Il coraggio di diventare migliori

La crisi che stiamo vivendo offre grandi opportunità di trasformazione. Il cambiamento, però, non arriva da solo. Le virtù vanno attivate, usando ciascuno il proprio carburante: la fede, l’arte, la bellezza. E poi coltivate con impegno nella palestra dell’anima. Ce lo spiega il teologo Vito Mancuso.

intervista di Sabrina Barbieri

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“Ne usciremo migliori”. Sembra il mantra di questi giorni sospesi. Lo ascoltiamo, lo leggiamo, ce lo ripetiamo. Ma davvero la pandemia provocata dal Covid-19 ci farà compiere il salto verso una società moralmente più sana? Basta aver vissuto dolore, paure e speranze per diventare persone migliori o serve il coraggio di scelte radicali? E cosa significa migliorarsi? Ne abbiamo parlato con Vito Mancuso, teologo e filosofo, che nell’ottobre scorso ha pubblicato per Garzanti un libro ora di stringente attualità: La forza di essere migliori, appunto. Un saggio che mette al centro della riflessione il bene e ci conduce in un viaggio attraverso le virtù.

Questa esperienza ci migliorerà come individui?

«Mi piacerebbe crederlo, ma dipenderà molto dal lavoro interiore che sapremo fare. Di sicuro abbiamo un grandissimo bisogno di migliorare. L’etica dovrebbe entrare di diritto nel kit di sopravvivenza dell’umanità» …

Perché? Da quali mali dobbiamo difenderci?

«I poteri tecnologici nelle nostre mani sono tali che o sviluppiamo saggezza, o questa potenza ci travolgerà. Devasterà il pianeta, gli ecosistemi, le relazioni. Il consumismo imperversa, ma non possiamo continuare a considerare il mondo una cava da cui prendere all’infinito, e gli altri limoni da spremere. Adesso mi sembra palese il bisogno di una rivoluzione morale».

Cosa dovremmo fare, quindi, per metterla in atto?

«In questi giorni si parla tanto di un nuovo piano Marshall per sostenere l’economia. Ce ne vorrebbe uno anche per promuovere l’educazione morale. Ora, grazie (e lo dico paradossalmente) alla pandemia e al fatto che proprio nazioni guida del pianeta ne siano toccate nel vivo, ci sono le condizioni per un cambiamento».

In concreto a cosa pensa?

«Bisognerebbe fare educazione morale a scuola. Oggi i nostri figli vengono istruiti, non educati. Istruire (dal latino intuire, con la preposizione in) equivale a concepire il bambino come una scatola vuota in cui inserire istruzioni per prepararlo a qualcosa. Educare (da educare, con la preposizione di moto da luogo), significa tirar fuori. Significa che io ritengo il bambino un essere pensante, libero, chiamato ad avere un’opinione. Questa libertà va nutrita e responsabilizzata. C’è bisogno di un’alleanza globale per l’educazione morale. Così come ci sono le linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità, dovrebbero esserci quelle dell’etica. Non ci ammaliamo solo nel corpo. Ci sono virus che minano la fiducia, la capacità di credere alla giustizia, al bene, all’onestà. Ognuno, nel suo piccolo, deve agire per essere fedele ai propri ideali, vero. Ma l’urgenza di vivere in una società migliore è così forte che si deve affrontare con una fantasia politica più ampia».

Ma chi stabilisce che cos’è il bene?

«Il bene è una relazione. È ciò che fa funzionare bene le cose. Ciò che introduce energia positiva in un sistema. La coscienza morale ci dice che cos’è. Ce lo fa percepire e ci fa sentire il dovere di compierlo».

Però ciò che è positivo per qualcuno può non esserlo per altri.

«A questa obiezione rispondo che l’idea di bene come relazione è già nella cosiddetta Regola d’oro, comune a tutte le grandi tradizioni spirituali dell’umanità: ”Non fare agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano a te”. O, in positivo: “Fai agli altri quello che gli altri vuoi che facciano a te”. Ora, cos’è che tutti gli esseri umani di tutto il mondo e di ogni epoca vogliono ricevere? Attenzione, rispetto, salute, cibo, educazione. Viceversa le cose negative sono le menzogne, le offese anche fisiche, gli insulti, le malattie. Così come abbiamo una tavola periodica degli elementi chimici, abbiamo anche una tavola condivisa degli elementi etici».

La Regola d’oro condensa l’idea di giustizia e ci porta a parlare delle quattro virtù cardinali. Nel suo libro le definisce “un ponte tra noi e il bene”. In che modo ci guidano?

«La saggezza (prudenza è una traduzione errata del latino prudenti, perché in italiano significa “cautela”) è la virtù della mente che mi fa capire le situazioni. Mi fa vedere anche ciò che non mi è favorevole. Una volta capito come stanno le cose, entra in gioco la giustizia, che è ricerca del bene comune. La fortezza ha due accezioni. Una passiva (resistenza) e una attiva (coraggio). Ce né bisogno perché dopo che ho scelto la giustizia, devo essere coerente, tenace, fedele alla decisione. Poi arriva la temperanza, che mi porta ad agire con equilibrio. Le quattro virtù si compongono nella mente e nel cuore e rendono un uomo saggio, giusto, resistente e coraggioso, equilibrato».

Alle virtù cardinali, lei ne aggiunge altre. Ci sono l’attenzione, la calma, la fedeltà, la responsabilità, il rispetto. Sono tante, in tutto quindici.

«La cosa importante è capire che non possiamo prenderne una e renderla assoluta. Agiscono insieme. La verità è una sinfonia anche a livello etico. La precisione, per esempio, che è cura della puntualità, dell’ordine, è controllo dei dati, si sposa con la mitezza. Devo essere rigoroso, ma al contempo mite, morbido, altrimenti la precisione diventa ossessione. La precisione si sposa anche con la competenza, di cui stiamo riscoprendo l’importanza, soprattutto in politica».

Ma dove si trova la forza per attivare le virtù?

«E il punto è proprio questo. Il bene e il male sono dentro di noi. Possiamo scegliere l'uno o l'altro. La motivazione è il vero problema dell'etica. Ognuno deve dire a se stesso dove trova il carburante. Per qualcuno può essere Dio, per altri la fede di una religione che non ha Dio, per altri l'arte, per altri la bellezza. Proprio quest'ultima mi sembra la più convincente».

In che senso bellezza?

«La bellezza estetica è così importante che deve necessariamente riversarsi nell'interiorità. Così come andiamo in palestra e facciamo diete, dovremmo trovare la palestra dell’anima (io la chiamo anima, ma possiamo chiamarla psiche, coscienza, interiorità). Nel dialogo Fedro di Platone, Socrate chiede al dio pan di essere bello interiormente. Ecco, noi abbiamo bisogno di essere belle persone. Ed essere belle persone significa innanzitutto essere saggi, giusti, forti, equilibrati».