Cosa manca alle religioni per accettare l’omosessualità

L'intervento del prof. Vito Mancuso al convegno sull'omosessualità tenutosi martedì 19 maggio 2015 nella Sala Zuccari del Senato della Repubblica 

Schermata 2015-05-18 alle 23.46.06Anche se oggi il giudizio delle religioni sull'omosessualità è per lo più di condanna, qualcosa sta cambiando. È ormai citatissima la frase di papa Francesco del 28 luglio 2013: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? ». Affermazione scioccante perché i Papi, compresi gli immediati predecessori di Francesco, hanno sempre formulato esplicite valutazioni sull'omosessualità, e sempre di condanna. Nel 2006 il Dalai Lama riaffermava la disapprovazione buddhista: «Una coppia gay è venuta a trovarmi cercando il mio appoggio e la mia benedizione: ho dovuto spiegare loro i nostri insegnamenti. Una donna mi ha presentato un'altra donna come sua moglie: sconcertante». Nel 2014 l'approccio è stato diverso: «Se due persone, una coppia, sentono veramente che quel modo è più pratico, più fonte di soddisfazione, e se entrambi sono pienamente d'accordo, allora va bene»…

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Questa Vita

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Un viaggio nel senso profondo dell'esistenza, una celebrazione della forza della natura, un inno di gratitudine alla vita. Dal 23 aprile in libreria per Garzanti Editore

"Questa Vita" in pillole. La presentazione a Vanity Fair [Link]

La vita è un immenso oceano che ci contiene e ci scuote con il continuo movimento delle sue onde, sempre inafferrabile, impossibile da fissare. Ma da dove viene, e quale logica la muove? Vito Mancuso risale alle origini della nascita e dell’evoluzione di questa vita sulla Terra, proponendo una visione della natura che non procede solo per mutazioni casuali e per egoistiche selezioni competitive, ma è soprattutto il frutto di una continua armoniosa aggregazione il cui senso intrinseco è il bene. Da questa visione «drammaticamente ottimista» in cui la nostra esistenza può sussistere solo in relazione con quella degli altri viventi, Mancuso recupera magistralmente la possibilità di una rinnovata analogia tra uomo e mondo. Ne nasce un’etica della nutrizione e dell’ecologia capace di purificare il nostro corpo, meglio proteggere e custodire il pianeta, offrirci criteri per un consapevole esercizio della libertà. In questa prospettiva il valore di un essere umano non dipende da ciò che ha o che sa, ma da quanto riesce a mettersi al servizio di qualcosa di più grande di sé: dalla sua capacità di aprirsi all’altro, di abbracciare, di amare. È la nuova visione del mondo di cui questa vita ha urgente bisogno per tornare a fiorire.

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Quel sentimento di libertà che nasce dal silenzio e dalla bellezza

Dalla Leggenda del Grande Inquisitore ai rischi che corrono le moderne democrazie. Il nuovo saggio di Gustavo Zagrebelsky 

Schermata 2015-05-04 alle 22.14.17La leggenda del grande inquisitore di Fëdor Dostoevskij è ambientata a Siviglia all'indomani di un immenso rogo con più di cento eretici bruciati. Il Cristo è tornato sulla terra ed è riconosciuto dalla folla festante, ma viene fatto prontamente arrestare dal cardinale Grande Inquisitore, il quale poi in piena notte si reca da lui e gli rivolge un lungo discorso per sostenere il merito della correzione della sua opera da parte del potere ecclesiastico al fine di renderla veramente adeguata al governo degli uomini, perché questi, contrariamente a quanto riteneva Cristo, non vogliono essere liberi ma anelano a trovare al più presto qualcuno cui consegnare il dono insidioso della libertà. Dice l’Inquisitore al Cristo: «Abbiamo corretto la tua opera fondandola sul miracolo, sul mistero e sull’autorità». 

Ma ha ragione l’Inquisitore a sostenere che gli uomini non vogliono essere liberi oppure la sua tesi è un ennesimo inganno del potere per giustificare se stesso? Gli uomini vogliono o non vogliono essere liberi? E se lo vogliono, perché c’è il potere? E se non lo vogliono, perché l’ideale della libertà ha tanto fascino su di loro?

