Anche la disobbedienza può rinnovare la Chiesa

Intervista a Vatican Insider del 21 Aprile 2012 a cura di Alessandro Speciale

C'è chi lo chiama eretico, chi dice semplicemente che dovrebbe smettere di dirsi cattolico e di tirare in ballo la Chiesa cattolica nei suoi libri e nella sua teologia; ma Vito Mancuso, malgrado il dissenso dal magistero e le critiche aspre a Benedetto XVI e alla linea del suo pontificato, continua a considerarsi un figlio della Chiesa.

Nel suo ultimo libro, “Obbedienza e liberta'” (Fazi Editore, 2012, 202 pagg., 15 €) il teologo propone un programma di radicale riforma della dottrina cattolica – perché a volte e' indispensabile usare il “bisturi” se si vuole “impedire la morte del malato”. Vatican Insider gli ha chiesto di confrontarsi con alcuni aspetto del pontificato e degli insegnamenti di Benedetto XVI…

 

Il libro si intitola “Obbedienza e libertà”. Viene allora naturale cominciare dall’omelia di Benedetto XVI per il Giovedì Santo, in cui il papa ha risposto all’“appello alla disobbedienza” dei parroci austriaci. Per loro è stata un'apertura di credito e un invito alla riflessione. E secondo lei?

Benedetto XVI ha citato l’espressione di Gesù “consacrati nella verità” e ha contrapposto tale consacrazione a ciò che ha definito “la tanto sbandierata autorealizzazione”. Per il papa, la verità che è Cristo non è auto-realizzazione dell’uomo. Io penso però che Cristo non sia la verità al modo di una legge oggettiva che si impone al singolo, perché se fosse così il Vangelo sarebbe solo una nuova legge allo stesso modo di tante altre leggi, mentre il Vangelo non è legge, è dinamismo, prassi, vita nuova. Ne viene che la disobbedienza cui fanno appello i 400 preti austriaci al fine di portare la Chiesa a riconoscere le legittime istanze di autorealizzazione dei singoli (delle donne e non solo) non è a priori contro il Vangelo; anzi, può essere persino più evangelica dell’obbedienza formale richiesta dal papa.

Quindi la disobbedienza può essere una via per rinnovare la Chiesa?

Il papa stesso nella sua omelia si è chiesto se la disobbedienza sia una via per rinnovare la Chiesa. La domanda era ovviamente retorica, perché per lui la risposta è un esplicito no. A me invece pare che possa anche essere sì, nella misura in cui la disobbedienza esteriore è finalizzata a una più alta obbedienza interiore alla logica evangelica che si dice come bene concreto dei singoli concreti. Senza la disobbedienza della teologia nella prima metà del ‘900 (un nome tra tutti, Teilhard de Chardin) non avremmo avuto il Vaticano II e la svolta radicale su libertà religiosa, ecumenismo, rapporto con gli ebrei e le altre religioni, per citare solo le innovazioni più clamorose. Occorre continuare su questa strada profetica.

Nel libro scrive che "un processo virtuoso, di ritorno alle origini, ha avuto inizio" nella Chiesa, a cominciare dal Concilio Vaticano II. Continua ancora oppure si è arrestato?

Sì e no, come avviene quasi sempre nel chiaroscuro della storia. Con Benedetto XVI l’ambiguità permane, anche se nel complesso predominano gli aspetti di chiusura. Ma il soffio della Spirito non lo può fermare nessuno, neppure i papi: prova ne sia la preghiera del papa nella Moschea Blu di Istanbul il 1° dicembre 2006, l’essere tornato sui suoi passi a proposito del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso (prima declassato, poi ripristinato nella sua autonomia), le parole di inaudita apertura a proposito della liceità dei preservativi nel volume intervista Luce del mondo della fine del 2010.

In questo quadro c’è anche la riconciliazione con i lefebvriani che il papa ha cercato in tutti i modi, sin dall’inizio del suo pontificato…

Il codice genetico della Fraternità Sacerdotale San Pio X consiste proprio nell'opposizione al Concilio e all'apertura alla modernità che esso rappresenta. Quindi accettare il Concilio non può non significare per i lefebvriani "rinnegare se stessi", per usare la nota espressione evangelica. Se l'hanno fatto, bene. Se non l'hanno fatto, e ciononostante c'è l'accordo, così che tutte le parti possono dichiararsi vincitrici, allora siamo in presenza di un elemento di confusione destinato a produrre ancora più confusione in futuro, anche molto presto. Perché una cosa è sicura, a mio avviso: quel modello di essere cattolici contro il mondo, definitivamente superato l'8 dicembre 1965, è l'ultima cosa di cui la Chiesa ha bisogno.

