Chiediamoci perché i più religiosi tra i politici di Israele sono i più carichi di odio
È ora che le religioni si convertano alla pace [PDF]
Sono usciti molti commenti al mio articolo del 13 luglio scorso, di cui tre su questo giornale, rispettivamente di Anna Foa, Elena Loewenthal e Roberto Della Rocca. L’unica che ha colto il punto della questione da me sollevata è stata Anna Foa scrivendo che “il messianismo aggressivo e fanatico dei coloni e dei partiti religiosi estremisti di Israele” è “il movente assolutamente primario di chi crede non solo di agire in nome di Dio ma anche che il suo Dio gli consenta di compiere atti terribili”. Questa è infatti la questione da me sollevata quando, commentando la proposta dell’attuale ministro del governo di Israele Itamar Ben Gvir di “una sospensione totale degli aiuti umanitari”, mi ero chiesto che tipo di religione sia mai l’ebraismo, se produce uomini che mirano a uno sterminio totale della popolazione di Gaza, ora con le bombe, ora con i proiettili (è di qualche giorno fa la notizia di bambini uccisi dall’esercito israeliano mentre erano in fila per l’acqua), ora con la morte per denutrizione. Pongo quindi di nuovo la questione: com’è possibile che proprio i più religiosi tra i politici di Israele siano i più violenti e i più carichi di odio? Se l’ebraismo è la religione della pace (shalom) e della protezione dei più deboli, tra cui gli stranieri, come spiegare che proprio i partiti religiosi siano i meno disposti alla pace e alla convivenza con gli stranieri? E viceversa, come spiegare che gli sforzi per la pace nella direzione dei due Stati provengano proprio dai politici israeliani non religiosi ma laici, quale fu per esempio Yitzhak Rabin che proprio per questo venne ucciso il 4 novembre 1995 da un fanatico religioso? …
Al problema da me posto si risponde di solito in due modi: 1) come ogni altra religione, l’ebraismo è per definizione intollerante e fanatico, e fino a quando vi saranno religioni non vi sarà pace; 2) i credenti che alimentano la violenza interpretano male i testi sacri, che, provenendo da Dio, insegnano solo pace e giustizia. La prima risposta è quella degli atei, la seconda dei religiosi. Ed è in questa seconda prospettiva che si collocano le repliche di Loewenthal e di Della Rocca, secondo i quali il concetto di “herem” presente nella Bibbia non va interpretato come “sterminio”, come invece io sostengo insieme ad altri studiosi (così per esempio Mario Liverani: “La pratica del herem è del tutto funzionale al progetto di totale rimpiazzo dei popoli «stranieri» da parte del popolo «eletto»”), ma in altro modo, e per questo non va in alcun modo ripudiato ma assunto, perché nulla della Bibbia, dicono, va ripudiato. Solitamente quindi al problema da me posto si risponde in modo massimalista: o niente o tutto. Niente per gli atei, per i quali la religione è solo male; tutto per i credenti, per i quali la religione è solo bene (ovviamente la “nostra”, non quelle degli altri).
Io penso invece che la religione, come ogni fenomeno umano, contenga sia il bene sia il male e che il compito della retta coscienza teologica consista nell’esercitare il discernimento. Il male contenuto nell’ebraismo l’ho denominato “israelismo”, neologismo che ho coniato al fine di spiegare il fenomeno Ben Gvir e il fenomeno coloni. Questi fenomeni, infatti, vanno spiegati, e occorre farlo tenendo conto di quanto scritto da Anna Foa: cioè che per questa gente la lettura dei testi sacri è “il movente assolutamente primario”. Occorre inoltre considerare che tipi come Ben Gvir sono sempre stati presenti all’interno di “tutte” le religioni. Come esiste infatti un israelismo, così esiste un cristianismo e un islamismo (per stare solo ai tre monoteismi). Anche il cristianesimo ha i suoi Ben Gvir e i suoi coloni, che un tempo si chiamavano inquisitori e crociati e che hanno compiuto terribili massacri, il più delle volte proprio contro gli ebrei, e che anche oggi imperversano soprattutto tra gli evangelici vicini a Trump e tra gli ortodossi vicini a Putin, ma anche tra alcuni cattolici con palesi simpatie nazifasciste e radicato antisemitismo. Dell’islam e delle sue derive islamiste, di cui il terrore di Hamas è solo una delle espressioni, non credo ci sia bisogno di dire altro, tanto il fenomeno è evidente. E il punto è che “sempre” è stato così! Scriveva Spinoza nel 1670: “La religione non corrisponde più al sentimento di carità, ma alla disseminazione della discordia fra gli uomini e alla propagazione di un odio crudele, che essi nascondono sotto il falso nome di zelo divino e di ardente fervore”. Quello che valeva a metà del Seicento vale per ogni epoca e per tutte le religioni. Com’è possibile infatti che proprio quel territorio detto Terrasanta (o Israele o Palestina che dir si voglia) sia il luogo sulla terra dove maggiore è la violenza, l’odio, il settarismo, l’incapacità di vivere insieme, gli attentati, le bombe, il desiderio di morte che da lì promana per il Medio Oriente e si diffonde in tutto il mondo?