Questo nodo concettuale è all’origine dell’ossimoro che fa da titolo al nuovo libro di Gustavo Zagrebelsky, Liberi servi. Può un servo essere libero? E può un uomo libero desiderare di essere servo? Il sottotitolo, L’enigma del potere, rimanda così all’enigma più radicale della libertà di cui il potere è controllo e senza cui non esisterebbe. Ma ancora una volta: che cosa rappresenta per l’essere umano la libertà? È il suo bene più caro o un peso di cui liberarsi? E chi ha ragione: il Cristo che vuole gli uomini liberi, oppure l’Inquisitore che «per il loro bene» si prefigge di liberarli dalla libertà? Sono mirabili le analisi sul testo di Dostoevskij condotte da Zagrebelsky in pagine dense di pensiero e di erudizione eppure mai pesanti o compiaciute ma sempre al servizio dell’intelligenza del lettore. Le si può paragonare a una cascata di variazioni musicali, “Variazioni Dostoevskij”, si potrebbe dire ispirandosi a Bach. E come nelle Variazioni Goldberg c’è un’aria principale cui seguono trenta composizioni tra loro legate ma al contempo indipendenti, così nel libro di Zagrebelsky al centro c’è l’analisi della Leggenda da cui si dipartono riflessioni sul senso della politica, del potere, della religione, della bellezza. Il vertice è raggiunto quando l’autore si chiede chi sia oggi il Grande Inquisitore. Quale potenza oggi amministra «le uniche tre forze capaci di vincere e soggiogare per sempre la coscienza di questi deboli ribelli», cioè «il miracolo, il mistero, l’autorità»? Quali sono i miracoli, i misteri e l’autorità di cui gli umani oggi si nutrono a spese della libertà? …

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Per un’ecologia dell’Io che lega Buddha a Tolstoj

Nell’era delle tecnoscienze solo un altro umanesimo capace di nutrire corpo e mente può salvarci dal nostro ego.

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Credo sia necessaria una nuova visione della Terra generata dalla consapevolezza che il nostro pianeta, ben lungi dall’essere riducibile a materia inerte aggregata da una serie di circostanze casuali, è un immenso e sofisticato ecosistema che deve la sua origine e la sua esistenza alla logica dell’armonia relazionale. Anzi, occorre procedere oltre e approdare alla convinzione, formulata qualche decennio fa dal chimico britannico James Lovelock, che la Terra sia un unico organismo vivente, da Lovelock chiamato Gaia. Qualcuno vedrà in questa affermazione un pericoloso e ingenuo regresso verso l’animismo dei primitivi, ma chi può dire, quando è in gioco la vita, se i primitivi in realtà non siano molto più avanti di noi che siamo abili calcolatori ma sempre più privi di intuizione, di capacità di visione, di poeticità?

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La tragedia del Nepal

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Di fronte alla tragedia del Nepal riporto quanto scrissi il 12 marzo 2011 per orientare la mente di fronte alla catastrofe naturale che aveva colpito il Giappone il giorno prima (con 15.878 morti, 6126 feriti, 2713 dispersi), poi pubblicato in una pagina del "Principio passione". Il Nepal non è il Giappone, ma la dinamica dell'evento è del tutto identica. Ecco quello che scrissi: 

1) Quello che è avvenuto ieri non è qualitativamente diverso da quanto avviene ogni giorno, quando, per esempio, viene al mondo un bambino con una malattia genetica. Certo, le forze in gioco sono quantitativamente incommensurabili, tuttavia il terremoto-tsunami che si abbatte su quella giovane vita e sui suoi genitori è qualitativamente il medesimo del terremoto-tsunami grado 8.9 della scala Richter abbattutosi ieri 11 marzo 2011 sul Giappone. In entrambi i casi è la vittoria del caos, del disordine, del disequilibrio.

2) Quello che è avvenuto ieri e sta avvenendo oggi con la messa in moto a livello mondiale della macchina degli aiuti non è qualitativamente diverso da quanto avviene ogni giorno, quando i genitori e i parenti di un bambino nato con una grave malattia genetica si prendono amorevolmente cura di lui, e con loro la società nelle sue diverse forme, medici e infermieri, scuola e assistenti sociali, amici e associazioni. In entrambi i casi è la vittoria del logos, dell’ordine, dell’equilibrio.

3) Così la nostra vita procede tra caos e logos, tra disordine e ordine, tra entropia e neghentropia. Esiodo nella Teogonia scrive: “Primo fu Caos”; Giovanni nel Quarto Vangelo scrive: “In principio era il Logos”. Chi ha ragione? Entrambi. Se ci fosse solo caos, la vita non sarebbe sorta, saremmo ancora ai gas primordiali dell’inizio, idrogeno ed elio e nulla più, anzi forse neppure idrogeno ed elio perché anche loro per esserci vincono il caos con la loro struttura logica di nucleo + elettroni; e se ci fosse solo caos, nessuno di fronte al terremoto-tsunami si metterebbe in gioco per aiutare gli altri. Ma se ci fosse solo logos, la vita sarebbe diversa: nessuna catastrofe, nessuna malattia genetica, nessuno scatenarsi di forze senza volto, le forze caotiche della natura sarebbero sempre domate da una signoria più potente. 

