Sinodo famiglia, Vito sulla svolta di Papa Francesco

Bergoglio mostra rispetto. E capisce che la Chiesa deve essere inclusiva. Ma per il teologo Mancuso su omosessuali e divorziati la rivoluzione è ancora lontana.

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Intervista di Barbara Ciolli

Mai la parola «peccato»,né«malattia». Nella Relatio post disceptationem di metà sinodo pronunciata dal cardinale relatore Peter Erdo, sugli omosessuali e sui risposati lo sguardo della Chiesa è passato dal giudizio alla misericordia, dall'esclusione all'inclusione. Le aperture, definite con ottimismo «rivoluzionarie», sono state poi molto smussate nella Relatio Synodi finale del 18 ottobre: nei circoli minori nei quali si è discusso il documento provvisorio, i vescovi hanno a dir poco frenato (con un'alzata di scudi di 470 emendamenti) la linea imposta dai progressisti e da alcuni fedelissimi, che papa Francesco aveva voluto come guide ed estensori del concilio sulla famiglia…

LA RELATIO DEL CAMBIAMENTO. La vulgata dei 191 padri che formano il sinodo non ha coinciso, insomma, con il contenuto delle relazioni diffuse inmedias res, da chi intendeva gettare il cuore oltre l'ostacolo. Sulle aperture a gay e separati è stata raggiunta la maggioranza, ma non il quorum dei due terzi. Ma è pur vero che, nella Santa Sede, è il papa che decide con un potere (volendo) assoluto. E «Francesco», spiega a Lettera43.it il teologo Vito Mancuso, ex allievo del segretario speciale del sinodo, il martiniano Bruno Forte, «vuole chiaramente queste aperture. La prima Relatio mostra, con assoluta evidenza, il desiderio di mutare prassi e, in parte, anche dottrina della Chiesa».

VERSO UNA CHIESA PIÙ REALE. «Benché Francesco non sia un progressista», precisa il teologo, «antepone l'accoglienza dell'umanità in cammino all'ideologismo dei dogmi». Come aveva sottolineato anche il gesuita Antonio Spadaro, «la Chiesa deve aprire gli occhi sulla realtà, se vuole tornare universale». Un percorso comunque lungo secondo Mancuso: «Il papa ha dimostrato un bellissimo, grande senso di rispetto per gli omosessuali. Ma siamo ancora lontani dallo sciogliere il nodo di fondo sulla libertà sessuale, ammessa solo nel matrimonio indissolubile e tra uomo e donna». 


DOMANDA. Perché è utile anche per la Chiesa essere meno dura?
RISPOSTA. «Cattolico», in greco, significa universale. Senza la grande operazione di misericordia che vuole Francesco, le persone si rivolgeranno ad altre religioni o appartenenze. E a perderci, alla fine, sarà la Chiesa….

D. Quindi un cattolicesimo che è marginale perde la sua essenza.

R. Con l'oltranzismo, alla fine, si rifiuta il mandato originario evangelico di Gesù.

D. Fissandosi sulla dottrina è votato al fallimento?
R. Il papa chiede un cambiamento abbastanza radicale perché, come disse il cardinale Carlo Maria Martini nell'ultima intervista prima di morire, la Chiesa è indietro di almeno 200 anni.

D. La società, almeno in Occidente, ha superato la Chiesa?

R. Non viviamo più in una società plasmata sui suoi valori, come nel Medioevo. Le persone scelgono secondo la propria coscienza. Se la Chiesa non si mostrerà disponibile all'ascolto, troveranno sostegno spirituale altrove. Un'occasione sprecata.

D. In che senso?
R. In questi tempi c'è un grande bisogno d'ascolto e d'accoglienza. Le persone che hanno alle spalle percorsi irregolari, rispetto alla dottrina cattolica, cercano la Chiesa. Francesco ha intercettato questo grande bisogno, è pronto a una nuova evangelizzazione.

D. Perché non è progressista?
R. Crede nel dialogo, ma la sua è una prospettiva evangelica tradizionale, di pietas popolare. Parla del diavolo, non ha, anche intellettualmente, il pensiero progressista di un cardinal Martini.

