Il bisogno di pensare – Recensione di Paolo Calabrò

Il bisogno di pensare. Vito Mancuso fra filosofia, scienza e teologia

Schermata 2017-10-28 alle 20.52.27

Paolo Calabrò 6 dicembre 2017, Filosofia e nuovi sentieri [Link]

Leggere può far male? Come per tutte le cose, l’eccesso porta fuori strada, e il fine della lettura – nutrire il pensiero – può diventare qualcosa d’altro: anestetizzare la propria capacità critica rendendola dipendente dalle opinioni di altri – gli autori di libri e giornali, appunto – finendo, come rilevava Schopenhauer, per “pensare con la testa altrui, anziché con la propria”…

D’altro canto, leggere è indispensabile, proprio come pensare. Nonostante molti sostengano il contrario – di fatto, con la propria esistenza – pensare non è una velleità, né una possibilità come un’altra per l’uomo, ma un bisogno, “un’urgenza che nasce da dentro e che lo rende strettamente imparentato con il desiderio e che per questo è caldo, ardente, potenzialmente creativo”. Ora, anche pensare troppo può far male: la produzione continua, ininterrotta di pensieri (di immagini, di preoccupazioni, di ipotesi) può non lasciar spazio nella mente per la riflessione; oppure, il pensiero può farsi ideologico, aderendo cioè a una dottrina (non importa se filosofica, religiosa o politica) in maniera acritica e integralistica; oppure ancora può rivolgersi unicamente all’ansia di guadagno e di conquista. Ma è proprio in questa dinamica infinita – il bisogno di pensare, da un lato; il suo rischio intrinseco, dall’altro – che si apre uno spazio creativo in cui la vita si fa possibile e diventa umana: lo spazio in cui Ragione e Follia si incontrano e si scontrano – la Ragione con le sue rivendicazioni armonizzanti, tendenti ad andare oltre l’individuo, la Follia, con le sue ambizioni passionali; la Ragione con le sue pretese egoistiche, la Follia con l’apertura spontanea al Tutto – e l’inedito può farsi strada nel mondo e nella Storia.

D’altro canto, si rischia – e tanto – anche a non pensare affatto: si rischia di disperdere l’occasione unica della propria vita in un’esistenza senza senso.
Non c’è bisogno di scomodare i “piani divini” di certe teologie, per capire quale sia la posta in gioco: senza il pensiero, l’uomo rischia di vivere come un ramo trasportato dalla corrente, senza riuscire a imprimere nessuna direzione al proprio essere e senza scalfire la superficie della realtà, che lo contiene, ma dalla quale è dis-integrato: come ospite a un buffet che passa il tempo a ingozzarsi, mentre gli sfugge il senso di ciò che tutti gli altri sono intenti a festeggiare.

In uno studio documentatissimo che attinge alla patristica e alla letteratura classica, alla psicologia e alle saggezze orientali, alla filosofia e alla scienza, alla sacra scrittura e al saggio storiografico, Vito Mancuso ci conduce – con il suo consueto stile scorrevole e discorsivo, ma pieno di inviti all’approfondimento e di seconde letture – a esplorare un nuovo, ineludibile ambito dell’umano: dopo la passione, l’amore, la libertà (il suo precedente Il coraggio di essere liberi è del 2016), è il bisogno di pensare a venir messo qui sotto la lente d’ingrandimento. Mancuso si rivela una volta di più un autore (si vorrebbe dirlo “filosofo”, ma lo si evita, memori delle sacrosante annotazioni di pag. 55) che sa mettere insieme, nel modo più fruttuoso, le ultime acquisizioni scientifiche con le più recenti conclusioni teologiche. Non c’è futuro per l’umanità, né vita umana per l’uomo, senza il pensiero. E il pensiero… non si pensa da solo. È un lavoro che tocca cominciare. A tutti.