Christian Albini, “IL MALE” – risvegliare l’umano – in H. Arendt e D. Bonhoeffer, Gabrielli editori 2016. Recensione di Francesco Cattellani.
Il volume di C.Albini, giovane e brillante teologo recentemente scomparso, la cui ricchezza di riflessioni rende ancora più grave il peso della sua perdita, si confronta con il problema per eccellenza: il Male. La questione viene trattata in quattro capitoli, dapprima dal punto di vista biblico (la resistenza al male nella Bibbia), poi attraverso la riflessione sul pensiero di H. Arendt (la via della mente) e di D. Bonhoeffer (la via della Parola), infine cercando di tracciare un punto di incontro tra le due posizioni (risvegliare l’umano). Le due figure, diverse tra loro per vicenda biografica e per formazione del pensiero, sono accumunate dall’aver vissuto l’atrocità del nazismo: la Arendt rifugiandosi prima a Parigi e poi negli Stati Uniti, Bonhoeffer partecipando alla resistenza al regime di Hitler fino a pagare con la vita. Albini fin dall’inizio entra nel cuore della tematica, poiché non si tratta di stabilire un’ontologia del Male di derivazione dualista (si esclude un principio del Male, o una presenza spirituale personale “avversaria” pag.18), ma di sondare il mistero della libertà umana: “la creazione sarebbe il progetto di Dio ancora in divenire, ancora in atto (creatio continua), nella quale il peccato agisce come libertà che invece si muove nella direzione della de-creazione” (pag.20). L’autore recepisce l’interpretazione di M. Buber, secondo cui la Bibbia non elabora un pensiero speculativo sul male, ma delinea delle immagini, delle descrizioni, dei racconti che ne illustrano le dinamiche e gli effetti. Il peccato nella Bibbia ha un suo inizio: l’idolatria. Questo peccato non deriva da un principio del Male di origine divina, ma nasce dal cuore dell’uomo, nasce nell’interiorità e comporta la responsabilità. L’uomo è soggetto alla possibilità di operare contro Dio (de-creazione), ma non è soggetto ad alcun peccato originale (pag.27). Il cuore dell’uomo, sede dei pensieri, delle emozioni, dell’immaginazione, dei desideri deve trovare la propria unificazione attraverso un cammino di purificazione e di resistenza al male dentro di sé. Si tratta di custodire il cuore, di vigilare, di prestare attenzione, di vegliare (pag. 32-33) …
L’autore a questo punto presenta la vita e il pensiero di H. Arendt, denominato “via della mente”: poiché il male è una conseguenza della nostra libertà, la possibilità di porvi fine è affidata alla nostra responsabilità, come singoli e come collettività (pag.58). “Siamo condannati a essere liberi in ragione dell’essere nati, non importa se la libertà ci piace o aborriamo la sua arbitrarietà (…) Questa impasse, se è veramente tale, può essere superata o risolta solo facendo appello a un’altra facoltà della mente, (…), la facoltà del Giudizio.” (cit. pag.58)
Nella vicenda biografica e nel pensiero di D. Bonhoeffer (via della Parola) il fulcro unificante è la situazione concreta, storica in cui Cristo – colui che è presente nella Parola, nel sacramento e nella comunità dei fedeli – è presente. “La teologia di Bonhoeffer è supportata fin dall’inizio dalla consapevolezza che la verità creduta deve essere una verità concreta nella realtà del mondo” (cit. pag.78).
Di conseguenza l’approccio di Bonhoeffer, distaccandosi da un approccio solo metafisico e teoretico, si pone nel centro del problema della libertà: cosa posso scegliere nella data condizione storica in cui vivo in relazione alla mia fede?
La proposta di Bonhoeffer è quella di vivere “etsi Deus non daretur”, testimoniando che il Vangelo è significativo dentro la condizione umana e le urgenze del proprio tempo. Etsi Deus non daretur è prendere le distanze da Dio come lo immaginiamo per riconoscere il Dio di Gesù Cristo (pag.85). Questo Dio rinuncia alla propria onnipotenza per farsi prossimo a noi nella debolezza e nella sofferenza. “Non è l’atto religioso a fare il cristiano, ma il prendere parte (mondanamente) alla sofferenza di Dio nella vita del mondo” (cit. pag.87). Questa posizione colloca il cristiano in opposizione al male e costituisce la risposta più radicale della Parola di Dio a tale problema.
