Custodire il bene comune può salvarci dalla pandemia?

Il teologo e filosofo Vito Mancuso risponde alle nostre domande sul significato della parola del momento e ci offre un “vaccino” per l’anima.

Intervista di Rosy Matrangolo per Crescita Personale 20.3.2020

Schermata 2015-07-16 alle 16.29.40

Sappiamo tutto sul coronavirus: come e quando si è originata l’epidemia, con che tempi si espande, come si manifesta e come limitare il suo propagarsi. Abbiamo familiarizzato con gli andamenti statistici e le cifre di quest’emergenza sanitaria. Ma Covid-19 è solo l’ultima delle calamità che da sempre spaventano l’anima: la paura morde gli uomini e quando non incute rispetto, minaccia terrore. Ne abbiamo parlato con Vito Mancuso, teologo e filosofo già docente all’Università degli Studi di Padova e all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, oggi scrittore di successo.

Siamo abituati a pensare a calamità ed epidemie come espressioni di una volontà superiore. Perché?

Fin dall'antichità gli esseri umani hanno avuto consapevolezza di essere al cospetto di potenze più grandi delle loro forze e questo è il motivo che ha portato i popoli di tutti i tempi a parlare di divinità cui compete la responsabilità di quello che sfugge al controllo dell'uomo, nel bene e nel male. Nella tradizione classica le malattie o i venti contrari che non facevano partire le navi erano considerate avversità originate dagli dei secondo diverse letture: erano castighi inviati dall’alto, ma potevano anche essere considerati come segnali, avvertimenti per gli uomini. Nel libro “Il dolore innocente. L’handicap, la natura e Dio” ho sondato le spiegazioni delle diverse dottrine di fronte alle malattie genetiche, “epidemie” nate nel ventre materno: Cicerone ricordava come questi infanti venissero chiamati mostri proprio perché in loro era mostrato quale fosse il volere divino.
Il Cristianesimo non si distingue dall’ipotesi classica: anche qui le epidemie erano viste come punizioni, segnali, o ancora come prove per rafforzare o purificare la fede. Nel ’53 Don Gnocchi scrisse “La pedagogia del dolore innocente” a rimarcare l’aspetto dell’insegnamento che dalla calamità si può trarre.  Questo aspetto è presente nelle religioni semitiche e abramitiche. Ho letto, proprio a riguardo del Coronavirus, di un Imam iraniano che avrebbe giustificato come questo virus si sia diffuso in Cina perché Paese che discrimina la religione musulmana e pare che adesso proprio questo Imam sia stato colpito dalla stessa malattia. La mente ha bisogno di trovare una spiegazione. In questi giorni mi sono imbattuto in teorie secondo cui questa pandemia sarebbe frutto della ribellione della Terra contro l'imperversare dell'antropocentrismo, contro gli esseri umani che sono troppi, vivono male e inquinano. E’ una versione riveduta della teoria del castigo da parte della “religione” dei nostri giorni: in questo caso la potenza più grande che infligge il castigo è Gaia, la Terra. Ed ecco che si è ottenuta una spiegazione …

Se accendiamo la tv o sfogliamo un giornale sono scienziati e governanti a darci indicazioni ma non spiegazioni.

La scienza, nella misura in cui è scienza, si ferma al "come", alla spiegazione delle cause scientifiche fisico-biologiche. Questo fa la scienza. Quando uno scienziato tenta di dare una risposta complessiva sul significato e sul perché delle cose, si sveste del "camice" e inizia a riflettere, a fare una speculazione filosofica su cui un altro scienziato, con cui magari condivide totalmente i dati riguardanti il come, può non trovarsi d’accordo. Il significato complessivo è il campo della riflessione filosofica e teologica, nella misura in cui cui la Teologia si configura come esercizio della sapienza e non come dottrina scritturistica che non vuole riflettere ma solo dimostrare la verità dei suoi testi sacri. Il compito del pensiero è dare un senso complessivo. La mia visione della natura mi porta a pensare al mondo come a un processo che procede per esperimenti, a volte privilegiando l’armonia a volte la disarmonia. Siamo in un processo evolutivo che non è da pensarsi come una linea retta in cui tutto quello che avviene conduce necessariamente verso il bene e verso il meglio.  È da pensarsi, piuttosto, come una spirale: complessivamente il disegno è una evoluzione positiva, in salita, ma è inevitabile che ci siano delle discese. Abbiamo avuto 5 estinzioni di massa e nonostante questo – o forse anche grazie a questo – la vita ha ripreso con grande forza e non ha interrotto finora il suo cammino evolutivo verso una maggiore complessità. Questa non è una lettura nuova, la si può applicare alle pestilenze ed epidemie di ogni tempo, a cominciare da quella narrata da Tucidide. Siamo all'interno di un esperimento dove se nel genere umano crea benessere il più delle volte, a volte crea conflitto, a volte un durissimo conflitto tra specie viventi come nel caso delle epidemie. Questa è una lettura della natura, che definirei "ottimismo drammatico".

Tutti stiamo convivendo con la paura. Dove trovare rassicurazione e consolazione?

