Il cristianesimo, l'etica e l'Occidente
Umberto Galimberti, Cristianesimo La religione dal cielo vuoto (Feltrinelli)
A chi prega ogni giorno «Padre nostro che sei nei cieli» non fa probabilmente piacere veder qualificata la propria fede come «la religione dal cielo vuoto», secondo quanto recita il sottotitolo dell’ultimo libro di Umberto Galimberti appena uscito da Feltrinelli. Consapevole dell’affondo, l’autore avverte di non aver voluto essere «provocatorio e nemmeno offensivo », ma non per questo rinuncia a ribadire: «E tuttavia il cielo del cristianesimo è vuoto». Il libro di Galimberti è ampio, sinuoso, profondo, apre e chiude scenari con magistrale disinvoltura. Il credente che lo legge può affogare, ma può anche imparare a nuotare tra pericolose correnti. Tra le questioni sollevate vi è quella del senso, se cioè questa categoria non sia solo un traballante rifugio della mente, vi è la connessione tra l’Occidente e la sua religione («l’Occidente di cristiano non ha solo le radici, ma il tronco, i rami, le foglie, i frutti, tutto è cristiano in Occidente»), vi è l’immancabile trattazione della tecnica e della psiche, la figura della fede filosofica e molte altre cose….
Ma la questione decisiva è il cielo vuoto del cristianesimo. Ovvero il cielo vuoto dell’Occidente. Per Galimberti ciò dipende dal fatto che il cristianesimo ha eliminato dal concetto di Dio la pienezza della vita. La vita infatti è bene + male, giustizia + ingiustizia, mentre il Dio cristiano è solo bene e solo giustizia, quindi strutturalmente incapace di rispecchiare la straboccante totalità della vita. Liberando Dio dalla responsabilità del male, il cristianesimo l’ha impoverito rendendolo incapace di abbracciare il tutto, così che, a differenza degli Dei greci e dell’Islam, il cristianesimo è rimasto privo della dimensione del sacro. Il sacro infatti non conosce distinzione tra bene e male, ma veicola una dimensione di fascino e insieme di terrore, in un’originaria ambiguità che rispecchia alla perfezione l’ambiguità della vita (il latino sacer significa al contempo “sacro” ed “esecrato”). Privo di sacralità, ridotto a etica, il cristianesimo non è più in grado di riempire il cielo della storia, che quindi, per l’Occidente, risulta vuoto. Tale analisi di Galimberti riprende e riattualizza la critica teologica di Nietzsche al cristianesimo. A differenza infatti dell’ateismo antropocentrico di Marx o di Freud, l’anticristianesimo di Nietzsche si nutre di vigorosa teologia greca e accusa il cristianesimo di aver prodotto «la castrazione contronatura di Dio in un Dio soltanto del bene». Per Nietzsche però «si ha bisogno tanto del Dio cattivo quanto di quello buono», perché «che importerebbe un Dio che non conoscesse né ira, né vendetta, né invidia, né scherno, né astuzia, né azioni violente… un Dio simile non lo si comprenderebbe, a quale scopo dovremmo averlo?». Le analisi di Galimberti sul sacro sono variazioni di questo motivo fondamentale elaborato da Nietzsche per ristabilire il primato naturale della forza contro il primato innaturale dell’etica, un’operazione per la quale il filosofo tedesco riteneva di dover combattere fino alla morte il cristianesimo. Ma Galimberti, lui, come giudica l’operazione cristiana che toglie il sacro originario dall’ambiguità etica per porre il primato del bene e della luce? Al lettore non è dato sapere, perché l’ambiguità avvolge anche Galimberti, che da un lato connota negativamente la desacralizzazione cristiana: «Smarrite le tracce del sacro, attenuata con l’incarnazione la trascendenza di Dio, il cristianesimo si è ridotto ad agenzia etica»; dall’altro lato giudica il messaggio cristiano più positivamente attribuendo la responsabilità della crisi non all’idea di Dio come bene ma alla teologia basata sulla metafisica greca: «Il cristianesimo ha costruito la sua teologia non sul messaggio di Cristo, ma sulla logica e la metafisica platonico-aristotelica, che nel suo crollo ha trascinato con sé anche il Dio cristiano». Io penso che la