Dall’assalto ai santuari alla riscoperta dei pellegrinaggi: ma com’è che le chiese restano vuote? Colpa di un equivoco.
Un numero crescente di pellegrini viaggia lungo il cammino di Santiago o visita i grandi santuari mariani, indicando un interesse sempre più vasto per i luoghi del silenzio e della contemplazione e una viva domanda di spiritualità. Eppure le chiese sono sempre più vuote, così come i seminari, i conventi, le facoltà teologiche. C’è quindi un evidente scollamento tra religiosità e religione istituita. Diminuisce la pratica religiosa tradizionale e ancor più la fede nella dottrina ecclesiastica ufficiale, ma aumenta il carisma riconosciuto di alcuni leader religiosi, la religiosità della terra, lo spazio della spiritualità nell’arte. Cosa significa questo dato contraddittorio? Si tratta di un ritorno del tutto sui generis della religione sotto la forma di una nuova ondata di New Age? …
In realtà, non solo Dio non è mai morto, ma neppure gli Dei sono mai morti. Lo mostra ogni giorno l’impero di Afrodite o del piacere, quello di Ares o della forza, quello di Zeus o del potere. Se infatti non esiste civiltà senza religione, ciò è perché gli esseri umani sperimentano una dipendenza da potenze più grandi, la quale, una volta espressa, genera la categoria del divino. E il divino, oggi come diecimila anni fa, entra inevitabilmente in gioco nella vita umana. Un tempo si parlava di Deus ex machina, oggi nell’epoca della tecnologia si può parlare di machina ut Deus, ma la sostanza esistenziale non cambia: esiste una potenza più grande del singolo uomo e anche dell’umanità nel suo insieme a cui le nostre esistenze sono sottomesse.
Ma c’è qualcosa ancora più importante: il divino non dice solo l’inevitabile dipendenza da forze cosmiche o psichiche o tecniche o politiche, dice anche e soprattutto l’innato bisogno di appartenenza che contraddistingue l’umano. “A chi appartengo io?”: questa è la più forte domanda esistenziale, ancora più urgente del desiderio di indipendenza, e la sua risposta si chiama religione. Il che vale anche quando la risposta non prevede nessun Dio trascendente, come nel caso di appartenenze politiche o di altro genere: sempre e comunque entra in gioco una religio (un legame) che, rispondendo alla domanda più radicale, genera la passione più forte. Così per esempio Dostoevskij descriveva la sua fede, come il “credere che non c’è nulla di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più ragionevole, di più coraggioso e perfetto del Cristo; e non solo c’è, ma con amore geloso mi dico che non può non esserci. E non basta: se qualcuno mi dimostrasse che il Cristo è fuori della verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori dal Cristo, io preferirei restare con Cristo anziché con la verità”.
Per questo la religione è stata tanto efficace dal punto di vista sociale, e oggi, nell’epoca delle passioni tristi e quindi insufficienti a rispondere al radicale bisogno di appartenenza, essa assume un fascino particolare. Fino a quando gli esseri umani saranno dotati di libertà e sentiranno il bisogno di collegarla a una dimensione più grande del loro piccolo ego, la religione esisterà. Il suo oggetto può mutare, come di fatto muta: prima furono gli Dei, poi un unico Dio, oggi e domani chissà. La religiosità però, in quanto dinamica esistenziale, non è venuta mai meno e mai lo verrà.
Oggi in occidente il grande problema (o la grande opportunità?) è che l’innata sete di religiosità non trova più una risposta adeguata nella religione che per secoli è stata la religione dell’occidente, cioè il cristianesimo, sia esso cattolico, ortodosso o protestante. La scissione tra religiosità e religione risale all’inizio dell’epoca moderna (si pensi a Giordano Bruno e a Galileo) e ha portato altre discipline a tentare di prendere il posto della religione costituita: penso a scienza, filosofia, arte, politica. Ma le prime tre per la loro natura possono generare solo in pochi quella passione integrale che placa la sete di appartenenza garantita dalla religione: scienza, filosofia e arte sono intrinsecamente destinate a delle minoranze, e anzi ogni tentativo di renderle popolari è destinato a dissolvere il loro nucleo vitale. Resta la politica. Essa nel Novecento prese effettivamente il posto della religione divenendo a sua volta una religione, ma oggi le cose sono del tutto mutate (sebbene le forze politiche vincenti sembrino proprio quelle più in grado di suscitare passione e di generare appartenenza: è proprio questo che le rende interessanti?). Rimane che il destino di ciò che chiamiamo Occidente, di ciò che finora nel bene e nel male ha dato forma alla dimensione sociale delle libertà, è ampiamente legato alla capacità di colmare il vuoto tra religione e religiosità.
Vito Mancuso, ROBINSON la Repubblica 3 giugno 2018