La sostenibile pesantezza dell’essere cattolici

Concili. Una storia affascinante tra passato e futuro

 Intervento di Vito alla presentazione del libro di Luigi Sandri [PDF]

sandriPer quanto concerne il libro di Luigi Sandri, io non posso che sottolineare che ci troviamo di fronte ad un’opera riuscita. Perché un libro sia riuscito ci devono essere due elementi almeno che si amalgamano molto bene: contenuto e forma. Il contenuto è corretto: soprattutto quando si tratta di una materia così vasta, così complessa, labirintica, se uno segue Luigi non si perde. Anzi: cammina abbastanza spedito, ha la possibilità di vedere dall’alto panorami complessi… E poi la forma. Ciò che fa un libro è l’unione di questi due aspetti. La forma che sa dire le cose in una certa maniera e che fa sentire al lettore la sua voce. A me piacciono i libri nei quali si sente la voce dell’autore, la sua personalità, il fatto che prenda decisioni, il fatto che dica «io penso… io sono d’accordo… io non sono d’accordo». Insomma: quando si incontra un uomo che pensa, che decide, che ha una personalità. Chi legge questo libro incontra tutto questo, quindi è una bella avventura leggerlo. A me ha fatto bene, mi ha messo in ordine tante idee, vi ho trovato tanto materiale utile…

Sono d’accordo con Prosperi riguardo al giudizio da lui dato sui due ultimi pontificati. Il giudizio catastrofico sul pontificato di Benedetto XVI, la cui cosa migliore, senza ironia, sono state le dimissioni, perché veramente è stato un atto coraggioso, soprattutto per un tradizionalista come lui. E questo è veramente qualcosa che dimostra che quest’uomo ha saputo superare se stesso, ha saputo guardare al bene più ampio, insomma ha fatto un gesto grande. E sono d’accordo sulle speranze che il pontificato di papa Francesco apre.

Per quanto concerne il senso del mio intervento, parto dalle dimensioni di questo libro, che è un libro pesante, poco maneggevole, avendosi a che fare con più di mille pagine… Questo è un simbolo, secondo me, della pesantezza che comporta oggi l’essere cattolici. Ci sono religioni leggere e ci sono religioni pesanti. Religioni che strutturalmente sono leggere, che vogliono alleggerire; ad esempio il buddhismo è una di queste, il buddhista è uno che vuole «togliere», fino a togliere se stesso; e ci sono religioni che, invece, vogliono appesantire. Non necessariamente in senso negativo, ma perché hanno un apparato, una storia, una dogmatica, un’etica, hanno dei costumi, ti impongono una precisa visione del mondo, entrano persino in camera da letto. Qui nel libro ci sono pagine e pagine sulle questioni trattate da papi e concili che riguardano la camera da letto. Il cattolicesimo è una religione di quelle che intendono aggiungere, e quindi la pesantezza di questo libro è simbolica della condizione cristiana.

Ma che significa «concilio»?

È simbolico anche il punto di vista con cui la condizione cristiana viene indagata, che è quello dei concili. Da dove viene il termine concilio? Confucio diceva che la prima cosa che lui avrebbe fatto se il Celeste Imperatore gli avesse affidato il comando del celeste impero sarebbe stata raddrizzare i termini, capire cioè che cosa le parole dicono, perché sono sorte, qual è il loro significato e quale la loro relazione con la realtà. Allora da dove viene il termine «concilio»? Concilio è una di quelle parole che oggi hanno finito per avere quasi unicamente un senso cristiano. Quan- do diciamo concilio immagino che tutti noi pensiamo ad una cosa di Chiesa, ad un’assemblea dei capi della Chiesa. E invece, nel latino originario, questa ed altre parole erano legate alla religione pagana, avevano un senso del tutto laico. Pensate a «pontifex», pontefice: erano i sommi sacerdoti della religione romana; pensate a «basilica»: era un edificio laico dove c’erano i tribunali, il mercato, la borsa; pensate a «sacramentum»: adesso noi diciamo sacramentum e pensiamo ai sacramenti, ma sacramentum era la posta che tu dovevi mettere quando c’era una causa, il pegno, il deposito giudiziario, la somma di danaro depositata in un processo civile. E così «concilium»: oggi noi pensiamo ad un’assemblea di alti prelati, di vescovi; mentre nel latino originario concilium significava innanzitutto unione, vincolo. Lucrezio parla di «concilia rerum», per dire proprio la combinazione della materia; ciascuno di noi nel suo corpo è un concilium rerum, siamo un aggregato di diversi elementi. Significa anche unione carnale, proprio perché c’è questa commistione, questa congiunzione. E naturalmente significa adunata, assemblea.