tesi di Galimberti secondo cui «il cristianesimo ha desacralizzato il sacro, sopprimendo la sua ambivalenza e assegnando tutto il bene a Dio e tutto il male al suo avversario»sia fondata: nel cristianesimo l’ambiguità originaria del sacro viene meno, l’immagine di Dio portata da Gesù rende impossibile un Dio dell’ira e della vendetta. L’incarnazione quale centro del cristianesimo infatti va speculativamente compresa nel senso che il valore assoluto spettante alla divinità si estende all’umanità: il sacro cioè non è più il tempio o la legge, ma si trova nei volti concreti degli esseri umani, e per questo il Nuovo Testamento giunge a dire che non si può amare Dio che non si vede se non si ama il prossimo che si vede. Nietzsche quindi ha ragione nell’attribuire a Gesù l’identificazione di Dio soltanto col bene, solo che non si tratta di una “castrazione contronatura”, ma di un’acquisizione teologica decisiva, su cui si fonda l’etica dell’Occidente, soprattutto dopo la sconfitta del mostro nazifascista inebriato dalla sacralità della forza e della volontà di potenza proclamata da Nietzsche. Né si tratta, come vuole Galimberti, del “germe dell’ateismo”, ma piuttosto dell’inaugurazione di un nuovo modo di pensare Dio, non più all’insegna del teismo, ma di un altro modello concettuale vicino alla mistica dell’unità, il panenteismo. Naturalmente si è trattato di un processo lungo, incoerente (tutti sanno che il cristianesimo ha ampiamente conosciuto la violenza) e ancora in corso. Ma a seguito del Vaticano II, che ha accettato la libertà religiosa e quindi il primato della coscienza, l’acquisizione che l’unica cosa sacra è la vita libera degli esseri umani è ormai irreversibile. Oggi quindi esistono le premesse perché si compia la rivoluzione teologica di Gesù (dal teismo al panenteismo) e appaia chiaro che la più alta dimensione del sacro è l’uomo vivente immagine di Dio. Il cristianesimo è giovane, ha appena duemila anni, e forse solo adesso, sempre più libero dagli interessi del potere grazie alla secolarizzazione, sta iniziando a confrontarsi seriamente con le diversità del mondo. Forse l’avrebbe avvertito anche Galimberti se, invece di prestare tanta attenzione alle analisi di Baget Bozzo colme di invidia verso la forza politica dell’Islam e tese a suscitare ostilità verso questa grande religione mondiale, si fosse occupato anche delle dinamiche mondiali del cristianesimo, mentre non nomina autori come Bonhoeffer, Florenskij, Teilhard de Chardin, Schweitzer, Rahner, Tillich, Panikkar, Küng e movimenti come la teologia della liberazione, né dice una parola su profeti come Romero, Camara, Bello, Martini. Un po’ strano per un libro che si intitola Cristianesimo. In realtà assistiamo oggi nel mondo a una profonda trasformazione del concetto di sacro, che non intende avere più nulla a che fare con la concezione primitiva e maschilista del culto della forza e dell’arbitrio, compreso il Dio del teismo e dell’onnipotenza di alcune pagine bibliche. Oggi a risultare sacra per la coscienza è la lealtà della relazione, l’armonia che va costantemente ricercata e costruita, il volto umano di ogni razza o colore, con la profonda trasformazione del concetto di religione che questo porta con sé. Peccato però che gli uomini di Chiesa in grado di cogliere questa dinamica siano rari, mentre i più, e in questo Galimberti ha ragione, si occupano di argomenti «che ogni società civile può affrontare e risolvere da sé» e lasciano i singoli a «vedersela da soli con l’abisso della propria follia». Galimberti conclude il suo libro chiedendosi: «È ancora in grado l’Occidente, e il cristianesimo che è la sua anima, di varcare le porte del nulla?». Quanto all’Occidente io non lo so, ma so che il cielo interiore dell’anima umana non sarà mai vuoto fino a quando vi sarà chi, all’ideologia della forza, preferisce il nobile ideale del bene e della giustizia. E so che il cristianesimo può ancora alimentare molte energie in questa direzione.
Vito Mancuso la Repubblica, 15 novembre 2012