Il senso dell’esistenza consiste nella libertà

La politica deve garantire l'autodeterminazione

Per il teologo Vito Mancuso il caso di Trieste rappresenta un passo avanti: «Giusto consentire a chi si sente lacerato di metter fine alla tortura» 

Intervista al prof. Vito Mancuso di Marco Ballico per il Piccolo di Trieste

Fine vita intervista al Piccolo [PDF]

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Chi crede in Dio e insieme guarda al mondo per quello che è non può fare a meno di vedere lo svolgimento di un dramma sul corpo di quella giovane donna i cui protagonisti principali sono il suo padre terreno e il suo Padre celeste». Così Vito Mancuso, nel luglio 2008, scriveva nelle sue riflessioni che partivano dal caso di Eluana Englaro. Il teologo che si dichiara favorevole al principio di autodeterminazione per il fine vita non si sottrae nemmeno oggi a un commento sul via libera alla signora Anna di decidere sui suoi prossimi passi: «Da sempre sostengo che il senso della vita umana consiste nella libertà. Sento dunque che quello che sta accadendo a Trieste rappresenta un passo avanti». 

Mancuso, perché dire sì alla libertà di scegliere? 

«Penso che il senso del nostro essere qui, con un inizio e con una fine, sia quello di incrementare il massimo di consapevolezza, creatività e responsabilità. Messe insieme queste tre cose, si ha la libertà matura. Altra cosa è la libertà come arbitrio, che fa quello che vuole» …

Il caso della triestina Anna rappresenta un passo avanti verso dove? 

«Appunto verso la pienezza della libertà concessa ai cittadini italiani. Non siamo davanti a una decisione avventata, presa senza pensare, se consideriamo che la signora è affetta da sclerosi multipla ormai dal 2010 e ha a che fare con un corpo che la tradisce. Quella di Anna è una scelta consapevole, responsabile». 

Come nasce una scelta del genere?

«Tra la dimensione psichica-emotiva che vorrebbe continuare a vivere e quella fisica che va invece nella direzione opposta non c’è più armonia. Una persona si sente lacerata. E quando questa lacerazione è insostenibile, al punto da diventare una tortura, si decide di mettere una fine. Il mio sentimento di essere umano e il mio ragionamento di teologo laico e di filosofo non possono che essere di approvazione». 

È ancora troppo lungo il percorso in Italia per arrivare alla conclusione di una vita tanto tormentata? 

«Non sono esperto né di politica né di giurisprudenza. Preferisco parlare di idee e di sentimenti. Sotto questo profilo, non credo sia un percorso lungo. Suppongo che la grande parte del popolo italiano guardi a quella di Anna come a una scelta da rispettare e da favorire per chiunque altro sia nelle condizioni di doverla fare. Il problema, ed in questo consiste il compito della politica, è tradurre tutto questo in leggi adeguate. Ed eventualmente rendere più agevole il percorso». 

Ma alla politica che cosa si sente di dire? 

«Di non guardare ai centri di potere, preoccupati di posizioni e schieramenti superati, ma di ascoltare il sentire comune. A partire dal proprio. Se si mettesse la mano sul cuore, la politica stessa capirebbe che il nostro tempo ha bisogno di una norma che consenta a ogni cittadino di potersi autodeterminare e che, anzi, lo aiuti a farlo». 

Che cosa intende per autodeterminazione?

«Una vita da protagonisti, da essere umani liberi e responsabili, tutti i giorni della vita, compreso l’ultimo». 

Che peso ha avuto nel dibattito sul fine vita il caso di Eluana? 

«Molto significativo. Il padre Beppino Englaro è stato uno straordinario apripista nelle coscienze di molti italiani. Quella vicenda ha fatto pensare tante persone. Senza pressioni o pregiudizi». 

Una decina di anni fa, in un suo intervento pubblicato su Repubblica, citò una sollecitazione di Papa Francesco sulla qualità della vita. Qual è oggi il pensiero della Chiesa cattolica? 

«È un pensiero prigioniero di impostazioni che potevano avere un senso nel passato, quando c’era una maniera di intendere la libertà, il legame con il corpo, il rapporto dell’uomo con la natura diverso rispetto a quello che viviamo ai nostri giorni. Adesso il problema della Chiesa è di essere fedeli alla coscienza contemporanea e di riuscire a comporre questa spiritualità vera con i pronunciamenti dottrinali. Un dilemma non nuovo, non è una situazione semplice». 

C’è un modello al quale guardare per il fine vita? 

«La Svizzera mi pare il Paese delle libertà civili. Il posto dove i cittadini si sentono più tutelati dal governo. Senza idealizzare nessuno, è in Svizzera che è più vivo che altrove il senso della partecipazione diretta, della libertà effettiva».