L’ultimo capitolo del volume si concentra sulle conclusioni della ricerca, cercando le convergenze tra le due vicende intellettuali rispetto al problema del male, rispetto al male contemporaneo, e indicando gli sviluppi che questa impostazione di pensiero potrebbe avere per il presente.
Innanzitutto, dalla medesima radice biblica, si produce una figura antropologica comune: la dinamica (di matrice agostiniana) di ascolto-conoscenza-amore. “L’uomo libero che sa vedere il male e resistere ad esso, scegliendo il bene, è l’uomo che ascolta. Il totalitarismo è l’emblema del male perché annulla l’uomo. Lo annienta con la violenza sistematica che esercita, certo, ma lo annienta prima di tutto nella sua coscienza. Ciò che precede l’esercizio della violenza totalitaria, è la seduzione esercitata dal male che induce l’uomo comune a compiere autentiche atrocità. Sia Hannah che Dietrich avevano colto questo fascino tenebroso come un problema capitale” (pag.92). L’autore individua alcune costanti contemporanee: le spinte ideologiche e i condizionamenti di massa, le tecnologie che veicolano in modo asettico atti di violenza e di malvagità, l’incapacità di porre i problemi e di riflettere sul senso dell’agire, la mancanza di empatia, la chiusura alle relazioni, l’atrofia della parola e del linguaggio.
La seconda convergenza è costituita dal primato dell’amore come regola di azione. L’autore sviluppa la tematica dell’amor mundi e del contemptus mundi in Agostino e H. Arendt, evidenziando come la studiosa abbia declinato la riflessione agostiniana in senso politico: per amare il prossimo occorre stare dentro il mondo inteso come sfera delle attività e delle relazioni umane. “Pensiero e parola, nell’ascolto, legano le persone e creano le condizioni in cui l’agire prende forma per l’edificazione della casa comune. E’ l’opposto di quanto avveniva nei campi di concentramento, organizzati per esercitare un domino totale disintegrando la personalità e l’individualità, in un processo di deumanizzazione che lasciava degli scheletri viventi ridotti alla sola vita organica, anticamera dello sterminio definitivo. Educarsi ed educare all’amore per il mondo – e perciò per l’uomo – è per Hannah la vera e propria lotta contro il male” (pag.100).
Il pensiero di Bonhoeffer non appare distante da queste conclusioni quando si richiama alla “fedeltà alla terra”. L’espressione che risale allo Zarathustra di Nietzsche, ricorre frequentemente assieme ad altre citazioni nietzschiane nell’opera di Bonhoeffer. “Non intendo la fede che fugge dal mondo, ma quella che resiste nel mondo e ama e resta fedele alla terra, malgrado tutte le tribolazioni che essa ci procura” (cit. pag.104).
Albini conclude dicendo che le posizioni di Bonhoeffer e Arendt, molto vicine tra loro, comportano una forte critica dell’astrazione metafisica, nella quale il mondo e la storia sono svalutati, e un deciso apprezzamento per l’umanità. Rispondere al male significa valorizzare l’umanità e risvegliare l’umano, svilupparlo, renderlo “adulto”. Umani si diventa, dis-umani si può ritornare. Occorre risvegliare l’umano nell’incontro con le differenze, dentro i vari contesti in cui oggi il male si presenta (pag.108). L’autore individua quattro grandi scenari: la crisi economica, il terrorismo, i fenomeni migratori, il degrado ambientale e indica alcune vie percorribili.
Il volume si conclude con l’invito a considerare queste prospettive di pensiero come due poli, a partire dai quali filosofia e teologia, visione laica e visione religiosa, possano trovare punti di convergenze e aperture l’una verso l’altra, e con l’indicazione di alcune piste di lavoro (la natura dell’esperienza religiosa, la teologia relazionale, il pluralismo religioso come dato teologico, la storicità dell’esperienza di fede). Albini, in questo suo ultimo lavoro, ci ha lasciato un’impostazione concettuale molto chiara, che affronta la tematica del male con una teologia all’altezza del mondo, mostrando vie percorribili e concrete. Appare davvero significativo che l’autore abbia trovato, nelle riflessioni di queste due persone di fronte al totalitarismo e all’olocausto, quei raggi di luce capaci di orientare ancora il nostro pensiero. Esse, assieme a quelle di Etty Hillesum, Primo Levi, Eli Wiesel, Pavel Florenskij e altri, sono il distillato più prezioso dell’anima di fronte al male, il solo in grado di “risvegliare l’umano”.