Il nome di Dio è Misericordia

Il commento al libro del Papa scritto con il vaticanista Andrea Tornielli 

Schermata 2016-01-10 alle 23.00.21Non si deve chiedere quello che non può dare a questo libro-intervista di Papa Francesco con Andrea Tornielli, delle cui 120 pagine a stampa più di un terzo sono bianche o di strumenti redazionali. Quello che il libro può dare e dà effettivamente è la saggezza vissuta di un uomo di Dio che crede profondamente nel Vangelo e nella sua capacità di rinnovare la vita. Dalla sua lunga esperienza il papa trae una serie di aneddoti, uno più fresco dell’altro, raccontati sempre con grazia e delicatezza. C’è la vecchietta argentina che dice che Dio perdona sempre perché altrimenti il mondo non esisterebbe, la donna sola che per mantenere i figli si prostituisce e che ringrazia di essere chiamata comunque “signora”, l’uomo devoto che non perde una messa e ha una relazione con la cameriera e si giustifica dicendo che le cameriere ci sono anche per questo, la donna che non si confessa da quando aveva 13 anni perché allora il prete le chiese dove teneva le mani mentre dormiva, la signora cui vengono richiesti per prima cosa 5.000 dollari per la causa di nullità matrimoniale, la ragazza che nel postribolo incontra l’uomo che forse la sposerà e che per questo si reca in pellegrinaggio, e altri vividi esempi di concretissima umanità …

Tutto il procedere del libro è segnato dall’esperienza del peccato, cui il papa attribuisce un’importanza decisiva, rendendola quasi una condizione indispensabile dell’esperienza spirituale: se il nome di Dio infatti è misericordia, solo chi ha bisogno di misericordia, cioè il peccatore, lo può incontrare. Il peccato, a partire dal peccato originale ritenuto “qualcosa di realmente accaduto alle origini dell’umanità” (p. 58), funziona quindi come un paradossale pre-sacramento. Per questo coloro che non ne hanno il rimorso sono il vero bersaglio polemico, cui il Papa giunge persino ad augurare di peccare: “Ad alcune persone tanto rigide farebbe bene una scivolata, perché così, riconoscendosi peccatori, incontrerebbero Gesù” (p. 82). 

L’altro aspetto su cui il libro si sofferma a lungo è il sacramento della confessione, che per il Papa è il luogo concreto per incontrare la misericordia di Dio e al cui riguardo non mancano consigli ai confessori. Il libro è un campione esemplare della spiritualità di Bergoglio: la vita è una guerra, vi sono molti feriti, la Chiesa è un ospedale da campo, i suoi ministri devono operare come medici e infermieri. La misericordia di cui parla il Papa si configura quindi come un’operazione strettamente ecclesiastica. Anche il suo Dio è quello della più tradizionale dottrina cattolica basata sul nesso tra peccato originale e redenzione tramite il sacrificio: “Il Padre ha sacrificato suo Figlio”.

Che cosa invece non si deve chiedere al libro perché non lo dà? Non si deve chiedere la trattazione, anche solo come accenno, delle capitali questioni filosofiche e teologiche sottese all’argomento trattato. Per quanto riguarda la dimensione filosofica, la questione del peccato e del suo perdono rimanda al rapporto tra coscienza, libertà e giudizio morale. E le domande che sorgono dal contesto contemporaneo sono: esiste realmente la coscienza? Siamo veramente liberi e quindi responsabili del bene e del male commessi? Il bene e il male esistono come qualcosa di oggettivo o si tratta di convenzioni culturali che l’uomo più evoluto può superare andando “al di là del bene e del male”?

Per quanto riguarda la teologia, la questione principale concerne il rapporto tra grazia e libertà: la misericordia di Dio si dà del tutto gratuitamente o per renderla efficace è necessario un primo passo dell’uomo? La dottrina ecclesiastica condannò come eretica (definendola per la precisione semipelagiana) la prospettiva secondo cui la misericordia divina dipende da un primo piccolo passo dell’uomo. Eppure questa è esattamente la tesi sostenuta più volte dal papa (a pp. 15, 50 e 72), in linea con la tradizione della teologia gesuita che tra la fine del 500 e l’inizio del 600 scatenò una violenta e non conclusa polemica con i più tradizionali domenicani detta “controversia de auxiliis”. Vi è poi la questione della vita futura: se la misericordia è veramente il nome di Dio, come giustificare la dannazione eterna dell’inferno? Fosse anche solo per pochi, o anche solo per l’angelo decaduto diventato il Diavolo, l’esistenza dell’inferno eterno rende aporetica l’affermazione della misericordia quale nome di Dio. Se la tesi del papa, come io ritengo, è vera, essa impone logicamente la dottrina detta “apocatastasi”, cioè il perdono finale per tutti. Essa lungo la storia fu sostenuta da grandi teologi, ma purtroppo è eretica per la dottrina ufficiale della Chiesa.Tali questioni non le si deve chiedere a questa pubblicazione d’occasione, ma al papa e alla sua sapienza ritengo di sì. 

Vito Mancuso, Repubblica del 10 gennaio 2016