Le riflessioni del teologo Vito Mancuso sul delicato tema – Un simposio interdisciplinare all'USI sviscererà la questione con numerosi esperti
Dici Vito Mancuso e pensi all'anima. Da quando questo teologo che ha fatto parlare parecchio di sè ha scritto "L'anima e il suo destino" per Raffaello Cortina Editore (correva l'anno 2007) il suo nome rimbalza tra i media italiani quando si affrontano temi spinosi (è un commentatore regolare su "la Repubblica"). Dossier guardacaso legati a tematiche che con la normalità o l'anormalità hanno spesso a che fare. "Il dolore innocente" (Mondadori, 2002), per esempio, già trattava il bruciante argomento della disabilità grave.
Professor Mancuso, e se cominciassi chiedendole una sua spiegazione del bel titolo del simposio di venerdì prossimo: "L'illusione della normalità"?
"È un titolo ad effetto che intende sottolineare la tendenza a non voler omologare una persona all'interno di schemi rigidi di normalità. Ma non penso che la normalità sia una illusione, penso sia una realtà che la mente umana stabilisce per orientarsi all'interno del reale, della natura e della cultura. È uno stabilire dei confini per non andare a sbattere. Tutto questo ha un fondamento biologico"…
Quale?
"Quando andiamo a fare l'esame del sangue o di altri valori medici, abbiamo dei parametri entro i quali siamo nella norma o meno. E queste non sono cose illusorie. Sono condizioni che la scienza medica ha stabilito per stabilire quando si può parlare di fisiologia o di salute, e dove si può parlare di patologia, ovvero di mancanza di salute".
La normalità, lo dice il nome, si definisce a partire da una "norma", cioè da una regola condivisa, da una legge, da un'abitudine accettata. Ma i vari codici normativi sono a loro volta spesso in conflitto fra loro: la norma morale può confliggere con quella legale, per esempio. Bisognerebbe allora abituarsi a parlare di "normalità" al plurale? Non è già un controsenso?
"Non è un controsenso. Non c'è niente di statico, nemmeno la normalità è rigida, prefissata o valida per sempre o per tutti. Certo, la norma morale può confliggere con quella legale. Storia vecchia, già a partire dall'Antigone (tragedia di Sofocle, ndr). Tante cose sono legali ma non sono giuste, tante cose giuste non sono ancora legali o non lo sono più. Ma la logica della vita è un processo, un fiume – come diceva Eraclito -, qualcosa che si fa e dentro questo farsi la mente deve continuamente intepretare e discernere. Questo è il lavoro della coscienza vigile e matura".
La normalità (e, di conseguenza, l'anormalità), sono sempre concetti relativi?
"Sì. Nel senso che sono sempre in relazione ad un determinato ambiente, fenomeno, organismo o società".
L'anormalità di ieri può diventare la normalità di oggi (vedi, ad esempio, l'accettazione sociale dell'omosessualità). Dobbiamo immaginare che ciò che oggi è considerato perverso – che so: la pedofilia – domani possa essere considerato accettabile?
"Chi lo sa? Sull'esempio non so rispondere. Ma che alcuni comportamenti che oggi sono considerati perversi un domani possano risultare più accettabili, o al contrario che cose oggi accetabilissime possano poi risultare perverse è possibile. Non è detto che si vada sempre verso il lassismo. Si può quindi immaginare che ci saranno dei cambiamenti. Per questo sono così importanti l'educazione, la ricerca culturale, il pensiero: per fare in modo che questo movimento sia virtuoso e non vizioso".