4) Caos + logos, invece, si danno insieme, ogni manifestazione della vita è una miscela di queste due dimensioni, con il prevalere ora di una, ora dell’altra. Il loro incontro produce la vera, ultima dimensione della realtà, cioè la passione e il lavoro che essa richiede. Goethe ha visto bene quando nel Faust scelse di tradurre il greco del Quarto Vangelo, En arché en ho lógos, con “Im Anfang war die Tat”, “In principio era l’Azione”. L’azione, il dramma, è esattamente ciò che scaturisce dall’incontro tra logos e caos. Se prevalesse solo una delle due dimensioni, non ci sarebbe azione. 

5) Se il caos fosse la dimensione ultima alla quale consegnare la nostra più preziosa energia, nessuno sentirebbe l’impulso ad arginarlo, a vincerlo, a domarlo mediante il logos. L’azione, cioè la lotta del logos contro il caos, a mio avviso dimostra che il nostro orizzonte finale è il logos, ovvero l’armonia e il bene. Tutta l’impresa umana nella sua più alta significatività è lotta contro il caos, è, esattamente in linea con quanto scrive Esiodo, “teogonia”, cioè generazione del divino, nascita della divina armonia dentro di noi per immetterla, così come riusciamo, anche fuori di noi, soprattutto quando ce n’è un estremo bisogno come in queste ore in Giappone.

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Né atea né devota perché la scienza non respinge l’idea di Dio

Schermata 2015-04-09 alle 10.43.26Nella prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura del 1787 Kant scriveva: «Ho dovuto sospendere il sapere per far posto alla fede». Con la delicata espressione “sospendere il sapere” egli intendeva in realtà la demolizione della metafisica da lui attuata con il suo capolavoro pubblicato in prima edizione nel 1781. Quanto alla fede, verso la fine della Critica della ragion pura si legge: «La fede in un Dio e in un altro mondo è a tal punto intrecciata col mio sentimento morale, che non corro un pericolo maggiore di perdere quella di quanto non lo corra di perdere questo». La fede per Kant non ha nulla a che fare con il sapere ma procede dalla morale. Contro questa prospettiva insorse Hegel, il quale nel 1802 scrisse un saggio appositamente intitolato Fede e sapere e dedicò buona parte della sua filosofia a riconciliare la frattura operata da Kant. Così nella Enciclopedia delle scienze filosofiche: «Poiché l’uomo è pensante, né il buon senso né la filosofia si faranno mai persuadere a non elevarsi da e per mezzo della contemplazione empirica del mondo a Dio». E ancora: «Dire che questo trapasso non debba essere fatto, è dire che non si debba pensare». La divisione radicale sul rapporto sapere-fede tra i due più grandi filosofi della modernità, entrambi credenti ed entrambi malvisti dall’ortodossia ecclesiastica, pone la domanda: il sapere rimanda a Dio o è solo tramite il sentimento morale che vi si può giungere?…

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I Martiri della Croce

Schermata 2015-04-03 alle 16.37.49Ci fu un tempo in cui essere cristiani significava stare dalla parte dei vincitori e dei dominatori del mondo. Era l’epoca in cui la croce campeggiava quale emblema di potenza alla testa degli eserciti e delle flotte, e veniva scelta dagli Stati quale simbolo privilegiato per le loro bandiere (per esempio quella inglese e quelle scandinave) e dalle città per i loro stemmi (per esempio Milano, Bologna, Genova). La croce incuteva timore, era il simbolo di un Occidente dominante e signore, che oltre a conquistare il mondo economicamente e militarmente ambiva a farlo suo religiosamente. Durante quei secoli, che grossomodo possono essere collocati dall’inizio delle scoperte geografiche nel 1492 alla fine del colonialismo tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, essere cristiani al di fuori dell’Occidente generalmente non comportava pericoli, anzi significava godere di una qualche recondita posizione di privilegio assegnata istintivamente dalle popolazioni alla religione dei vincitori….

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Intervista a L’accento di Socrate

Schermata 2015-03-13 alle 17.31.53L' intervista di Maria Giovanna Farina affronta i temi trattati in Io Amo Piccola filosofia dell'amore argomenti come la contraccezione, l'aborto, l'omosessualità ma anche l'amore di coppia e per Dio.

D. L'amore è un argomento molto seguito dalle persone perché è una componente imprescindibile della nostra vita. Come contrastare l'edonismo del nostro tempo dove tutto come lei afferma è divertimento?

Non so di preciso come contrastare l'edonismo del nostro tempo perché ci troviamo sottoposti ad una tale pressione da parte dell'industria dell'intrattenimento che fomenta al massimo l'edonismo di cui lei parlava. C'è una tale pressione da provare un senso di sconforto… quello che mi viene in mente è semplicemente la riconduzione degli esseri umani alla nobiltà originaria per quanto sia possibile. Bisogna giocare e insistere molto sull'educazione intesa in senso quasi etimologico.

D. Quindi tirar fuori quello che c'è in ognuno di noi …

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