Il cristianesimo è l’unica religione che ha i concili, oltre al buddhismo. Però quello su cui soprattutto vorrei richiamare l’attenzione è il fatto che il termine concilio, che di per sé significa unione, ha generato un verbo che nella nostra lingua significa tutt’altro: quando noi diciamo «conciliare» non pensiamo ad unirsi, radunarsi, perché «conciliare» è il momento in cui si accordano i conflitti. E infatti l’azione del concilio è una conciliazione; il prodotto che scaturisce dall’azione del conciliare non è una riunione, è una conciliazione. Tutto questo per dire che questa evoluzione linguistica ci fa capire come all’origine della cristianità ci furono sempre dei contrasti. Il termine «concilio», che di per sé significa semplicemente riunione, ha generato un’azione, conciliare, e un prodotto, conciliazione, che significa accordo, risanamento di contrasti.

Quindi il principio che già Eraclito affermava dicendo che «il conflitto è padre di tutte le cose» vale anche per i concili della Chiesa cattolica. Se non ci fosse stato da subito un contrasto non sarebbe sorto Gerusalemme I, che di per sé non fa parte dei venti concili ecumenici della Chiesa cattolica, ma è merito di Luigi essere partito da Gerusalemme I e dal contrasto tra l’ala più aperta, ellenista, e l’ala più chiusa, giudaizzante, della cristianità primitiva, un contrasto che emerge nel Libro degli Atti e nelle lettere di Paolo (che sono pienissime di polemica, dove ci sono termini che scuotono, tutt’altro che irenici). Quindi alla base dei concili ci sono i contrasti che li hanno generati, da Nicea I fino ai contrasti che hanno generato gli ultimi due concili: Vaticano I e II.

Il conflitto con il mondo moderno

Chi legge il libro di Sandri vedrà da sé il ruolo generatore del conflitto, e vedrà da sé qual è stato il conflitto che ha originato il Vaticano I e il Vaticano II, perché è il medesimo. Che cosa ha originato i primi concili della cristianità, da Nicea I a Costantinopolitano III (dal 325 al 680)? Il contrasto tra l’essenza del cristianesimo e la mentalità corrente, soprattutto il politeismo pagano da un lato e il rigido monoteismo giudaico dall’altro. Si trattava di capire come collocare Gesù, la sua figura, il suo messaggio all’interno di quel contesto. E lì sono nati i concili che poi hanno prodotto il dogma trinitario e il dogma cristologico. Dopo la fine di questo periodo, durato tre secoli e mezzo, la mente cristiana era pacifica, aveva capito, il contrasto era sopito o comunque concili di questo genere (su queste tematiche) non sono più avvenuti, perché non sono sorte più all’interno del mondo cristiano (che avessero realmente capito oppure no) grandi contestazioni di tipo trinitario e di tipo cristologico, almeno in quella prima fase.

E qual è il conflitto che ha generato il Vaticano I e il Vaticano II, che a mio avviso è il medesimo, ed è il medesimo conflitto che genererà (eccoci qui al titolo del libro) il Vati- cano III? È il conflitto con il mondo moderno. Ed è un conflitto ancora non sanato. Questo conflitto noi lo possiamo collocare simbolicamente al 1600, intendendo proprio l’anno preciso 1600 e una data ancora più precisa: il 17 febbraio del 1600, quando ad un chilometro circa da qui venne bruciato vivo Giordano Bruno. E sempre circa ad un chilometro da qui, 33 anni dopo, il 22 giugno del 1633, Galileo Galilei venne costretto all’abiura. Abbiamo così da un lato la dichiarazione di guerra alla filosofia, dall’altro la dichiarazione di guerra alla scienza. Ecco il grande conflitto tra Chiesa cattolica e modernità, nel senso migliore del termine, che significa uso dell’intelligenza senza la tutela dell’autorità, come poi dirà Kant nel 1787 nel famoso scritto Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?. Che cosa vuole fare la filosofia? Cosa vuole fare la scienza? Usare la ragione, usare la coscienza senza alcuna tutela. Quando però ci provò, nello Stato Pontificio nel 1600 e nel 1633 successe quel che abbiamo detto. E quindi ecco la dichiarazione di guerra tra Chiesa cattolica da un lato e modernità dall’altro. La prima risposta sistematica della Chiesa si ebbe probabilmente nel 1864 con il Silla- bo, che poi continuò con il Vaticano I. Una risposta del tutto insufficiente, solamente di tipo apologetico, incapace di cogliere le vere domande e che non ha funzionato perché, subito dopo, si ebbe il Modernismo e soprattutto perché si ebbe poi quella corrente che portò al Vaticano II, che fu a sua volta un tentativo di rispondere al conflitto tra Chiesa cattolica e mondo moderno.

