Non avrai altro Dio. Processo al monoteismo “è sinonimo di violenza”

cappella-sistina-3La Commissione Teologia Internazionale (Cti) è un organismo di 30 teologi di ogni parte del mondo scelti dal Papa in quanto «eminenti per scienza, prudenza e fedeltà verso il Magistero della Chiesa» con l’incarico di «studiare i problemi dottrinali di grande importanza» (così gli statuti ufficiali). Pochi giorni fa è stato pubblicato su Civiltà Cattolica l’ultimo suo lavoro, disponibile anche nel sito della Santa Sede, dal titolo: Dio Trinità, unità degli uomini. È però il sottotitolo che chiarisce l’argomento: Il monoteismo cristiano contro la violenza. Lo scritto prende infatti spunto da una tesi sempre più diffusa in occidente secondo cui vi sarebbe «un rapporto necessario tra il monoteismo e la violenza», con la conseguenza che il monoteismo, prima considerato la forma più alta del divino, ora viene ritenuto potenzialmente violento. Le religioni monoteistiche sono ebraismo, cristianesimo e islam, ma secondo la Cti è soprattutto il cristianesimo a essere sotto tiro da parte di ampi settori dell’intellighenzia occidentale definiti «ateismo umanistico, agnosticismo, laicismo», i quali invece risparmierebbero l’ebraismo per rispetto della shoà e perché privo di proselitismo, e legherebbero l’intolleranza islamica più a motivi politici che teologici. Il che per la Cti dimostra l’aria anticristiana che tira in occidente, ingiustificabile anche alla luce del fatto che è proprio il cristianesimo la religione che oggi cerca di più il dialogo con la cultura laica…

 

A favore del monoteismo la Cti propone la tesi opposta secondo cui «la purezza religiosa della fede nell’unico Dio può essere riconosciuta come principio e fonte dell’amore tra gli uomini». Ribalta quindi l’equazione: non monoteismo = violenza, bensì monoteismo (trinitario) = amore universale. Con la logica conseguenza che «l’eccitazione alla violenza in nome di Dio è la massima corruzione della religione».

Gli argomenti presentati a sostegno sono molteplici. In primo luogo si contesta l’idea secondo cui il politeismo sarebbe più tollerante, visto che la persecuzione ellenista contro gli ebrei e quella romana contro i cristiani indicano il contrario. Ma è soprattutto il cuore del cristianesimo a mostrare come dall’insegnamento e dalla vita di Gesù non può che scaturire un umanesimo non violento, per cui la rivelazione cristiana «consente di neutralizzare la giustificazione religiosa della violenza sulla base della verità cristologica e trinitaria di Dio», e per questo vi è un «irreversibile congedo del cristianesimo dalle ambiguità della violenza religiosa». Altri punti importanti sono la distinzione del concetto di monoteismo (ritenuto in sé troppo generico per abbracciare unitariamente ebraismo, cristianesimo e islam), l’ermeneutica delle pagine bibliche colme di violenza, la discussione con l’ateismo contemporaneo, le riflessioni di teologia trinitaria.

Ma il documento della Cti è riuscito nel suo intento principale, cioè rendere convincente la connessione organica tra cristianesimo e non-violenza per quei laici che accusano il cristianesimo di intolleranza? A mio avviso no, e il motivo sta nel non aver preso adeguatamente in considerazione la parte di verità della critica laica. Il documento infatti non indaga a sufficienza le ragioni delle accuse mosse al cristianesimo, basti considerare che fenomeni quali inquisizione, roghi di eretici e di libri, caccia alle streghe, Index librorum prohibitorum, conversioni forzate di individui e di popoli, neppure sono nominati. È vero che si afferma di «non poter ignorare considerando la storia del cristianesimo i ripetuti passaggi attraverso la violenza religiosa» e che si evoca «un atteggiamento di conversione permanente che implica anche la parresia ossia la coraggiosa franchezza) della necessaria autocritica», ma invano si cerca tra i 100 paragrafi del documento almeno un esempio di tale parresia. Al contrario l’argomentare si risolve spesso in una concatenazione di pensieri speculativi con un linguaggio non sempre limpido e perspicuo. Oltre all’insufficienza a livello storico, in sede concettuale le lacune sono soprattutto tre: 1) la violenza nella Bibbia viene considerata solo per l’Antico Testamento senza mai menzionare il Nuovo, dove pure è presente, si pensi all’Apocalisse e ad alcuni passaggi di san Paolo, con la conseguenza di riprodurre la contrapposizione «Dio di Gesù buono — Dio dell’ebraismo cattivo»altrove condannata dalla stessa Cti; 2) non si spiega perché la Chiesa abbia preso congedo dalla violenza solo in tempi relativamente recenti; 3) vi è una problematica considerazione delle religioni non cristiane. Tralasciando per motivi di spazio il primo punto, riguardo al secondo occorre chiedersi perché la Chiesa che per secoli praticava e giustificava la violenza ha poi mutato atteggiamento. La risposta è semplice: grazie alle battaglie del mondo laico che, togliendole potere, le hanno permesso di tornare a essere più fedele alla propria essenza. La Cti però non spende una parola su questo, al contrario ripropone la campagna di Benedetto XVI contro il relativismo dimenticando il bene che deriva dal prendere coscienza della relatività delle proprie posizioni. Non è dal relativismo, infatti, ma è dal suo contrario, l’assolutismo, che nascono l’intolleranza e la violenza. Il che non significa che il relativismo non abbia i suoi limiti, ma occorre una saggezza disposta a riconoscere il bene e a denunciare il male ovunque siano, anche e soprattutto a casa propria insegna il Vangelo (Matteo 7,3: «perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?»), mentre tutto ciò nel documento dei teologi prescelti dal Vaticano scarseggia.

C’è poi il punto sulle religioni non cristiane. Con l’affermare più volte che «la rivelazione cristiana purifica la religione», quale immagine delle religioni non cristiane consegna la Commissione? Scrivendo che «la purezza della religione e della giustizia viene dalla fede in Gesù Cristo», quale immagine dei credenti non cristiani propone la Cti? Sembra inevitabile concludere che le religioni senza Gesù siano destinate all’ingiustizia e alla violenza, sennonché la realtà insegna che sono proprio religioni come induismo, buddhismo, giainismo a essere giunte all’ideale della non-violenza (anche a livello alimentare!) secoli prima della nascita di Gesù e millenni prima che vi arrivasse la Chiesa cattolica.

L’intento della Cti è più che lodevole, ma su temi tanto delicati la Chiesa di papa Francesco avrebbe meritato un documento diverso, più umile sul passato e più coraggioso sul presente, capace così di vero dialogo con i non cristiani e di smuovere le acque nella Chiesa, invocando al suo interno quella libertà religiosa che ieri la Chiesa negava a tutti, oggi promuove nel rapporto tra credenti e potere politico e domani dovrà giungere a riconoscere in materia teologica, etica e di pratica sacramentale ai singoli credenti se vorrà essere veramente del tutto libera dalla violenza.

 

Vito Mancuso, la Repubblica 21 gennaio 2014