Mi piace pensare a un classico della filosofia occidentale: "La consolazione della filosofia" di Severino Boezio. Oggi ai più sembra che la consolazione sia una cosa spregiativa perché pensano che non abbia a che fare con la verità, che sia un'illusione per l'appunto consolatoria. Eppure si può avere una visione della realtà e cadere nella disperazione, così come si può avere visione della medesima realtà e non cadere nella disperazione ma coltivare la speranza e agire di conseguenza con energia positiva incrementando il bene del sistema. Noi non siamo riducibili alla nostra visione della realtà. Tra noi e la realtà c'è la nostra anima, e se a qualcuno non piace il termine anima, si può dire "psiche, coraggio, interiorità, coscienza”. L'umanità si gioca in quello spazio di libertà, di vuoto, tra noi e l'attestazione della realtà. Ci si può lasciare inchiodare dall'attestazione della realtà e rimanere come raggelati, non fare nulla e cadere nella disperazione. Viceversa, si può coltivare un'altra dimensione, quella di chi rispetto all’osservazione di una realtà problematica sa trarre forze interiori e genera un processo di creatività, d’investimento di energia positiva, di lavoro (termine che mi piace molto), d’immissione di ordine, di lotta contro l’entropia. Possiamo riconoscerci la capacità di produrre lavoro interiore, mettere ordine nelle nostre anime, eliminare le tossine, le idee disgregatrici e così riuscire a non farci sommergere dalla realtà e a trarre carburante dai pozzi profondi dell'interiorità e lavorare. L'umanità ha saputo farlo. I nostri predecessori hanno saputo farlo, penso ai nostri genitori o ai nostri nonni alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Se noi abbiamo un mondo con tanti diritti, non senza problemi ma tutto sommato il migliore dei mondi rispetto a tutti quelli passati, è grazie al lavoro di altri. Camminiamo sulle spalle del lavoro di altri, di quelli che hanno saputo “lavorare” combattendo l’entropia e il pessimismo esistenziale.

Chi ascoltare, allora?

La scienza, quando si tratta di dati. La sapienza, quando si tratta di motivazioni. E' il compito che definisco sapienziale, il quale spetta alle discipline che sanno parlare non al nostro intelletto, ma alla nostra ragione. La distinzione tra intelletto e ragione introdotta da Kant è decisiva. L’intelletto è nutrito dalla dimensione scientifica, logica, analitica e fornisce sapere e conoscenza. La ragione riguarda la dimensione filosofica, sintetica, simbolica e fornisce il significato, il senso, dei dati forniti dall’intelletto prefigurando percorsi su cui camminare. Abbiamo bisogno di motivazioni per non rimanere fermi ai dati puri e semplici. Questo è il lavoro della ragione in quanto sapienza. Lei mi chiedeva chi ascoltare. A questo livello io rispondo indicando la filosofia che si occupa di gradi domande, ma anche la letteratura, la poesia, e ovviamente l'arte, sia quella figurativa sia quella musicale: l'arte generando il contatto con la bellezza che può essere grande occasione per ritrovare coraggio e motivazione. E poi ci sono naturalmente le spiritualità, le religioni, sempre alla condizione che vogliano contribuire all'umanesimo e non approfittare di questa prospettiva per schiacciare le persone sui loro peccati. Sono queste le figure che io chiamo generatrici di sapienza. Tutti noi abbiamo bisogno di sapienza oltre che di conoscenza, di significati oltre che di dati.

Ritiene che ciò stia avvenendo sui principali mezzi di informazione ai tempi del coronavirus?

Il mio osservatorio è limitato. Leggo alcuni giornali (Corriere e Repubblica e oline Il Post) e da qui mi pare di poter dire di sì. Gli editoriali offrono dimensioni di questo tipo. L'informazione deve informare, appunto, dare dati, notizie. Poi ci sono le riflessioni di psicanalisti, scrittori, artisti che permettono di fermarci sul significato umano di questo momento e a volte sono uno stimolo per diventare migliori. Io sono soddisfatto, ho trovato serietà e competenza, almeno sui grandi giornali.

#iorestoacasa e raccoglimento interiore. E’ possibile?

Siamo di fronte a una situazione limite e come in tutte le situazioni limite emergono gli estremi del fenomeno umano, gli atti peggiori e i più meschini ma anche i migliori, come la generosità e l’altruismo, talvolta un vero e proprio eroismo. Lei mi chiedeva del raccoglimento. Vede, la dimensione contemplativa è a mio avviso un aspetto importante e imperdibile della vita di ciascuno. Non è solo appannaggio del credente, ma di ogni essere pensante. E questo tempo può, per chi lo sa interpretare, aiutarci a riscoprire questa dimensione umana. In questi spazi di silenzio si può riscoprire la preghiera e i credenti possono riscoprire la preghiera di intercessione, la più spontanea. Ma tutti noi siamo chiamati a fare una specie di passo indietro: non c'è momento migliore di quando si è privati di alcune cose per ricordarne il valore e la bellezza. Oggi siamo senza strette di mano, senza abbracci, senza baci, senza la fisicità che l’amicizia porta sempre con sé. Possiamo approfittare di questa assenza per imparare a vivere diversamente da chi vuole sempre “consumare”, anche quando si tratta del rapporto con gli altri. Siamo abituati a consumare anche gli amici, ad avere un atteggiamento consumistico con le persone. Ora che siamo costretti a una dieta delle relazioni umane, questo ci può portare non più a consumare ma a “contemplare” le amicizie, a guardarle da lontano, a sentire nostalgia per le persone che vorremmo vedere e non possiamo vedere. È un momento in cui, certo, c'è un po' di ansia, ma nel quale si può scoprire la radicalità degli affetti. Viviamo in anni nei quali l’etica è diventata urgente, come scrivo all’inizio del mio libro “La forza di essere migliori”. L’etica deve entrare a far parte del kit di sopravvivenza dell'umanità, e questi giorni lo dimostrano: o ci prendiamo a cuore il bene comune e lo privilegiamo rispetto all’interesse privato o non ne usciamo. Occorre coltivare l'etica e metterla al primo posto. Il problema in cui siamo immersi è diventato così grosso perché all’inizio non ce ne siamo accorti, ma abbiamo preferito il bene privato al bene comune. Ma del primato di quest’ultimo oggi capiamo che non possiamo più farne a meno.

Crescita Personale [Link]