Vaticano II: positivo ma insufficiente

Quella del Vaticano II è stata una risposta po- sitiva? Sì, è stata una risposta positiva. È stata una risposta sufficiente? No, non è stata una risposta sufficiente, tant’è che i problemi continuano, sussistono ed è per questo che di sicuro ci sarà un Vaticano III se ancora la Chiesa sarà un organismo vivo, vitale, capace di capire il mondo e rinnovare la propria mente, la propria dottrina, la propria impostazione, per continuare il cammino con il mondo moderno. Se la Chiesa sarà viva, vitale, è naturale che ci sarà un Vaticano III. E voglio dire di più: prima ci sarà un Vaticano III e più la Chiesa dimostrerà vitalità, capacità di leggere i cosiddetti segni dei tempi.

Poi nel libro di Sandri si discute: sarà un Vaticano III oppure sarà un Gerusalemme II? Oppure un Messico I, oppure un Nairobi I, un Manila I? Naturalmente la scelta del luogo sarà significativa; se sarà un Vaticano III probabilmente si vorrà continuare la linea di fedeltà alla sede romana, cioè a Roma come centro del cattolicesimo (anche se, dei venti concili ecumenici, solamente sette sono stati celebrati a Roma, i cinque del Laterano e i due del Vaticano). Se invece sarà un Gerusalemme II, significherebbe tornare a bagnarsi al Giordano, significherebbe cioè compiere quel- l’operazione che fece Manzoni (che «sciacquò i panni in Arno» riscrivendo I promessi sposi) volendo riscrivere il cristianesimo ribagnandosi nel Giordano. E quindi il dialogo con l’ebraismo sarebbe messo in primo piano; sarebbe un concilio archeologico, nel senso bello del termine. Se invece sarà Manila, Messico oppure Buenos Aires, o comunque in America Latina, avremo una grande importanza della dimensione sociale, della teologia della libe- razione. Se sarà invece una città africana – o ancor di più una città asiatica – avremo un’attenzione alla dimensione del dialogo interreligioso e il vero banco di prova sarà il confronto con le grandi tradizioni spirituali dell’oriente: induismo, buddhismo, le religioni cinesi, le religioni cosmiche. Se dovessi decidere io lo collocherei lì, perché secondo me è lì che si gioca la scommessa della spiritualità mondiale – e lo dico senza alcuna contrapposizione né all’idea di Gerusalemme né all’idea dell’America Latina né di Roma, ma se devo dire dove soffia lo spirito oggi, io vedo che soffia lì. È il Gange il fiume dove occorre bagnarsi oggi, più che il Giordano.

«Le noiose, vecchie questioni»

Il conflitto con la modernità non è per niente sanato; chi legge questo libro vedrà come c’è tutta una serie di cronache molto interessanti sul post-Concilio, e ci sono pagine molto interessanti dove si discute quali siano questi problemi aperti. Io li ho segnati man mano che emergevano e adesso provo semplicemente ad elencarli. Ma sono cose a tutti voi note perché ogni giorno si parla di queste cose. Anche perché il punto vero che voglio dire è che non sono questi i problemi, ma è ciò che li fa sorgere. Questi cioè sono gli epifenomeni, ma il vero fenomeno che va visto, capito e affrontato è un altro.

Quali sono questi problemi? È molto significativa un’affermazione di Hans Küng del 1987, riportata da Sandri, che parla di «noiose, vecchie questioni». Già nel 1987 le tematiche di questo elenco che adesso vi dirò erano «le noiose, vecchie questioni», erano esattamente le stesse cose che ritornano anche oggi quando si parla di Concilio, di riforma della Chiesa, del rinnovamento. Quali sono?