Durante il suo viaggio in Germania, in maniera per certi versi sorprendente, Benedetto XVI ha dato un  riconoscimento alla secolarizzazione per aver privato la Chiesa, nel corso dei secoli, di prestigio e potere, rendendola progressivamente ‘demondanizzata’. Cosa ne pensa?

Qui tocchiamo uno dei punti più delicati dell’intelligenza del cristianesimo, cioè il giudizio sul mondo. Vi sono testi biblici che hanno un concetto di mondo del tutto negativo e ve ne sono altri opposti: da un lato il mondo è dominio del “principe di questo mondo”, dall’altro luogo del governo giusto e provvidente di Dio. La contraddizione non va sciolta unilateralmente ma mantenuta. Questo significa che vi sono aspetti per cui la Chiesa deve essere demondanizzata (rapporti con il potere politico ed economico, interessi di parte, gestione delle enormi risorse finanziarie, mentalità carrieristica al proprio interno) e ve ne sono altri per i quali deve essere ancor più unita al mondo (vicinanza agli uomini e alle donne, ascolto dei problemi del tempo, rinnovamento del linguaggio e delle categorie concettuali, democratizzazione delle strutture). La Chiesa non è il mondo, ma senza il mondo essa non è, perché la Chiesa è in funzione del mondo; esattamente come il lievito di cui parlava Gesù, che non è la pasta ma che acquista senso solo in funzione della pasta.

Lei descrive l'epoca in cui viviamo come un tempo di "neo-paganesimo". Eppure spesso la Chiesa parla delle minacce di una cultura scientista, in cui la ragione vuole cancellare la voce della fede. Che conseguenze ha questa lettura?

Il cosiddetto scientismo con l’aggressività dei suoi esponenti è, a mio avviso, un fenomeno di reazione a un ben più vasto movimento su scala mondiale definito “rivincita di Dio” (G. Kepel) o “desecolarizzazione del mondo” (P. Berger). Oggi il fattore religioso è di primaria importanza nell’elaborazione dell’analisi geopolitica mondiale. Coloro che coltivano il desiderio di una prossima estinzione della religione vedono la fine dei loro sogni e reagiscono attaccando, come tutti gli organismi in difficoltà. Non si devono trascurare le loro critiche, ma occorre prestare molta maggiore attenzione agli evidenti segnali di attenzione verso la ricerca spirituale da parte di vasti strati della popolazione, al cui proposito basta dare un’occhiata alle classifiche dei saggi più venduti e considerare come i grandi editori laici prima snobbassero titoli di spiritualità che oggi invece ricercano.

Anche la Chiesa si sente vendicata dopo decenni passati nel 'deserto'…

Tutto questo però non significa un ritorno al cristianesimo tradizionale. Il cristianesimo è chiamato piuttosto a confrontarsi con una tensione spirituale del tutto inedita, che io chiamo neo-paganesimo e che ha in Nietzsche il suo profeta, con le nuove beatitudini della forza naturale e della volontà di potenza. È qui che si gioca la partita per la conquista delle anime. Vincerà chi saprà infondere più entusiasmo, più spirito di sincerità, più amore per la bellezza della vita.

Nel libro, malgrado il dissenso con parti del Magistero e della gerarchia, ripete più volte con chiarezza di considerarsi parte della Chiesa. Che posto c'è per chi dissente ed e' inquieto in una Chiesa che professa di voler essere una "minoranza creativa", un coerente anche se 'scomodo' segno di contraddizione nella società contemporanea?

La gerarchia dovrebbe iniziare a comprendere che il principale fattore di rinnovamento del cristianesimo consiste nel ritorno al pluralismo delle origini. Quello che è esaltante nel cristianesimo è proprio la pluralità della rivelazione: la Bibbia è una collezione di 73 libri e persino il suo centro è plurale, è quadriforme, non uniforme… la pluralità della rivelazione è un’importantissima carta da giocare nel contesto odierno della globalizzazione.