che il giudice del Tar si sia comportato in maniera censurabile?
«Dico che fino a quando una persona si presenta con il volto riconoscibile, vale a dire ciò che prescrive la nostra legge, non ci siano gli estremi per imporre di modificare il suo abbigliamento. Io non la sceglierei come avvocato, ma non vedo perché un giudice debba impedirle di lavorare».
Intervista a Repubblica, giovedì 18 gennaio