Mox post mortem

L’INCONTRO CON L’ETERNO DI BERGOGLIO E IL BISOGNO UMANO DI CELEBRARE UN RITO

Il funerale ha senso solo per chi abita la storia. Papa Francesco oggi non esiste più, al vaglio del divino c’è la più intima individualità di Jorge Mario.

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Ha scritto Pascal a metà del Seicento: “Alla fine ci gettano un po’ di terra sulla testa ed eccoci sistemati per sempre”. Così quel grande matematico e filosofo francese, fervente cristiano, dava voce al sentimento del mondo di fronte alla morte. A papa Francesco la terra non è stata gettata direttamente sulla testa ma sulla bara, ma, per quanto concerne ciò che attestano i sensi, la sostanza non cambia: “sistemato per sempre” …

Le religioni però, e anche alcune filosofie (tra cui in primo luogo quelle originate dal filone Pitagora-Socrate-Platone), annunciano un’altra cosa: che l’anima è immortale e, se trovata giusta, entra nella vita eterna. Sul finire del medioevo, nel 1336, papa Benedetto XII pubblica una costituzione dogmatica (cioè il documento papale di più alto valore dottrinale, ben superiore all’enciclica) che intitola Benedictus Deus e di cui scrive che sarebbe stata “in perpetuum valitura”, “valida per sempre”. In essa, contro il papa precedente Giovanni XXII che aveva posticipato la visione beatifica a dopo la risurrezione della carne riservando nel frattempo alle anime un letargo simile alla morte, Benedetto XII stabilisce che la visione beatifica per le anime dei giusti avviene “mox post mortem”, “subito dopo la morte”. Ancora prima, naturalmente, avviene il giudizio emesso dal principio primo e ultimo del mondo comunemente denominato “Dio”. Ma come possiamo raffigurarci questo “giudizio”? E come questa “visione beatifica”?

Ognuno di noi quando muore lascia tutto: non solo il corpo e i beni terreni, ma anche gli affetti, la cultura acquisita, le cariche accumulate e tutte le altre conquiste temporali. Lo stesso è avvenuto per papa Francesco, il quale, proprio per questo, ora non è più “papa”, essendo stato il suo essere papa una creazione del tempo ed essendo il tempo giunto alla fine per lui, ma è tornato a essere semplicemente Jorge Mario Bergoglio. Di fronte all’irrompere della morte (cioè o del nulla eterno o dell’essere eterno, ma in ogni caso “dell’eterno” come radicalmente distinto del tempo) secondo le religioni e alcune filosofie resiste solo l'essenza più pura della personalità così come essa si è venuta a configurare lungo la vita: chi ha operato per il bene ha dato una determinata forma alla propria interiorità, chi diversamente un'altra forma. È quello che l’umanità ha sempre avvertito, a partire dagli antichi egizi con il mito della psicostasia o pesatura dell’anima, che rivive nel medioevo cristiano sostituendo il dio Osiride con l’arcangelo Michele. 

Ora, venendo al giudizio divino, ci si immagini che la forma acquisita dalla personalità possa essere sintetizzata in un ologramma, in una specie di “QR code”, e che tale codice venga letto alla velocità della luce dallo scanner celeste dell’occhio divino, consentendo oppure no l'ingresso nella vita eterna. Ecco il giudizio divino: in meno di una frazione di secondo, l'eterno legge ogni essere umano e lo riconosce per suo, oppure no. 

Tutto questo per dire che papa Francesco con il suo funerale di ieri non ha avuto nulla a che fare. Né nessun altro essere umano prima di lui ha mai avuto nulla a che fare con il proprio funerale, perché non è possibile nessuna relazione tra un evento temporale e chi non è più tempo ma è entrato nell’eternità.

Papa Francesco, quindi, non esiste più: egli è stato una creazione della storia che la storia stessa, alla fine, ha consumato. Esiste unicamente la più intima individualità di Jorge Mario Bergoglio ed è questa individualità che il giudizio divino ha scannerizzato mox post mortem, vagliandone la conformità alla logica che presiede il farsi del mondo, quella logica dell’armonia relazionale esemplificata al meglio dalla parabola di Gesù sul giudizio universale e che il vangelo chiama “logos”, l’ebraismo “hochmà”, la grecità “sophia”, l’oriente “dharma” o “tao”. E com’è stato per lui e per gli innumerevoli esseri umani che l’hanno preceduto, così sarà per ognuno di noi, quando l'eterno al momento della nostra morte ci avvolgerà. In quell’istante ciò che potrà essere “scannerizzato” sarà solo ciò che avrà resistito al passaggio dell'angelo sterminatore del tempo, vale a dire solo ciò che di noi avrà acquisito il sapore dell’eterno. Del tutto a prescindere se papa o cardinale, o ministro o presidente, o credente o non credente, l'interiorità più segreta di ogni singolo è destinata a essere vagliata dalla logica del bene, la logica di Dio.  

