Fine vita e libertà

PERCHÈ SUL FINE VITA LA DIGNITÀ È LA LIBERA SCELTA

 

Screenshot 2025-06-15 alle 16.14.42

 

Fine vita e libertà  [PDF]

La questione del fine-vita si determina considerando con onestà intellettuale “il fine” della vita. È cioè il fine, inteso come scopo, a disciplinare la fine, intesa come cessazione, quando si tratta della vita. E qual è il fine della vita? Lo chiedo ai politici che devono dare finalmente una legge a questo paese che l’attende da anni: ministri, onorevoli, senatori qual è, secondo voi, il fine della vita? Perché siamo qui? Perché la natura ci ha generati, nell’attesa prima o poi di degenerarci? Ognuno di voi sicuramente avrà le idee chiare al riguardo, ma il punto è che la penserà a modo suo, diversamente non solo dagli avversari politici, ma molto probabilmente anche dagli stessi colleghi di partito. Quando si tratta della questione più importante di tutte che è il senso o il non-senso, e quale senso e quale non-senso, del nostro essere qui, ci ritroviamo così diversi tra noi, persino all’interno della propria famiglia. Il vostro compito, però, è di dare una legge ai cittadini italiani in modo che essa possa essere davvero la legge di tutti, in modo che davvero cioè, come stabilisce una delle tre massime fondamentali del diritto romano, a ciascuno sia concesso ciò che gli spetta: “Unicuique suum”, “A ognuno il suo” (le altre due massime sono: “Alterum non laedere”, e “Honeste vivere”) …

Occorre quindi che voi stabiliate un senso della vita che possa essere accettato da tutti per giungere a pensare una legge sulla fine della vita che allo stesso modo possa essere la legge di tutti, nella quale cioè tutti i cittadini italiani possano riconoscere l’equa volontà dello Stato di dare a ognuno “il suo”, cioè di trattarlo nell’ultimo decisivo momento della sua esistenza in modo conforme al suo credo, ai suoi valori, alla sua dignità, alla sua condizione. Torno quindi a porre la questione: qual è, secondo voi, il fine della vita? 

Guardandola nel suo svolgimento concreto senza visioni ideologicamente condizionate, guardandola cioè quale ogni giorno si dispiega davanti agli occhi di tutti noi, io penso che non sia possibile individuare nella vita una logica univoca che si impone necessariamente a tutti e che poi possa costituire la base dell’etica e del diritto. Basta infatti porre questa domanda per renderci conto della nostra incapacità: è giusta la vita? Lo chiedo a voi che detenete il potere e che siete chiamati a dare una legge sul fine-vita a questo nostro paese: è giusta la vita verso i viventi? Oppure è ingiusta, e persino tirannica? Oppure a volte è giusta e a volte no, con il risultato di essere arbitraria, caotica, capricciosa, e quindi di non contenere nessun punto fermo in base a cui costruire una norma del nostro comportamento verso di essa? È stata giusta la vita verso Daniele Pieroni (di cui ieri è stata diffusa la notizia della morte per suicidio assistito avvenuta il 17 maggio) che dal 2008 soffriva del morbo di Parkinson e che grazie alla legge della regione Toscana ha potuto scegliere di smettere di soffrire?  E se la vita non è sempre giusta verso i viventi (come non lo è stata verso Daniele, e verso Eluana, Pier Giorgio e tutti gli altri, ricordate?) perché tutti i viventi dovrebbero “sempre” esserlo verso di lei? Se la vita talora non li rispetta, perché i viventi dovrebbero essere tenuti “sempre” a rispettare lei? 

Qui entrano in gioco le nostre visioni del mondo, così diverse tra loro. Per alcuni le sofferenze che provengono dalla vita non costituiscono in nessun modo un motivo per andarsene da essa, ma, esattamente al contrario, invitano a rimanervi e ad accettarle in quanto occasione di purificazione, di espiazione, di sacrificio per il bene di altri. Sono sentimenti nobilissimi, e se qualcuno pensasse che lo Stato non si può permettere di investire risorse e posti letto negli ospedali per permettere a chi lo desidera di vivere la propria fine in questo modo, sarebbe completamente da condannare in quanto irrispettoso della libertà altrui. Lo stesso, però, vale per chi volesse costringere a questa accettazione della sofferenza anche coloro che hanno una visione del mondo e di se stessi completamente diversa, tale da non rintracciare nelle sofferenze nessun disegno e nessuno scopo. Voi cosa ne pensate, senatori e onorevoli? Quale idea avete della sofferenza e del suo senso? Cosa fareste se dovesse capitare a voi di vivere per anni in condizioni sempre più disabilitanti, fino a dipendere totalmente dagli altri e dalle macchine? Vorreste avere la possibilità di scegliere se dire “ancora” e quella contraria ma complementare di dire “basta”?    