D. Bergoglio è realista, si muove con pragmatismo.
R. Bisognerà vedere se riuscirà a imporre la sua visione inclusiva all'interno dell'episcopato mondiale. Se, insomma, da papa eserciterà una leadership effettiva, riformando in profondità la Chiesa.

D. La Relatio Synodi sarà discussa al sinodo ordinario del 2015. Quanto inciderà quello straordinario appena concluso sulla famiglia?
R. Effettivamente si è lavorato. Ma è difficile dire se in futuro prevarrà il cambiamento sulla prassi e in parte anche sulla dottrina. Le posizioni e i racconti sul dibattito sono variati molto a seconda dei relatori e anche delle dichiarazioni individuali. Fino alla frenata finale.

D. La maggioranza dei vescovi è stata nominata dai pontefici conservatori Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Dopo le aperture della prima Relatio, sono volati gli stracci.
R. Era prevedibile che il testo conclusivo venisse annacquato, che la maggioranza stoppasse i tentativi di riforma dello status quo.

D. Ma è davvero possibile cambiare la dottrina della Chiesa?
R. Su questioni dottrinali di fondo come l'esercizio della sessualità non erano emersi progressi neanche nella Relatio post disceptationem.

D. Si affermava che gli omosessuali hanno «doti e qualità da offrire alla comunità cristiana» e, in alcuni casi, dimostrano «mutuo sostegno fino al sacrificio» verso i partner.
R. Sì, ma l'apertura verso gli omosessuali c'era anche in passato, nella misura in cui i loro istinti sessuali venivano sublimati nell'amicizia o in altre forme di sostegno e comunione.

D. Ma è sparita la parola «peccato», la Chiesa non colpevolizza.

R. Se è per questo non si parla mai neanche di «malattia» ed è bellissima la frase del papa: «Chi sono io per giudicare». Mostra un grande rispetto verso gli omosessuali. Di certo un passo in avanti.

D. Però…
R. Anche nell'ultimo sinodo si è ribadita la centralità dell'enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, che vincola l'atto sessuale alla procreazione. Tutte le altre pratiche erotiche restano eticamente illecite, dunque sono peccato.

D. Perché non si ha avuto il coraggio di dibattere su questo nodo di fondo?
R. La reazione dei vescovi africani è stata durissima. Anche il cardinale Walter Kasper ha ammesso di trovarsi, obiettivamente, di fronte a divergenze di vedute tra il mondo occidentale e non occidentale. Su questo siamo ancora lontani.

D. È la secolare diatriba sul modernismo.
R. Per me il percorso dell'Occidente è un'evoluzione, per altri una decadenza. Non tutte le società umane sono uguali, è un dato di fatto: credo nel cammino delle civiltà. Fino a 100 anni fa, ma anche meno, anche in Europa continuava a prevalere la cultura omofobica. Ora per fortuna non più.

D. Sulla comunione ai separati l'opposizione è quasi più forte che sui gay. Perché non si vuole un percorso di penitenza, la cosiddetta «dottrina della gradualità» di Kasper?
R. Anche in questo caso, si vede minacciato il principio di indissolubilità del sacramento del matrimonio. È un'interpretazione dogmatica, eccessivamente statica che, a mio avviso, non sempre rende merito al percorso di un credente.

D. La Chiesa pecca nell'essere troppo rigida?
R. Come ho scritto nell'ultimo libro sull'amore, nel matrimonio c'è un'idea di perfezione, di assolutezza intrinseca. Nello sposarsi, non dico in tutti ma in chi lo fa per amore, c'è un senso del per sempre. Altrimenti si conviverebbe.

D. Poi che succede?

R. Nella società occidentale di oggi, la famiglia rispettosa del magistero cattolico puro è minoritaria. Si sbaglia, i cammini divergono, talvolta vivere con il coniuge diventa una trappola.

D. Sono storie di fallimenti individuali.
R. C'è chi nel suo percorso esistenziale non fa errori. Chi continua a farne e chi impara dagli sbagli. Conosco coppie che, alla seconda possibilità, hanno raggiunto la metà dell'indissolubilità.

D. Dottrinalmente, come si concilia l'ideale del per sempre con la realtà?
R. Ammettere che l'indissolubilità dell'unione possa essere raggiunta anche gradualmente, con un percorso di penitenza, non significa negarne il valore indissolubile. Significa, per la Chiesa, assistere a un traguardo dal basso.