Vito alle Xgiornate di Brescia

«Il senso della vita si trova lavorando per essere felici»
Intervista di Lara Minelli per Bresciaoggi.it martedì 21 settembre 2021

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Intervista Xgiornate Bresciaoggi.it [PDF]  Recensione Xgiornate Brescia 2021 [PDF]

Dall’origine della parola al senso della vita. Profonde riflessioni per riscoprire il proprio senso. Indaga Vito Mancuso, celebre teologo, filosofo e accademico. I suoi scritti sono tradotti in più lingue. Il suo pensiero è spesso al centro di discussioni per le posizioni non sempre allineate con le istituzioni ecclesiastiche. La coerenza anima le sue pubblicazioni come i suoi interventi. È stato ospite del festival le XGiornate, per incontrare nuovamente il pubblico bresciano …

Lei che è un cultore della parola, come si pone dinanzi all’imbarbarimento del linguaggio di oggi e al conseguente spaesamento? Come immagina la nostra lingua domani?

Difficile fare previsioni. A mio parere all’evoluzione non ci si deve chiudere. È giusto che la lingua evolva e sia più aderente possibile alla realtà. Il linguaggio è vero nella misura in cui serve il reale. Una lingua che non evolve mostra una mente statica. Ovviamente bisogna valutare caso per caso.

Che rapporto c’è con la lingua di ieri?

Ieri è essenziale: non si possono cancellare le radici. Tutto è un’unica evoluzione. Cresce soltanto ciò che ha radici profonde.

Per questo l’etimologia è importante?

Sì, i frutti sono tali, perché provengono da radici sane. Una competizione tra il frutto e la radice è profondamente sbagliata.

Un esempio?

L’inglese, la lingua più diffusa proprio per questo. La cultura inglese è una grande conservatrice, ma aperta anche al nuovo. Un nuovo con radici nel passato. È questa la via da seguire.

Il primo verso del Vangelo di Giovanni dice che «in principio era il verbo», il logos, ancor prima della Creazione. Come si relaziona rispetto alla sinergia di Marco Aurelio?

Credo sia impoverente tradurre logos con parola. Verbo era già meglio, perchè si collega alla dinamicità della parola. È molto di più. Cito Goethe nel Faust: per tradurre usa Sinn, pensiero, poi Kraft, forza, ma è con Tat, azione, che trova la traduzione.

Ed è corretto? All’origine l’azione?

Azione e relazione. È la relazione che produce sistemi. Sempre. Così si spiega la Creazione. L’azione che lega gli esseri in armonia.

Quindi la sinergia di Marco Aurelio?

Sì, azione come dinamicità. Con questa visione si spiega il logos, il principio originario del tutto.

E che non si esaurisce.

È sempre in movimento: le nostre vite fioriscono secondo questa logica originaria e dinamica di azione e relazione.

Si spera così il senso della vita?

Certamente possiamo dire che il senso della vita sia la relazione. Due teorie: «Non c’è senso senza consenso», e citando ancora Marco Aurelio «Siamo nati per la sinergia». Impossibile non trovare un senso alla propria vita. È la coscienza che si apre e lavora. Più lo fa, più il senso si manifesta. Aristotele diceva: «Siamo animali sociali». Il nostro senso non si ottiene nella solitudine.

Ed oggi come si riscopre? Si parla di crisi di identità e disorientamento di valori.

«Riprendi in mano la tua vita e diventa padrone del tuo tempo». Lo riassumerei così con Seneca nella lettera a Lucilio.

Seneca dice anche che la vita non sia breve, ma sprecata con azioni futili. Come contrastare questa tendenza?

Con l’impegno, rivendicando il tempo e dandogli valore. Rendersi conto che c’è sempre qualcosa di più grande, un dono gratuito, che agirà per e su noi.

Dio?

 Dio o chi per Lui. La teologia parla di «manifestazione di grazia». Ognuno trova il suo «qualcosa». Può essere anche laico, una passione. Questo è il senso della vita con la maiuscola. Sei sempre tu e qualcos’altro che agisce per te e con te. È come un sorriso, un regalo che la vita ci fa.

Si raggiunge così la felicità?

Sì, permette di conoscere la gioia di vivere. Perchè questo diventa uno stile, il nostro modo di vivere la vita. Non sembra facile. Non lo è. Lo scopo è trasformare la propria interiorità in nome di quella logica dell’armonia data dalla relazione. Più mi avvicino a quello stadio primordiale, più raggiungo la mia autenticità.

E quindi con la felicità avrò trovato il mio senso.

Esattamente. Ognuno trova il proprio, ma bisogna lavorarci. È un lavoro interiore sul proprio sé, non facile, ma fondamentale.

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«SPREGIUDICATEZZA? Non l’amo, a meno che …»

Spregiudicatezza; da un lato libertà dal pregiudizio e dagli schemi, dall’altro spavalderia ed incoscienza. Molti la definiscono un intellettuale spavaldo, si riconosce nella misura in cui è per Lei la spregiudicatezza?

«È una parola molto ambigua e non mi piace molto. Se intesa come libertà ed onestà intellettuale, non appartenere agli schemi dell’istituzione, pensare con la propria testa, allora sì, sono spregiudicato, ma ribadisco, non mi piace. Se invece è intesa come agire senza giudizio, senza che ci sia stata ponderazione, no. È il contrario di ciò che faccio. Vedo la spregiudicatezza anche come sinonimo di irriverenza. Mi ci posso riconoscere nella misura in cui non mi ritengo sottomesso a priori al principio autorità, sia che essa sia della Papa, del Presidente o di chiunque altro. Io analizzo sempre, medito ed esprimo il mio parere. È questo ciò che dovrebbe fare un buon filosofo e teologo. Meditare, soppesare. Fare teologia oggi non ha più seguito sulla coscienza contemporanea. Serve argomentare, pensare, sempre e comunque».
Vito Mancuso