Io sono giunto alla conclusione che, a chi voglia essere davvero onesto e razionale nella considerazione della vita, una cosa si imponga: il rispetto della visione altrui. Vi sono infatti mille elementi per negare un senso alla vita, e mille altri per riconoscerlo. Anche la Bibbia presenta elementi in una direzione e nell’altra. Scrive un libro biblico a proposito degli esseri umani: “Essi di per sé sono bestie, infatti la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa: come muoiono queste, così muoiono quelli; c’è un soffio vitale per tutti” (Qoelet 3,18-19). Sembra di sentire gli esponenti del naturalismo contemporaneo che non rintracciano nessuna differenza tra gli esseri umani e gli altri viventi, animali e vegetali. Scrive un altro libro biblico sempre a proposito degli esseri umani: “Dio li rivestì di una forza pari alla sua e a sua immagine li formò. In ogni vivente infuse il timore dell’uomo perché dominasse sulle bestie e sugli uccelli… Pose davanti a loro la scienza e diede loro in eredità la legge della vita” (Siracide 17,3-4 e 11). Qui al contrario la differenza tra gli esseri umani e gli altri viventi è immensa e consiste nel fatto che gli esseri umani hanno ricevuto in eredità “la legge della vita”. Quale? La libertà. È infatti sulla base della libertà che lo stesso autore biblico, che si chiamava Gesù ben Sira e che visse circa due secoli prima di Gesù, giunge a dichiarare poco dopo: “Meglio la morte che una vita amara, il riposo eterno che una malattia cronica” (Siracide 30,17). La libertà è tale che ti consente di scegliere anche la tua fine. 

Sempre stando alla Bibbia, in essa non c’è mai una condanna del suicidio. In diversi luoghi si narrano casi di suicidio, ma mai il testo sacro prende una netta posizione di condanna verso chi l’ha commesso, neppure nel caso di Giuda. L’hanno osservato nel Novecento i maggiori teologi contemporanei, tra cui Karl Barth, Dietrich Bonhoeffer, Hans Küng. Scrive Barth: “Il suicidio non viene mai esplicitamente vietato nella Bibbia”, il che, aggiunge, è “un fatto veramente seccante per tutti quelli che volessero comprenderla e servirsene in senso morale!”. Anzi un suicida, per l’esattezza Sansone, viene perfino ricordato dal Nuovo Testamento tra i padri della fede. Non devono quindi stupire le parole del Siracide richiamate sopra sul fatto che sia “meglio la morte che una vita amara, il riposo eterno che una malattia cronica”. 

Nel discorso della montagna Gesù disse: “Non giudicare”. Se c’è una situazione nella quale hanno senso queste sagge parole, questa riguarda il momento in cui un essere umano sceglie di porre fine alla sua vita. Tra i grandi filosofi vi è chi condanna il suicidio (Platone, Aristotele, Kant, Hegel) e chi no (Epicuro, Seneca, Montaigne, Nietzsche). Jaspers durante gli anni del nazismo girava sempre munito di una fiala di cianuro pronto a farne uso nel caso che lui e la moglie Gertrud, ebrea, fossero stati arrestati. 

Dopo aver dedicato la vita a studiare la natura per afferrarne la logica, Darwin giunse a scrivere in una lettera a Hooker del 1870: “Non posso guardare all’universo come al risultato di un cieco caso. Tuttavia non posso vedere nessuna prova di un disegno benevolo”. Ecco, ancora una volta, il principio-contraddizione: né caso né disegno, ovvero un po’ l’uno e un po’ altro, ovvero ancora una volta la libertà che ci spinge a pensare e poi a scegliere.

Il fine della vita è la base su cui legiferare degnamente a proposito del fine-vita e l’unico fine che appare dal contrasto tra le diverse prospettive è la libertà. La mancanza di un fine univoco che si imponga a tutti i viventi con la medesima chiarezza indica che il fine principale per il quale ognuno di noi è al mondo è l’esercizio responsabile della propria libertà. Il che significa autodeterminazione. A maggior ragione quando si tratta della propria esistenza.

Il senso dell’esistenza umana consiste in una continuo esercizio della libertà. Voi stessi, senatori e onorevoli, ne siete un segno con il vostro far parte di un libero parlamento scaturito da libere elezioni e chiamato a deliberare liberamente e responsabilmente sui problemi dei cittadini. E in questa prospettiva vi ricordo le seguenti parole del cardinal Martini: “È importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità umana, dignità che nella visione cristiana e di molte religioni comporta una apertura alla vita eterna che Dio promette all’uomo. Possiamo dire che sta qui la definitiva dignità della persona… La vita fisica va dunque rispettata e difesa, ma non è il valore supremo e assoluto”. Qual è invece il valore supremo e assoluto? È la dignità della vita che si compie come libertà di poter decidere di sé. Vi prego, quindi: agite in coscienza e date a tutti i cittadini italiani una legge che rispetti la loro libertà. 

Vito Mancuso, La Stampa 15 giugno 2025