1) regolazione delle nascite: è molto bella nel libro la ricostruzione della Humanae Vitae e sono perfettamente d’accordo sul giudizio duro – perché la verità va servita sempre – in ordine a Paolo VI. Egli spesso non viene affiancato a Wojtyla e a Ratzinger nella loro dimensione di restaurazione o di conservazione, e questo è vero per alcuni aspetti, però è altrettanto vero che sulla Humanae Vitae Paolo VI ha indubbiamente tradito il metodo conciliare: innanzitutto togliendo al Concilio la possibilità di parlare di queste cose (Sandri in due punti lo dice molto bene) e in secondo luogo non attenendosi ai risultati della commissione che prima Giovanni XXIII e poi lui stesso avevano istituito;n2) la questione dell’identità sessuale e dell’omosessualità; 3) ammissione dei divorziati alla comunione; 4) nuova regolazione del divorzio; 5) scarsità del clero. Un inciso: scarsità del clero ma anche scarsità della qualità del giovane clero. Io giro molto l’Italia in questi mesi per via del mio nuovo libro e faccio ripetutamente questa domanda a chi posso, ad amici, teologi, parroci che incontro: «Ma i giovani preti?»; e tutti rispondono che sono molto meno critici, molto più chiusi, molto più conservatori, molto più tradizionalisti del clero di un tempo. Quindi non c’è solo il problema della scarsità quantitativa ma anche di quella qualitativa: manca il fuoco che contraddistingue l’ambiente giovanile; 6) il celibato del clero; 7) la nomina dei vescovi; 8) la collegialità come metodo di governo; 9) la vera e propria rappresentanza del popolo di Dio; una cosa su cui Sandri insiste molto. In che modo si rappresenta il popolo di Dio (che secondo la Lumen Gentium è il vero soggetto ecclesiale)? 10) la questione ecumenica; 11) il dialogo interreligioso; 12) la questione femminile. Su questa, io mi permetto di dire che non sono d’accordo con papa Francesco quando, a qualcuno (se non sbaglio Andrea Tornielli in un’intervista per La Stampa) che gli chiedeva «allora, questo potere, questa importanza del ruolo che vogliamo dare alle donne, può sfociare in un cardinalato? Ci potremmo aspettare delle donne cardinale?», rispose: «Non bisogna clericalizzare le donne». Non sono d’accordo perché si tratterebbe semplicemente di fare il contrario: declericalizzare il cardinalato. Nel libro si dice molto bene che ci sono tante proposte chiare al riguardo; basterebbe infatti aprire il cardinalato ai laici ed ecco che si aprirebbe effettivamente la possibilità per far sì che tutta questa retorica sulle donne che contano tanto (la Madonna che conta più degli Apostoli e così via) poi diventi effettiva capacità di avere potere, perché se non avviene così si tratta solo di retorica sul «genio femminile» e tante cose che abbiamo già sentito molte altre volte. Bisogna diventare concreti; 13) il rispetto dei diritti umani all’interno della Chiesa. Questa è un’altra cosa che emerge nel libro, nelle pagine che riguardano il post-concilio. La Chiesa si fa paladina dei diritti umani nel mondo, in particolare della libertà religiosa, e però al proprio interno non ha libertà religiosa. Spesso i religiosi e le religio- se non hanno una serie di diritti elementari; 14) la libertà di ricerca in ambito teologico; 15) la riforma della curia romana; 16) le questioni bioetiche; 17) la penitenza e il perdono dei peccati. Luigi Sandri all’inizio del libro si chiede: «Fu saggia la scelta della Chiesa di dogmatizzare il cristianesimo?» La mia risposta intuitiva è che, a giudicare dall’esito storico di quella dogmatizzazione, penso si debba rispondere di sì. Insomma: la dogmatizzazione ha consentito al cristianesimo di giungere ai nostri giorni, di diffondersi in tutto il mondo, di essere, nel bene e nel male, la prima religio- ne del pianeta in termini numerici. Occorre però prendere atto che quella stessa formalità che ha costituito la forza del cri- stianesimo in passato, oggi costituisce la sua debolezza. Il problema quindi non è giudicare negativamente il passato. Piuttosto la domanda è questa: «È saggio oggi continuare a mantenere vincolante per l’identità cristiana la dogmatizzazione imposta dal passato? È in grado oggi la sete di spiritualità dell’uomo e della donna contemporanea di reggere ancora mille e passa pagine di pesantezza? Reggere tutto questo fiume, a volte torrentizio, di cose che pesano sulle spalle e che ti portano alla fine all’incapacità di toccare la fluidità della realtà?» È incredibile che spesso le persone dogmatiche, che più vogliono essere fedeli al completo dettato tradizionale, proprio per fare questo sono rese incapaci dal carico dottrinale di toccare la fluidità della vita e quindi di vivere quella che è l’essenza dell’e- sperienza spirituale. Spirito significa vento e il vento è il simbolo per eccellenza della libertà. O c’è questa libertà esistenziale, che viene generata dall’esperienza spirituale, o l’esperienza spirituale muore. Il grande dilemma, che poi genera come epifenomeni tutti i singoli problemi di cui ho detto, dal problema della morale sessuale al perdono dei peccati, è questa pesantezza dogmatica-dottrinale che lungo i secoli si è costruita e che giunge ad essere di impaccio, di impedimento alla genuinità della vita spirituale, alla leggerezza, alla libertà dell’esperienza spirituale. Questo per me è il vero problema, è «il disagio dell’intelligenza» di cui parlava Simone Weil nella famosa lettera che scrisse a un padre domenicano, e che mai ebbe risposta.