I brani del Deuteronomio che ho ricordato nel mio articolo nella traduzione di rav Elio Toaff (tra cui questo: “Tu divorerai tutti i popoli che il Signore tuo Dio è per dare in tuo potere, non avrai pietà di loro”), e che rappresentano solo alcuni esempi della violenza contenuta nella Bibbia ebraica, si possono, anzi si devono accostare ai brani violenti del Nuovo Testamento, dei padri della Chiesa e del magistero pontificio, nonché ai passaggi di questo tipo contenuti nel Corano. E riconoscere finalmente e pubblicamente che abbiamo fallito. Le religioni hanno fallito nella loro promessa di rappresentare l’amore di Dio e la sua volontà di pace. Hanno fallito anche gli ateismi, che, quando hanno avuto modo di costruire società secondo la loro ideologia, sono stati ben lungi dal risolvere i problemi del genere umano e invece di diffondere libertà e uguaglianza hanno seminato repressione, corruzione e milioni di morti. Tutti abbiamo fallito. Lo stato attuale del mondo con la sua disperazione nichilistica e la spirale di violenza che ormai sembra davvero condurci a pochi passi dalla guerra mondiale lo attestano nel modo più tragico.
Io penso che il compito di tutti coloro che hanno a cuore il bene dell’umanità consista nel riconoscere il fallimento della propria tradizione di appartenenza e di lavorare per elevare la coscienza morale verso un solo assoluto: verso ciò che la Bibbia ebraica chiama “diritto e giustizia” (mishpàt e tsedakàh), che devono valere per ogni essere umano e per ogni popolo (e che invece i cosiddetti coloni, in realtà ladri e usurpatori, calpestano nel modo più sfacciato facendosi beffe del diritto internazionale e trovando appoggio nei partiti religiosi israeliani). Tale primato del diritto e della giustizia comporta una nuova ermeneutica dei testi sacri che ripudi nel modo più netto ogni traccia di violenza. Le religioni, quindi, sono chiamate a convertirsi a qualcosa più importante di se stesse, cioè alla pace del mondo, e per questo ognuna deve fare pulizia in casa propria. Esse devono cessare di ritenersi un assoluto a cui tutto va finalizzato, e iniziare a concepirsi come relative al servizio della pace e della giustizia.
Ci sarebbero non poche precisazioni su quanto rav Della Rocca mi attribuisce interpretando in modo improprio il mio scritto e attribuendomi punti di vista nei quali non mi riconosco affatto, ma non intendo procedere qui; lo farò, se possibile, privatamente. Riconosco piuttosto il mio errore quando ho scritto del Deuteronomio come di un testo totalmente intriso di un’ideologia settaria e violenta, mentre è vero che esso contiene anche pagine che non lo sono affatto e anzi promuovono i diritti umani: ho cioè sbagliato nel non esercitare per questo libro biblico quell’arte della distinzione da me auspicata per tutta la Bibbia (devo tale correzione a un articolo di rav Gianfranco Di Segni che ringrazio dell’attenzione). Concludo ponendo di nuovo la questione all’origine del mio articolo: com’è possibile che proprio i più religiosi tra i politici di Israele siano i più violenti e i più carichi di odio? Se l’ebraismo è la religione che promuove shalom, come spiegare che oggi in Israele proprio i partiti religiosi siano i meno disposti alla pace e arrivino a proporre per Gaza “una sospensione totale degli aiuti umanitari”? È a questo problema che occorre rispondere e finora nessuno dei molti che hanno replicato al mio articolo su questo giornale e altrove l’ha fatto, se non Anna Foa con la sua consueta e preziosissima onestà intellettuale.
Vito Mancuso, La Stampa 18 luglio 2025