Naturalmente, se il funerale non ha avuto senso per Jorge Mario Bergoglio, l'ha avuto e in modo molto rilevante per tutti noi che ancora abitiamo la storia. Per i viventi il senso di ogni funerale consiste nella seguente triplice funzione: 1) manifestazione dell’affetto verso il defunto; 2) consolazione dei parenti; 3) rito che riunisce gli esseri umani mettendoli in grado di affrontare l'irrompere sempre terribile della morte.

Per quanto attiene al primo punto, il funerale celebrato ieri ha consentito ai potenti della terra e ai semplici fedeli il pubblico omaggio al Papa defunto e ha costituito un grandissimo atto di vicinanza, di affetto e di riconoscenza per papa Francesco. Non per Bergoglio, in questo caso, ma proprio per papa Francesco, cioè per la carica istituzionale che Bergoglio ha impersonato nei suoi ultimi dodici anni di vita dopo essere stato eletto nel conclave del 2013. Per quanto attiene al secondo punto, di certo ben poche persone risultano inconsolabili per la morte di papa Francesco, non vi sono familiari la cui vita è stata tragicamente lacerata dalla sua scomparsa, e anche per i fedeli più devoti che ne baciano commossi la foto stretta nelle mani la morte del Papa non è lontanamente paragonabile al dolore inconsolabile di chi perde un figlio o una figlia. Rimane comunque la tristezza di moltissime persone per il fatto che papa Francesco non ci sia più e questa tristezza il funerale di ieri ha contribuito certamente a sublimare. Alla base di ogni funerale vi è infine la necessità umana di avere un rito per poter affrontare il volto terribile della vita, lo testimonia il fatto che non esiste civiltà che non abbia riti funebri. Penso si possa affermare che i tre scopi alla base della ritualità funebre ieri siano stati ampiamente raggiunti.

È rimasta inevasa però la questione della “visione beatifica”, dell’incontro con l’eterno da parte dell’anima. È su tale possibile incontro, infatti, che si gioca il senso della religione, di ogni religione. Nel definire la consistenza della visione beatifica, papa Benedetto XII scrisse nella sua costituzione dogmatica che le anime “vedono l’essenza divina con una visione intuitiva e, più ancora, faccia a faccia, senza che ci sia la mediazione di nessuna creatura, rivelandosi a loro l’essenza divina in modo immediato, scoperto, chiaro e palese”. Ciò che risulta da queste parole non appare molto entusiasmante, in quanto prefigura una specie di interminabile “cinema paradiso” con la stessa scena ripetuta all’infinito, il che, se fosse davvero così, costituirebbe una specie di prigione dorata dell’anima individuale privata di libertà e di creatività. No, sono necessarie altre immagini e altre metafore, ci vuole meno dogmatica e più poesia, per prefigurare anche solo lontanamente il contenuto della vita eterna. Peccato che papa Francesco abbia dedicato la sua immaginazione creativa più alla dimensione orizzontale della fede e meno a quella verticale (così il cardinal Ravasi: “Francesco ha parlato poco della trascendenza, la sua parola è scesa nelle piazze, nelle periferie, in sintonia e in simpatia con il mondo”, Corriere della Sera, 23 aprile 2025), perché proprio il mondo oggi ha bisogno non solo di solidarietà umana ma anche di ritrovare la grammatica adatta per tornare a poter leggere il mistero da cui veniamo e in cui siamo destinati a confluire. Anzi, mentre la solidarietà può essere praticata con la stessa passione anche dai non credenti, sono solo i credenti a poter riscoprire come pensare oggi la vita eterna. Il punto di partenza per farlo sono, a mio avviso, queste parole di Wittgenstein: “La soluzione dell’enigma della vita nello spazio e nel tempo è al di là dello spazio e del tempo”. Il filosofo scrisse in corsivo “al di là” a sottolinearne l’importanza decisiva. Quel “al di là” in cui adesso vive e gioisce la grande anima di Jorge Mario Bergoglio.   

Vito Mancuso, La Stampa 27 aprile 2025